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La Cameriera Personale
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La Cameriera Personale

Aurelia Hilton

La Cameriera Personale: Un romanzo bollente ed intenso di Aurelia Hilton vol. 23

LA CAMERIERA PERSONALE UN ROMANZO BOLLENTE ED INTENSO DI AURELIA HILTON VOL. 23
AURELIA HILTON
Traduzione di PATRIZIA BARRERA

© 2019 AURELIA HILTON

Questo è un romanzo di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o vengono usati in maniera fittizia. Qualsiasi riferimento a persone realmente esistite, o a aziende, affari commerciali, fatti o luoghi specifici sono puramente casuali.


Per info riguardo promozioni o sconti dei libri della serie, o raccolta di fondi o altre info inerenti, si prega di contattare Aurelia Hilton al seguente indirizzo mail Aureliahiltonofficial@gmail.com

CAPITOLO PRIMO

La Range Rover superò le porte nere del cancello, che erano state lasciate aperte.

Ci trovavamo in una enorme proprietà di circa dieci acri di grandezza, e della quale non riuscivo a vedere i confini, dal sedile posteriore della macchina. Percorremmo per un centinaio di metri il vialetto d’entrata a ghiaietta, prima di arrivare alla mastodontica proprietà Turner.

Era la villa più grande che avessi mai visto, la cui pianta corrispondeva più o meno a vari condomini messi insieme. Quando l’autista parcheggiò l’auto davanti al portone d’ingresso, sentii il cuore farmi un balzo nel petto.

Stavo per cominciare il mio umile lavoro in una casa così immensa, sicura che non avrei avuto altre occasioni di poterlo fare in ville più grandi di quella. Era così gigantesca che quasi mi metteva in soggezione.

Dopo aver parcheggiato, l’autista venne ad aprirmi la portiera ed io quasi esitai, prima di uscire dall’auto. Mi sentivo tanto fuori posto in una proprietà tanto gigantesca da non riuscire a descriverlo a parole.

L’aria era fredda e il cielo nuvoloso minacciava pioggia. Il sole si era già celato dietro l’enorme villa, ma presto sarebbe completamente scomparso all’orizzonte. Stava per iniziare la notte più eccitante di tutta la mia giovane vita.

Di sicuro l’autista dovette notare la mia ansia, perché cercò di rassicurarmi. Era molto gentile e comprendeva come mi dovessi sentire, davanti ad una proprietà come quella. Mi era difficile immaginare che potesse viverci una sola famiglia, in una villa tanto enorme!

“Non devi avere paura – mi disse, grattandosi il mento barbuto – Mister Turner è una persona davvero squisita! Ti piacerà, così come tu piacerai a lui.”

Non sapevo molto di Len Turner, tranne che era uno degli uomini più ricchi di tutta l’Inghilterra. Possedeva decine di aziende sparse per i cinque continenti. Inoltre aveva cavalli da corsa, case, collezioni di oggetti d’arte e hotel che portavano tutti il suo nome. Inoltre era stato proprietario della più grande collezione di automobili d’epoca di tutti i tempi, qualsiasi tipo di velivolo ed era perfino diventato armatore, solo per dilettarsi con navi da diporto, che utilizzava per gli affari quanto per prendersi una pausa.

Il suo stile di vita era al di là di qualsiasi umana comprensione, e al solo pensiero di stare al cospetto di una persona simile, io che provenivo da una famiglia modesta, mi faceva tremare le gambe.

Le cose che avevo letto su di lui sui giornali o sul web non erano sufficienti per farmi una chiara idea di Mister Turner, e di certo non per prepararmi a quell’incontro. Ero dichiaratamente nel panico, e non sapevo cosa avrei dovuto dire.

L’autista mi fece salire su una piccola scala a chiocciola che conduceva all’ingresso della villa; lì il maggiordomo aprì una possente porta di mogano scuro e s’inchinò leggermente, prima di farci entrare. Nell’enorme atrio in penombra si sentiva solo il rumore dei miei tacchi a spillo sul parquet di legno massiccio, ed io inizialmente non riuscii a scorgere molto.

Lasciai che i miei occhi si adattassero all’oscurità, e solo inseguito notai l’enorme schieramento di opere d’arte sul muro. Non m’intendevo affatto di quadri, ma si trattava sicuramente di quadri deliziosi che ritraevano paesaggi, case e animali con grande gusto.

L’autista ridacchiava sotto i baffi, mentre mi conduceva in un salotto grande quasi quanto un appartamento normale. Nel vasto sottoscala che separava l’atrio dal salone potei addirittura scorgere un piccolo ruscello artificiale!

Proprio sulla parete di fondo del salone iniziava una cascatella e anche qui c’era un vasto schieramento di opere d’arte sui muri. Sul pavimento troneggiava un lussuoso tappeto rosso, ed io fui presa dall’impulso di togliermi le scarpe per non calpestarlo, ma l’autista mi fece segno di no con la testa.

L’unica fonte di luce proveniva dal grande camino a lato della stanza, piena zeppa di mobili imponenti e che sembravano di gran pregio. L’autista m’invitò a sedermi, ma ero così ansiosa che preferii restare in piedi. C’era ancora la remota possibilità che mi avrebbero rispedita a casa, se non fossi piaciuta a Mister Turner.

Ero angosciata al solo pensiero che ciò accadesse. Dubitavo delle mie capacità, considerando il tipo di persona per la quale avrei dovuto lavorare: anche se, nel breve dialogo avuto con lui su skype qualche giorno prima, lui stesso mi aveva rassicurata, dicendomi che le informazioni che aveva preso su di me erano ottime e non vedeva l’ora d’incontrarmi.

I miei genitori non erano molto convinti che lavorare per Mister Turner fosse così importante ma poi, quando avevano sentito che razza di mensilità mi aspettava, avevano chiuso la bocca. Tuttavia, nessuno di loro mi era stato d’aiuto per lenire la mia ansia.

L’autista si sedette accanto al camino e insieme aspettammo pazientemente l’arrivo di Mister Turner. Dopo quindici minuti eravamo ancora lì, io in piedi e lui seduto, a fissare il fuoco in silenzio. L’unico rumore che si sentiva attorno era il suo acre crepitio.

Non c’era da meravigliarsi che Mister Turner fosse tanto occupato da giungere in ritardo. Davanti a me giganteggiava un’enorme libreria stracolma di libri che io, ne ero sicura, non avrei mai capito.

Tutto l’ambiente sembrava un enorme sala da cinema, con le zone in ombra ben particolareggiate. Mentre si era in casa si perdeva quasi il contatto con la realtà esterna, ed era molto facile non accorgersi se fuori era notte o giorno.

Finalmente, una grande porta su un lato del salone si aprì; non l’avevo notata, prima, perché era dello stesso colore del muro. Un uomo alto e brizzolato, con degli occhiali spessi sul naso, entrò nella stanza, con un’espressione corrucciata sul viso rugoso.

L’autista scattò subito in piedi e si tolse il cappello: “Buon pomeriggio, Mister Turner!” esclamò.

L’uomo lo salutò. “A te, Moby.” disse. Poi si rivolse a me, scrutandomi da cima a fondo, senza dire una parola. Rimasi lì, immobile, come una statua di ghiaccio, incapace di muovermi o di spiccicar parola.

“Questa è Janet, signore – disse l’autista – L’ho portata qui, come richiesto.”

Turner si voltò verso di lui. “Per oggi è tutto, Moby.” disse, asciutto.

L’autista s’inchinò leggermente e uscì per una porta di mogano, lasciandoci soli. “Benvenuta nella mia villa – mi disse, brusco, Mister Turner – mi auguro che ti rammenterai del nostro incontro mediatico.”

“Certo, Mister Turner…” farfugliai.

“Io preferisco che il mio staff mi chiami semplicemente Len – disse lui, lasciandosi cadere su una grande poltrona di pelle – per te va bene?”

“Certo, Len.” risposi, questa volta con un sorriso.

“Il tuo lavoro qui non sarà molto impegnativo. Sarai ai miei ordini diretti. Pulirai le mie stanze, gestirai i miei impegni e mi servirai la colazione o il pranzo negli orari indicati. Ogni tanto ti chiederò di accompagnarmi nei miei viaggi, e per il tuo disturbo percepirai una diaria.”

Io annuii.

“Ti verrà assegnato un appartamentino al secondo piano, ma dovrai essere sempre disponibile, ogni volta che ti verrà richiesto. Va bene per te, Janet?” mi chiese.

“Certo! Sarà un onore lavorare per lei, Len.” risposi, mentre il cuore mi pulsava violentemente nel petto.

“Ok, vediamo come va. Se hai bisogno di me, potrai chiamarmi – disse lui, porgendomi un bigliettino da visita che estrasse dal taschino della giacca – Questi sono tutti i miei numeri di telefono, anche quelli privati.”

Presi il bigliettino e feci un leggero inchino. “Grazie” sussurrai.

Le porte del salone si aprirono e una paffuta donna in uniforme entrò nella sala. Sorrideva, mentre si avvicinava a me, e mi tese una mano in segno di saluto.

“Salve. Tu devi essere Janet, la nuova cameriera. Benvenuta nella proprietà Turner.” disse.

Le strinsi la mano con calore. “Grazie.” risposi.

“Questa è Wanda – disse Turner – ti istruirà e ti farà da guida per i prossimi giorni.”

Io annuii ancora una volta.

“Vieni con me.” disse la donna.

CAPITOLO SECONDO

Lasciai Len seduto, mentre s’infilava la mano in tasca per estrarne un sigaro. Wanda mi accompagnò innanzitutto nel mio appartamento al secondo piano, e mi disse che la villa era di quattro piani in totale. L’ultimo piano era interamente riservato a Len e alla sua famiglia, mentre il resto della casa era divisa in sezioni.

L’enormità della metratura della villa era sempre un po’ troppo per me, ed entrare nel mio appartamento fu un vero colpo. Tutto sembrava troppo grande, dalle porte alle finestre, e persino l’arredamento!

Sulle pareti del corridoio che portava al mio appartamento c’erano vari quadri, e lo spazio a me destinato era più di quanto avessi mai avuto nella mia casa di Londra, e persino più di quanto potessi immaginare. L’arredamento era classico e di pregio, ma un po’ old.

Wanda mi concesse un paio di minuti per rinfrescarmi e acclimatarmi, prima di fare il giro completo della villa. Mi avvertì che comunque non ce l’avremmo fatta a completarlo in una volta sola, perché la proprietà era davvero enorme. Quindi, per prima cosa, mi avrebbe mostrato le zone della villa che potessero riguardarmi, e in seguito avremmo approfondito il resto. Ancora non riuscivo a concepire come una casa adibita a civile abitazione potesse essere tanto grande.

Per quel giorno non rividi Len, e cenai con il personale della villa, che era composto da tre cuochi, due cameriere, tre addetti alle pulizie e cinque guardiani. Poi c’era Wanda, che era la governante, il maggiordomo e infine io.

Il tavolo dove abbiamo cenato era molto grande, e Wanda mi disse che non era raro che Len si sedesse a tavola con la servitù, quando gli girava o era libero. Trovai parecchio singolare che un uomo della levatura di Len potesse trovare il tempo per fare queste cose.

Tutti i membri del personale erano persone interessanti e mi raccontarono particolari gustosi sulla loro permanenza in villa. Mi fecero sentire davvero a casa e fui grata del loro caloroso benvenuto.

Infine Wanda si ritirò nelle sue stanze e, mano a mano, anche tutti gli altri si accomiatarono. Io me ne andai per ultima, perché volevo ascoltare per intero tutte le storie che mi stavano raccontando, e gli apprezzamenti del personale riguardo Len.

Ero eccitata all’idea di rivederlo il giorno dopo, e non stavo più nella pelle. Dopo cena mi ritirai nel mio appartamento e mi misi a guardare un po’ la tv, che faceva parte dell’arredamento. Il letto era bello grande e mi stupii di quanto fosse comodo, e di quanto mi facesse sentire bene!

Alla tv trasmettevano una sitcom, e ne fui lieta, perché non riuscivo ad addormentarmi, tanto ero agitata. Era la prima volta che dormivo nella casa di uno sconosciuto, e la cosa mi innervosiva e mi eccitava insieme.

Alla fine, mi addormentai con la tv accesa, e anche nei miei sogni mi aggiravo, felice, in stanze enormi e mastodontici giardini in fiore.

Quei sogni riuscirono a riscaldare la mia fredda notte.

CAPITOLO TERZO

La mattina dopo mi svegliai confusa, e mi girava la testa. Ero elettrizzata per quella mia prima giornata di lavoro ma, quando scostai le tende, mi salutò un panorama grigio e piovoso. La pioggia era lenta ma fitta, e oscurava le prime luci della mattina. Gli estesi campi verdi erano pieni di ombre, e tutto ciò faceva apparire ancora di più quel luogo come un set cinematografico.

Wanda mi aveva mostrato la sera prima dove si trovava l’ufficio di Len, e così mi avviai per rassettare la stanza. Proprio come ogni angolo della villa, anche lo studio era enorme, con le pareti tappezzate di quadri ancor di maggior pregio di quelli che avevo visto in precedenza.

Ignoravo che lo studio fosse anche pieno di telecamere, e che Len mi stesse osservando dall’altro lato della casa, zoomando su diverse parti del mio corpo, per guardarle meglio.

Lui se ne stava a crogiolarsi nel suo letto, non riuscendo a capacitarsi di quanto fossi bella. Indossavo una minigonna leggera, che svolazzava ad ogni minimo movimento, il che lo faceva eccitare maledettamente.

Probabilmente non era abituato a vedersi vorticare intorno fanciulle in erba come me. Aveva sempre insistito sulla condotta morale dei suoi dipendenti, sottolineando la necessità di un abbigliamento più che decoroso.

Tra il personale non c’erano persone giovani, soprattutto donne, e quindi non aveva mai riflettuto sul fatto delle tante cose piccanti che avrebbe potuto fare con loro. In quel momento stavo inconsapevolmente cambiando il suo modo di pensare.

Mentre mi guardava sfaccendare nel suo ufficio si spogliò nudo nella sua stanza da letto e cominciò a masturbarsi. Il solo fatto che mi stesse spiando dalle telecamere di sicurezza gli provocava un immenso godimento, malgrado io stessi lavorando e fossi interamente vestita. Si stava immaginando di propormi di andare a letto con lui, e che io avrei accettato con immensa libidine. Poi avremmo cominciato a scopare senza alcun controllo, stringendomi le tette e stantuffandomi nel culo fino a quando non mi avesse sborrato dentro.

Era la prima volta che Len arrivava a sognare queste cose, ma la mia presenza nella villa lo portava all’estremo. Dopo essere venuto ed essersi lavato, io stavo ancora a metà dell’ufficio con le pulizie, e mi restava una considerevole parte del piano da sistemare.

Un’ora dopo che avevo cominciato le mie faccende nel suo studio, Len entrò nella stanza e, dopo i saluti di prassi, si mise a sedere alla sua scrivania, fissando il panorama dalla meravigliosa finestra antica che aveva alle spalle. La pioggia scrosciava con furia, e l’intero parco era completamente zuppo.

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