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Aspetti Psicologici Nei Tempi Della Pandemia
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Aspetti Psicologici Nei Tempi Della Pandemia


Illustrazione 7. Ricerca del termine Coronavirus per paesi

Dati che in questo caso corrispondono al numero di casi di persone contagiate in aumento, ad eccezione dell’Irlanda, dove si potrebbe parlare di un allarmismo sociale al di sopra dei dati reali dei casi nel periodo preso in considerazione.

La denominazione COVID-19

Uno dei problemi degli psicologi sociali è raggiungere la fedeltà dei clienti nei confronti di un marchio, essendo questo quello che utilizziamo per identificare una determinata persona, prodotto o azienda. Normalmente quando pensiamo ad un’azienda come Coca-Cola, McDonald o Ikea, di solito lo facciamo in relazione ai prodotti che vendono. Se guardiamo altri marchi come UPS, Iberia o Microsoft, ci riferiamo ai servizi che offrono.

Qualcosa che influenzerà in modo decisivo l’acquisizione del prodotto o servizio in questione, non solo sulla base dei nostri criteri, ma anche sull’influenza dell’opinione degli altri e dei media attraverso la pubblicità.

Allo stesso modo, quando pensiamo a Stephen Hawking, Barack Obama o Rafael Nadal non ci riferiamo più a prodotti o servizi, bensì al Personal Branding che hanno sviluppato grazie rispettivamente alla loro carriera scientifica, politica o sportiva, cioè associamo gli aspetti emotivi al marchio, che può essere collegato a una persona, un’azienda e persino una località.

La stessa cosa accade quando si deve dare un nome alle “sventure”, proprio come accade quando si tratta di designare i cicloni tropicali che ogni anno colpiscono gran parte dei Caraibi e del Nord America.

Come riportato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (World Meteorological Organization, 2020), questi nomi seguono elenchi prestabiliti che ruotano, lasciando nella memoria di molti gli effetti dell’uragano Katrina nel 2005 o di Ike nel 2008.

In effetti, in linea di principio questi nomi non hanno alcuna relazione con la data in cui si verificano, la violenza o le aree più colpite, tra questi ci sono nomi inglesi o spagnoli (ad esempio, Barry o Gonzalo), maschili o femminili (ad esempio, Lorenzo o Laura). Ma il nome dei cicloni tropicali ha qualche impatto sulla popolazione?

A questa domanda si è cercato di dare una risposta attraverso un’indagine condotta dal Dipartimento di Amministrazione e Aziende; in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia, il Communications Research Institute e la University of Illinois Research Survey of Women and Gender Research Laboratory; insieme al Dipartimento di Statistica dell’Arizona State University (USA) (Jung, Shavitt, Viswanathan, & Hilbe, 2014).

Lo studio ha analizzato le conseguenze climatiche degli uragani negli Stati Uniti negli ultimi sei decenni, differenziandoli secondo i nomi maschili e femminili, scoprendo innanzitutto che quelli che avevano nomi femminili erano stati quelli che avevano provocato maggiori effetti distruttivi e morti tra la popolazione.

Bisogna ricordare che l’elenco dei nomi è prefissato e che la loro assegnazione è consecutiva, quindi non esiste a priori alcuna relazione tra il genere del nome e la sua violenza. La cosa più sorprendente dello studio è che un elenco di nomi di uragani, 5 maschili e 5 femminili, è stato sottoposto a 364 partecipanti, perché valutassero usando una scala di tipo Likert da 1 a 7 in che misura consideravano violenti tutti gli uragani nell’elenco.

I risultati mostrarono che gli uragani di nome maschile tendevano a essere classificati come più distruttivi rispetto agli uragani di nome femminile, indipendentemente dal genere dei partecipanti.

Questo ha permesso di capire perché a volte, di fronte agli avvertimenti delle autorità, si presta più o meno attenzione alla prevenzione, ad esempio semplicemente perché il nome assegnato è maschile o femminile.

D’altra parte, i nomi delle malattie in ambito sanitario di solito sono indicati con acronimi correlati ad alcune caratteristiche identificative del luogo, dei sintomi o delle conseguenze.

Così, all’interno della famiglia dei coronavirus ci sono stati in precedenza vari focolai, come il SARS-CoV che è sorto in Cina nel 2002, le cui iniziali corrispondono al Coronavirus della sindrome respiratoria acuta severa e che fa riferimento ai suoi sintomi; il MERS-CoV emerso in Arabia Saudita nel 2012 e le cui iniziali in inglese si riferiscono alla sindrome respiratoria mediorientale, in cui si fa riferimento ai sintomi e al luogo; e il COVID-19, emerso nel 2019 in Cina, i cui acronimi in inglese si riferiscono alla malattia del Coronavirus del 2019, senza fornire alcuna indicazione rispetto ai sintomi o alla località in cui è sorto.

Bisogna tenere presente che il termine COVID-19 non è stato il primo a venire utilizzato per questa malattia, bensì è stato un cambiamento introdotto quasi due mesi dopo il primo caso segnalato all’OMS, che ha portato alcuni ad affermare che le motivazioni per modificarlo incorporando un nome “ufficiale” sarebbero potute scaturire dalla volontà di evitare le conseguenze economiche negative dell’associazione di un tipo di malattia a una regione o una popolazione (@radioyskl, 2020) (vedi Illustrazione 8 (#x10_id_Toc36960193)).

Illustrazione 8. Tweet Denominazione di COVID-19[2 - Radio YSKL riporta la notizia che il direttore dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha annunciato che il nome di coronavirus è stato cambiato con COVID-19, un’abbreviazione della malattia che ha causato la morte di più di 1000 persone, e che il primo vaccino potrebbe essere pronto nel giro di 18 mesi.]

In questo modo, l’intenzione sarebbe quella di eliminare i nomi di “virus cinese” o “virus Wuhan”, termini che puntano direttamente al focolaio d’origine dell’infezione.

Una deferenza verso la Cina che alcuni operatori sanitari denunciano, per non aver avuto la stessa considerazione con altre popolazioni, come nel caso della sindrome respiratoria mediorientale Coronavirus.

Come è stato mostrato nei paragrafi precedenti, nonostante sia stato dato il nome ufficiale di COVID-19, la popolazione ha continuato a usare i nomi di Virus e in particolare di Coronavirus per informarsi sui sintomi, sulle misure di prevenzione o l’estensione. della malattia, e sebbene sia ancora presto per capire il motivo per cui il nome ufficiale abbia “fallito”, si deve tenere presente che per creare un nuovo marchio e far aderire le persone ad esso, è necessario tenere in conto una serie di variabili, come è stato analizzato dalla Taylor University (Malesia) (Poon, 2016) attraverso un’indagine in cui si sono provate a capire le motivazioni del successo di alcuni marchi rispetto ad altri. Per l’indagine è stato selezionato un elenco di cinquanta prodotti di uso comune più venduti dalle due principali aziende produttrici di tali prodotti, per verificare gli effetti del marchio.

Dopo aver analizzato i messaggi, gli opuscoli e la pubblicità diffusi dai media e dalle reti su questi due marchi, si è scoperto, applicando l’analisi testuale e il metodo interpretativo, che questi marchi si basavano su due pilastri principali per mantenere la fidelizzazione del cliente.

Il primo è la capacità di generare emozioni positive; il secondo quello dell’estetica dell’onestà, vale a dire, mostrare che il prodotto serva effettivamente per fare ciò che indica, mantenendo anche gli standard di qualità pubblicati.

A questo proposito, un sondaggio di WIN / Gallup International (O.N.U., 2014), indica che l’OMS insieme all’UNICEF sono le agenzie internazionali più quotate in tutto il mondo, dimostrando come il 72% degli intervistati abbia una buona opinione di questi organismi.

Quindi ci si aspetterebbe che i cittadini usassero il termine di ricerca utilizzato dall’OMS. Tuttavia, bisogna tenere presente che l’annuncio del nome è avvenuto l’11 febbraio (vedi Illustrazione 8 (#x10_id_Toc36960193)), mentre la preoccupazione mondiale è iniziata quasi un mese prima, il 20 gennaio, il che ha dato una certa tendenza di ricerca tra gli utenti che continuano a utilizzare i termini Virus o Coronavirus (@CSIC, 2020) (vedi Illustrazione 9 (#x10_id_Toc36959737)).

Illustrazione 9. Tweet Immagine COVID.19[3 - Il nuovo #Coronavirus si chiama SARS-COV-2 e la malattia che provoca è il COVID-19 (Corona Virus Disease 19). Nell’immagine, il virus della famiglia Coronaviridae, alla quale appartiene il nuovo coronavirus.]

L’adozione delle misure sanitarie

Uno dei fenomeni più difficili per i cittadini riguarda l’adozione di abitudini salutari che richiedono del tempo per essere intese, comprese e assunte.

A differenza di altri fenomeni come le mode in grado di mobilitare la popolazione, quando si tratta di salute le autorità hanno talvolta un successo relativo in termini di campagne di sensibilizzazione, tanto che tali campagne, orientate a raccomandare di assumere abitudini salutari, di solito sono accompagnate da divieti e persino sanzioni per coloro che non rispettano le disposizioni.

Nonostante ciò, la popolazione fa fatica a vedere i “benefici” a breve termine e con essi il loro “interesse” e la loro motivazione per l’adozione di nuove abitudini sono ridotti se non a volte non messe in pratica, non rispettando così le raccomandazioni delle autorità.

Sebbene la salute sia un aspetto che preoccupa la società, per ciò che riguarda la prevenzione essa non è sempre compresa e accettata allo stesso modo, soprattutto quando si tratta di adottare alcuni comportamenti contrari alla “consuetudine” (@MinInteriorAR, 2020) (vedi illustrazione 10 (#x11_id_Toc36959738)).

illustrazione 10 Tweet Divieto di abitudini[4 - Il Ministero dell’Interno Argentino invita a prendersi cura della propria salute e quella della propria famiglia ricordando di non condividere il mate, le posate e altri oggetti di uso personale.]

Nel caso del COVID-19, alla popolazione è stato chiesto di “abbandonare” alcune usanze e di adottarne di nuove, un aspetto che, andando contro la tendenza della “routine”, ha fatto sì che molti abbiano trovato difficile all’inizio adottare le misure raccomandate.

Questo perché, a volte, nonostante le indicazioni mediche, la popolazione non pensa ai rischi di determinati comportamenti per la propria salute, un aspetto che è già stato osservato in precedenza, come nel caso dell’abbronzatura artificiale con i raggi UVA, che in alcuni paesi è una delle attività di bellezza che è aumentata maggiormente negli ultimi anni.

In alcuni luoghi, essere abbronzati è un simbolo dello status sociale o del tempo libero, quindi ad esempio uno può tornare dalle vacanze e sfoggiare un’abbronzatura invidiabile dopo aver trascorso alcuni giorni in spiaggia, mentre il resto dell’ufficio presenta una carnagione pallida, per non avere avuto la fortuna di poter andare in ferie.

Al contrario, in altri luoghi, essere scuri di pelle è simbolo di non godere di un elevato status sociale, dal momento che il sole brucia la pelle dei contadini dandogli quel colore caratteristico, mentre altri lavori meno pesanti non lasciano “impronta” nel corpo, diventando così un simbolo di differenziazione dello status economico del consumatore, tra coloro che possono “permetterselo” e quelli che non possono.

Nella società occidentale di oggi predomina il primo approccio, cioè le persone si sentono bene con loro stesse quando esibiscono un’abbronzatura, che è qualcosa che richiede tempo e in alcuni casi denaro.

Per rispondere a questa richiesta, sono emersi una serie di centri che dispongono di lampade UVA che producono lo stesso effetto dell’abbronzatura sulla pelle, dopo una o più sessioni di esposizione.

Questo vuol dire che con questo sistema a raggi UVA si ottiene lo stesso aspetto di quando si va in vacanza e ci si gode un momento di relax sulla spiaggia sdraiati al sole.

Pertanto, a livello sociale, è possibile ottenere i “vantaggi” legati ad uno status economico più elevato, semplicemente trascorrendo alcuni minuti all’interno di questi dispositivi.

Nonostante la divulgazione di questo sistema, negli ultimi anni si son accumulate una serie di ricerche mediche che hanno trovato associazioni tra l’uso eccessivo di raggi UVA con la comparsa di cancro della pelle, cioè l’uso frequente e soprattutto l’abuso da parte di una parte degli utenti di questo tipo di abbronzatura può causare malattie della pelle, mettendo volontariamente a rischio la salute (@adgs125, 2019) (vedi illustrazione 11 (#x12_id_Toc36959739)).

illustrazione 11 Tweet Relazione tra raggi UV e cancro[5 - “I raggi Uva causano il cancro”.]

A questo proposito, e per verificare i rischi psicologici derivati dall’uso dei raggi UVA, è stata condotta un’indagine realizzata dal Dipartimento di Dermatologia della Warren Alpert School of Medicine; il dipartimento di epidemiologia, scuola di sanità pubblica del Providence VA Medical Center; il Dipartimento di Psichiatria e comportamento umano della Warren Alpert School of Medicine della Brown University; insieme alla Divisione Medicina di Rete del Dipartimento di Medicina del Brighamand Hospital; il Dipartimento di Nutrizione e il Dipartimento di Epidemiologia presso la Harvard School of Public Health; insieme alla divisione di medicina dell’adolescente del Boston Children’s Hospital; il Dipartimento di Dermatologia del Rhode Island Hospital (USA) insieme al Dipartimento di Scienze della salute occupazionale e ambientale della Facoltà di sanità pubblica dell’Università di Pechino (Cina) (Li et al., 2017) .

67.910 donne di età compresa tra 25 e 35 anni hanno partecipato allo studio, rispondendo a domande sulla frequenza di utilizzo dei solarium a raggi UVA. Allo stesso modo, e per sapere se c’era una relazione tra l’uso dei raggi UVA con altre psicopatologie, è stato loro sottoposta la scala delle tossicodipendenze alimentari di Yale (Flint et al., 2014), per rilevare la presenza di sintomi associati a disturbi alimentari; inoltre, è stata presa in considerazione la presenza o l’assenza di depressione nella storia clinica delle partecipanti.

I risultati mostrano una relazione significativa tra la presenza di depressione e un maggiore uso dei raggi UVA, trovando inoltre una relazione significativa tra l’abuso dei raggi UVA e la presenza di sintomi associati ai disturbi alimentari, in particolare con l’anoressia.

Come qualsiasi altra attività, l’uso di questo tipo di servizi può essere considerato normale, tranne nel caso in cui si “perda il controllo” e diventi una dipendenza, cioè è fine a sé stesso e non viene fatto per i benefici che questo può portare. Questo è ciò che viene chiamato dipendenza comportamentale da abbronzatura, o tanoressia.

In questo caso, la sintomatologia depressiva sembra svolgere un ruolo fondamentale nella formazione o nel mantenimento di questa dipendenza dai raggi UVA, come se la persona stesse cercando di “compensare” il proprio stato d’animo dando un’immagine “migliore” di sé stessa agli altri.

Ricerche precedenti avevano riportato relazioni significative tra i disturbi alimentari e i sintomi depressivi, ma in questo caso la relazione è mediata da una dipendenza comportamentale come l’abuso dei raggi UVA.

Secondo le conclusioni dello studio è quindi necessario stare attenti a queste persone che abusano dei raggi UVA perché possono far parte di soggetti affetti da una sintomatologia depressiva e che soffrono di anoressia.

Nonostante questi risultati e i suddetti problemi di salute associati al cancro della pelle, è difficile per le persone abbandonare questo tipo di abitudini, poiché dà un beneficio a breve termine come il colore dell’abbronzatura, sottostimando i danni a lungo termine sulla salute.