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L'Eredità Perduta
L'Eredità Perduta
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L'Eredità Perduta


«Ti piacerebbe fare una partita?»

«Forse un'altra volta» risposi con un sorriso. Ero molto impacciata nei giochi.

Continuammo la passeggiata e quando arrivammo alla fine della nave ci appoggiamo al bordo mentre contemplavamo la schiuma lasciata dalla nave sul suo percorso.

Quel tardo pomeriggio un grappolo di nuvole cercava di togliere il centro della scena ad un sole radioso che sembrava preso da una bellissima tela impressionista.

«Potrei farti una domanda personale?» disse James mentre l'aria turbinava i suoi abbondanti riccioli per il forte vento.

Annuii sorridendo.

«Partecipi spesso a queste riunioni del movimento delle suffragette?»

«Certo che sì» risposi indignata. Non mi aspettavo quella domanda. «Non possiamo più essere soggette alle opinioni che questa società sessista impone.»

Mi guardò un po' sorpreso. Immagino per la veemenza che usai nel difendere i miei argomenti.

«Siamo agli albori del XX secolo e non nel Medioevo» continuai. «Il movimento è iniziato con poche combattenti e si è diffuso in tutto il Paese. Non ci vorrà molto per ottenere il diritto di voto e tutto cambierà.»

«Sono d'accordo con te» rispose con voce sommessa. «Ma conosco il modo di pensare di diversi membri del Governo. Penso che siate ancora lontane dall'essere in grado di ottenerlo.»

«Hai qualcosa contro il nostro movimento?»

«No, al contrario. Ho incontrato diverse donne in Egitto che finanziano privatamente le loro spedizioni archeologiche. Fanno un ottimo lavoro.»

«È un peccato che, tranne in alcune occasioni come la mia, le donne abbiano dovuto organizzare spedizioni a proprie spese.»

«In questo caso siamo sotto l'enorme responsabilità» rispose, fissandomi negli occhi. «Se avremo successo, molte donne avranno l'opportunità di far parte di qualche spedizione.»

Rimasi in silenzio per alcuni istanti meditando sulle sue parole.

«Non ci avevo pensato. Vuoi dire che la responsabilità è mia?»

«No, Margaret. Formiamo una squadra, ricordi?»

Annuii e gli dedicai il migliore dei miei sorrisi.

Andammo nella sala dove la cena era già iniziata.

Continuammo la traversata senza grandi imprevisti. Un pomeriggio, una forte tempesta fece oscillare la nave da un lato all'altro. Dall'oblò vedevamo come le onde forti superassero l'altezza alla quale eravamo. Era difficile che quell'enorme nave colasse a picco, ma sentivo un brivido intenso ogni volta che avvertivo una forte scossa.

Decidemmo di trascorrere il pomeriggio in cabina a studiare il nostro progetto.

«Prima di arrivare alla nostra destinazione, vorrei spiegarvi il metodo di scavo che useremo nella spedizione.»

Il professore ed io ascoltavamo seduti sulle comode poltrone della cabina.

«Ho pensato di dividere la città in due parti: Nord e Sud» disse, disegnando una grande mappa che posizionò su un leggio. «Concentreremo gli scavi dove si trovano gli edifici principali della città. Quindi analizzeremo il resto, che ha un interesse archeologico minore.»

«Io realizzerei uno studio più approfondito» risposi indicando diversi punti sulla mappa. «Potremmo creare una divisione molto più piccola del terreno, in questo modo conosceremmo meglio la sua popolazione. È un nuovo metodo che viene eseguito in diverse spedizioni.»

«Hai ragione, Margaret» aggiunse il professore. «È una delle ultime tecniche che si stanno perfezionando. Ma ogni archeologo ha la sua, non esiste la certezza che un metodo sia migliore di un altro.»

«Hai sentito il professore. Questa è la mia spedizione e prendo io le decisioni. Il giorno in cui ne dirigerai una, la farai a modo tuo» rispose arrabbiato.

«Perché teniamo queste riunioni se hai già deciso tutto?» esclamai alzando la voce.

«Mi limito a comunicarvi quale sarà il vostro compito. Questa non è una riunione aziendale in cui dobbiamo raggiungere un consenso» rimase in silenzio per un momento mentre raccoglieva i suoi pensieri e poi aggiunse. «Hai ancora molto da imparare.»

«Preferirei andare nella mia cabina piuttosto che continuare a perdere tempo» gli risposi.

Mi alzai e mentre stavo uscendo dalla porta gli dissi:

«Quando arriveremo alla nostra destinazione, mi spiegherai il lavoro che mi compete.»

Sbattei la porta facendo rimbombare la stanza. Dopo quella discussione passammo diversi giorni senza parlare.

Una settimana dopo avvistammo Cartagena de Indias dalla prua della nave.

In lontananza si distingueva una fortezza difensiva che si estendeva per tutto il perimetro della città, sorvegliata da un gran numero di cannoni che un tempo servivano da difesa degli attacchi di nemici e pirati.

La baia era un'enclave naturale con l'acqua più pulita e trasparente che avessi mai visto, con un amalgama di colori blu con tonalità più chiare mentre si allontanavano dalla costa, da un blu intenso in alto mare passando per un verde smeraldo per finire con un azzurro pallido mentre ci avvicinavamo alla riva. Un forte odore di salnitro e pesce proveniente da diverse imbarcazioni impregnava quella calda brezza mattutina.

Scendendo le scale della nave, la prima sensazione che provammo fu un calore soffocante aumentato dalla forte umidità che causava una continua spossatezza.

La folla si raggruppava le scale della nave; si udiva un rumore assordante di domestici, commercianti e braccianti che venivano ogni giorno per guadagnarsi da vivere ogni volta che una nave sbarcava.

Un gran numero di portuali era impegnato nel carico e scarico delle navi che arrivavano al porto, per lo più discendenti di schiavi. In teoria, la schiavitù era stata abolita un secolo fa ma, in pratica, la maggior parte dei loro discendenti continuava a svolgere lo stesso lavoro che i loro antenati avevano sviluppato.

Dalla passerella inferiore venivano scaricate le numerose merci che arrivavano al molo, caricate sulle spalle venivano trasportate ai carri in attesa all'entrata del porto. Successivamente venivano trasportate nei magazzini di proprietà delle grandi compagnie commerciali che si erano state stabilite in quella prosperosa città.

Era uno dei porti più importanti dei Caraibi dove arrivavano i prodotti fabbricati dalla Rivoluzione Industriale Europea, in particolare dall'Inghilterra, che aveva sostituito la Spagna nel monopolio commerciale dell'America Latina da quando avevano ottenuto l'indipendenza dalla metropoli. Nonostante alcuni vani sforzi di industrializzazione, il continente americano era rimasto dipendente dalla produzione in eccesso inviata dall'Europa e, in misura minore, dagli Stati Uniti.

Insieme alla merce sbarcarono tutti i tipi di emigranti delle più diverse nazionalità che cercavano un futuro migliore; principalmente spagnoli, portoghesi e italiani.

«Fate attenzione ai bagagli quando attraversate il porto» ci avvertì James mentre scendevamo le scalette. «Vado a cercare una carrozza.»

Dopo aver aggirato la moltitudine innumerevole, ricevendo qualche gomitata, caricammo i bagagli in cima alla carrozza che ci avrebbe trasportato in albergo.

Il professore si sedette accanto a me, continuando a tenere in mano un fazzoletto per asciugarsi il sudore. Io avevo un ventaglio che la signora Fizzwater mi aveva regalato dopo avermi assicurato che sarebbe stato il mio bene più prezioso da quando avevo messo piede in quel continente; capii subito che aveva ragione.

James, dopo aver dato le istruzioni adeguate al cocchiere, aprì la porta della carrozza e si sedette di fronte a noi; indossava un cappello a tesa larga che non si sarebbe tolto durante l'intero viaggio.

La città non differiva molto dall'ingresso del porto. Era un vivido ritratto del caos che avevamo sperimentato non appena scesi dalla nave, ma aumentato di dieci. I carri passavano a tutta velocità su un terreno non asfaltato dove si sollevavano grandi quantità di polvere, senza rispettare i pedoni, che in più di un'occasione dovettero tornare indietro di diversi passi prima di attraversare la strada se non volevano essere investiti.

Quella città di stradine inondate da portici civettuoli e alte palme con edifici a due piani sembrava ancorata in un passato coloniale dal quale nessuno, nemmeno i suoi capi, intendevano svegliarla.

I borghesi viaggiavano a cavallo abbigliati con vestiti e cappelli enormi che coprivano gran parte dei loro volti, mentre la maggior parte della popolazione umile indossavano abiti bianchi che erano ben lungi dall'essere intonsi; il fango nelle strade li costringeva ad indossare stivali alle ginocchia.