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La Lista Dei Profili Psicologici
La Lista Dei Profili Psicologici
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La Lista Dei Profili Psicologici


–E la seconda? ―chiesi, continuando la battuta.

–Cosa farei con mia madre?― rispose ridendo.

–Ha una famiglia numerosa?―chiesi, curioso.

–Numerosa?, contando mia moglie, la suocera, gli zii e i cugini, quando ci riuniamo tutti insieme siamo in dieci, e un altro in arrivo. E lei non ha moglie? ―chiese in tono scherzoso.

–No, ecco, l’avevo, ma ora non c’è.

–Ah!, mi spiace― disse, cambiando tono.

–Allora non si dispiaccia, se è stata con un altro mentre io ero a un congresso.

–Dice sul serio?

E ci mettemmo a ridere per quella situazione così assurda. Poi ci zittimmo, un silenzio molesto quasi quanto quello che sentii quando tornai a casa e trovai un biglieto di mia moglie che diceva: “Spero che tu ragginga sempre ciò che desideri, io voglio provarci e per questo me ne vado”.

Un biglietto che tenevo sempre nel portafoglio, ma che non avevo mai fatto vedere a nessuno, non so se per vergogna o per paura di condividere i miei sentimenti. Era chiaro che lei non era felice con me e che voleva “esplorare nuove possibilità”.

Non appena arrivai a casa, e dopo essermi reso conto della situazione, feci le valigie e andai all’Hotel Plaza, dove sono rimasto.

Non mi è neppure venuto in mente di prendere una casa senza di lei. Tanto silenzio, tanta solitudine, nella casa che avevamo comprato con tante illusioni. Dovevamo avere dei figli, vederli crescere, e quella sarebbe stata la nostra dimora per il resto della nostra vita, e in due anni di matrimonio tutto è finito in questo modo. Nè una chiamata di scuse, nè una spiegazione, solamente un biglietto.

E’ certo che gli ultimi mesi erano stati frenetici da parte mia, concentrati sul nuovo progetto di essere cofondatore di un’associazione internazionale di psichiatri, nella quase volevamo offrire una nuova prospettiva a persone estranee alla nostra specializzazione, creare una rivista trimestrale, cercare finanziamenti per progetti di ricerca, occuparmi delle mie sedute…forse ho trascurrato ciò che amavo di più, ma non ho visto alcun segnale.

Quando tornavo a casa lei era sempre felice e contenta, mi raccontava del suo lavoro di professoressa, delle difficoltà che incontrava,e che c’era qualche bambino che la faceva impazzire.

Ricordo anche che avevamo parlato delle prossime vacanze, facendo progetti di trascorrere una settimana in una qualche isola tropicale, piene di palme da cocco e spiagge bianche, dove il cielo si confonde col mare, per poter stare da soli condividendo quel pezzetto di paradiso sulla Terra. E all’improvviso, da un giorno all’altro, solo un biglietto.

–Eccoci qui!― disse il tassista mentre si fermava di fronte all’ingresso principale dell’hotel.

–Grazie!― dissi, pagandogli la corsa e scendendo dall’auto.

–Buona notte!― disse il facchino dell’hotel.

–Buona notte!― risposi mentre mi tiravo su il collo della giacca ed entravo con una certa fretta perchè aveva iniziato a far freddo.

Dopo aver salito le scale ed aver superato la porta girevole mi diressi alla reception.

–Buona sera, stanza 311, c’è posta per me? ― chiesi, mentre aspettavo che mi dessero la chiave della stanza.

–No, dottore, ma c’è il giornale di oggi, come aveva chiesto.

–Molte grazie, buona serata― dissi, mentre prendevo i giornali internazionali che mi piaceva leggere prima di ritirarmi.

–Quale piano?― chiese il ragazzo dell’ascensore.

–Il terzo― risposi sapendo che lui già conosceva la risposta, perchè tutte le sere mi faceva la stessa domanda.

–Una buona giornata?― chiese ancora.

–Beh!, è stato un pomeriggio particolare.

–Lo dice per il tempo?

–Sí, anche per quello― risposi, con un sorriso forzato.

–Siamo arrivati!, le auguro una buona notte.

–Ci proverò, molte grazie― dissi, uscendo dall’ascensore e dirigendomi verso la mia stanza.

In fondo al corridoio, c’era una piccola suite, che disponeva di uno studiolo e un a stanza da letto. Non era molto grande, ma era il meglio che ero riuscito a concordare con il direttore dell’hotel, perchè non era normale avere clienti che alloggiavano per anni nella stessa stanza.

Non appena aprii la porta della suite mi accorsi che c’era qualcosa che non andava. Un forte odore di tabacco inondava la stanza, che di certo non era mio perchè non fumavo, e neppure invitavo amici nella stanza, così non ho potuto fare a meno di lasciarmi scappare un:

–Chi c’è?

Provai ad accendere le luci, ma non successe nulla, nonostante abbia premuto ripetutamente l’interruttore.

–Non si preoccupi dottore, va tutto bene― disse una voce dal mio divano.

Avevo trascorso talmente tanto tempo in quella stanza che ero capace di riconoscere ogni spazio e sapevo che da dove mi parlavano c’era solo un divano sotto una lampada dove di solito mi sedevo a leggere i quotidiani prima di coricarmi.

–Chi è lei?― chiesi, facendo un passo indietro e spostandomi verso l’uscita per aprire la porta e illuminare la stanza.

Ero sul punto di farlo, con la mano sulla maniglia, quando all’improvviso notai che qualcuno me la teneva chiusa impedendomi di abbasare la maniglia.

–Stia tranquillo!, glielo ripeto, se avessi voluto farle del male non saremmo qui a parlare.

All’improvviso si accese la luce dietro di me,l’uomo che mi stava parlando aveva acceso la lampada e per questo vidi che un altro, che aveva un cartellino di riconoscimento e i guanti, mi aveva preso una mano tra le sue.

Mi liberai e mi girai per protestare contro la violazione della mia intimità,perchè, anche se non era così, consideravo quella stanza come casa mia.

–Stia tranquillo!, le ho già detto che non vogliamo farle del male― disse l’uomo seduto sotto la lampada mentre si accendeva un sigaro.

–Qui non si può fumare!― protestai.

–In verità mi sorprende, che un uomo come lei, col suo talento, sia finito in un posto come questo― disse l’uomo del sigaro mentre buttava fuori una boccata di fumo.

–Non mi piacciono le lusinghe, non so cosa volete, ma avete sbagliato persona― insistetti, cercando di sganciarmi da una situazione così scomoda.

–Sicuro che a quest’ora si sarà fatto un’opinione su di me.

–Un’opinione?― chiesi, sorpreso.

–Non si fa, dottore. La conosciamo bene, o preferisce che le citi tutti i ibri che a scritto riguardo ai profili psicologici― rispose, in tono ribelle.

Parole che mi riportarono ai tempi dell’università quando ero ancora uno studente, e trascorrevo molte ore in biblioteca.