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Il Giudice E Le Streghe
Il Giudice E Le Streghe
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Il Giudice E Le Streghe


Veramente, all'inizio della mia carriera io non avevo compreso quell'uomo e, ingenuo giovane desideroso di giustizia, l'avevo tenuto per maestro; ma, dopo un certo tempo, avendo egli inteso la mia devozione e avendola presa per timida soggezione, ritenendo di potersi fidare s'era un poco scoperto. Un giorno, nel quale era particolarmente allegro e forse aveva bevuto più del lecito, m'aveva detto senza remore: "Ci mangiano tutti sulla caccia alle streghe: io, lei... tutti! È un affare: sbirri, carcerieri, scrivani e cancellieri, aguzzini, boia; taglialegna, falegnami, fochisti; e… noi giudici." M'aveva strizzato l'occhio. "Viva quelle maledette!" aveva soggiunto, levando in alto la mano come tenendovi una coppa da brindisi: "… e il vantaggio politico? I potenti fanno quanto loro aggrada e la colpa d'ogni male è delle streghe. O, magari, degli ebrei, i ‘perfidi uccisori di Cristo’; e quanto ai bottegai? Qual vantaggio che la plebe se la prenda con loro! Quale bene che, quando un principe riduca il contenuto in metallo prezioso della moneta, quella svalutazione sia attribuita a quei poveracci i quali, dovendo in conseguenza aumentare i prezzi, appaiono la causa prima di quel male! e tocca poi a noi d'intervenire per metterli alla pubblica gogna onde sedare il volgo e, ogni tanto, magari, d'impiccarne qualcuno. Qual successo per l'ordine pubblico, caro Grillandi! Che pace per i grandi, cardinali, principi, banchieri! È tutta un'industria, caro mio, e noi siamo i fedeli servitori di quell'immenso potere. Non ne prova orgoglio?"


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