“Il modo migliore per fare affari facili facili è godere di una posizione privilegiata nel bel mezzo della ressa”. Questa frase l'aveva sentita dire dal vecchio Kent, il sedicente straordinario professionista del crimine: forse, lo era stato, ma se era finito a mangiare polvere a Little Pit, tanto straordinario non lo era. A ogni modo, la massima calzava a perfezione con la rivelazione che Finn aveva appena avuto: stare dalla parte della legge ti imponeva di mettere le mani in loschi giri di denaro, ma nel contempo ti consentiva di attingerne un po'. Ovviamente, operando con la dovuta cautela. Altro che stare in quel letamaio del suo villaggio ad aspettare che passasse qualche sprovveduto con una miseria in tasca. Il Biondo, tenendo gli occhi bene aperti e chiudendone uno al momento opportuno, si stava per guadagnare la bellezza di tremila verdoni e chissà quante altre volte l'aveva già fatto.
Dalla parte della legge, era quello il posto giusto per far fruttare la sua furbizia. Pensò che, probabilmente, potesse essere quella la sua strada. D'altra parte, è cosa buona e giusta che un giovane coltivi sani propositi per il futuro…
Comunque, in quel momento, le incombenze del presente erano ben più rilevanti: aveva raggiunto suo padre e doveva convincerlo a privarsi di quella somma... senza farsi spaccare la faccia. Più di quanto avesse già fatto, s'intende.
«Pa', quel tizio lì ha occhi d'aquila. Ti ha visto e si è insospettito!» Meglio, dare a lui la colpa dell'accaduto.
Anni di lavoro come trapper, portarono l'uomo a cercare istintivamente il riparo della roccia con maggiore minuzia. Poi si riebbe e prese Finn per la collottola. «Per tutti i diavoli! Di cosa si è insospettito, esattamente!» ringhiò a un pollice dalla sua faccia.
«Ha pensato che tu fossi uno di quei fuorilegge a cui danno la caccia, e che mi abbia portato qui per far scattare una trappola ai ranger.»
«Allora, perché non l'ha detto ai suoi compagni?»
«Proprio questo è il punto, pa'. È che pare intenzionato a non avvertirli, purché gli sia corrisposta qualcosina in cambio.» La voce di Donnola andò abbassandosi progressivamente e le ultime parole non furono che un bisbiglio appena accennato.
Ahahah!
Hugg sbottò in una sonora risata. «Che corra pure ad avvertirli! Cosa vuoi che me ne importi.»
«Sì, ma è un tipo scaltro e se lo lascerai fare, si insospettirà. Poi c'è un altro particolare; tuttavia credo che per un tipo in gamba come te, non sia un problema: ha detto che in caso di un tuo rifiuto, non ci penserà due volte ad affrontarti. Certo, noi abbiamo solo le pistole, mentre lui oltre a quelle, ha anche un nuovissimo fucile Sharps. Sai, pa'? dicono che abbia una discreta gittata e che si ricarichi in un lampo. Comunque, tu sei il migliore e saprai come farlo fuori, anche se dovesse girarci intorno da lontano con il cavallo. Dico bene?» Finse di aggrapparsi a lui, come a voler cercare protezione.
Un rivolo di sudore rigò la fronte dell'uomo. «Certo, figliolo, la spunterei a mani basse... ma il problema è che se dovessi solo ferirlo, fuggirebbe e poi ci ritroveremmo un esercito di sbirri alle calcagna. Forse, è meglio assecondarlo. Quanto vuole esattamente?»
Ecco, la parte più difficile. Finn indicò un tre con le dita.
«Figlio di un cane! Vuole ben trecento dollari solo per chiudere un occhio!»
«No, pa'! Non ne vuole trecento...»
«Ah! Allora, stiamo qui ancora perdere tempo a discutere! Tieni, porta i trenta dollari che ha chiesto a quel miserabile e chiudiamo la questione.»
«No, è che ne vuole tremila...»
Ecco, lo aveva fatto di nuovo. Gli aveva spaccato la faccia un'altra volta. Donnola si ritrovò a terra a sputare sangue e polvere.
«Maledetti sbirri! Si ingozzano con le nostre tasse e poi, invece di aiutare gli onesti cittadini, si corrompono e vogliono tremila dollari per chiudere un occhio!» A Finn non risultava che il padre avesse, mai, pagato un cent di tasse. Anche sugli onesti cittadini, c'era più di qualcosa da ridire. Comunque, preferì non fargli notare quei particolari: questo, perché ci teneva alla pelle.
Hugg respirò a grandi boccate nel vano tentativo di placare l'ira e alla fine, sbottò: «Io mi rompo la schiena per procurarmi un bel malloppo, poi arriva quello lì e pretende tremila, dico tremila verdoni! Ma io lo ammazzo! Che vuoi che sia: mi basterà raggiungere quel costone e poi gli sbuco a portata di rivoltella: tanto quel fucile giocatolo neanche ci arriva a sparare fin qui!»
Si fece coraggio, estrasse la pistola, ma come si sporse dal riparo, un proiettile gli fischiò non troppo distante dall'orecchio. Forse, con il prossimo colpo, avrebbe aggiustato il tiro e l'avrebbe colpito. Hugg tornò subito ad acquattarsi dietro la roccia.
«Corna di mille bisonti! Uno stupido fucile a retrocarica non può sparare bene quasi quanto il mio Jagy! Se solo lo avessi ancora...» Sembrava più scosso per l'affronto alle sue convinzioni che per aver rischiato la pelle così alla leggera. Sbuffò e prese a frugarsi nelle tasche blaterando maledizioni irriferibili.
«Finn! Finn, smettila di rotolarti nella polvere come una gatta in calore e vieni qua!» Altro che gatta in calore, gli girava la testa per la percossa ricevuta e rialzarsi prontamente non fu affatto facile; tuttavia dovette farlo per non ricevere anche un calcione d'incoraggiamento.
«Tieni, portargli questi. Dovrebbero valere più o meno tremila dollari. E spera che non abbia capito che non ho un fucile, altrimenti vorrà tutto, compresa la nostra vita! Che il diavolo se lo porti!» Quello spilorcio del padre non condivideva nulla. Mai. Tuttavia, quando si trattava di rimetterci la pelle, ci metteva in mezzo anche lui. Sempre. «Sbrigati a tornare, che ce la svigniamo!» aggiunse.
«Ehm, pa'. C'è un altra cosa...»
Badfinger gli rivolse uno sguardo assassino, poi trasse un respiro profondo, digrignò i denti e gli fece cenno di continuare.
«È che il tizio vuole portarsi dietro anche me. Vuole scortarmi a El Paso per farmi medicare: gli serve per non destare sospetti.»
Hugg tirò un sospiro di sollievo.
«Pensavo volesse ancora qualcos'altro! Va con Dio figliolo e stammi bene.» Eh sì, era decisamente rincuorato.
«A dire il vero, ho intenzione di darmela a gambe il prima possibile e raggiungerti ad Agua Dulce.»
«Fai come vuoi, in fondo, qualche volta sai renderti utile. Alloggerò nell'unica locanda del posto: se ti farai vivo in tempo, ben venga, altrimenti, addio! Devo gestire un malloppo da cinquantamila dollari. Quindi, è chiaro che non possa cambiare i miei programmi per te.» Quel bottino era decisamente troppo cospicuo per la sanità mentale di Hugg. Lo possedeva da meno di un giorno e già stava diventando una fissa, un'ossessione che lo rendeva molto meno lucido e razionale di quanto fosse normalmente: anche il gesto di esporsi al tiro del ranger non era da lui. Finn, stabilì che se l'avesse lasciato solo per troppo tempo, avrebbe presto perso il padre, ma soprattutto la fortuna che si portava dietro.
Il ragazzo mise bene in mostra i gioielli che stringeva in mano, uscì dal riparo e raggiunse il Biondo.
Rick esaminò i gingilli bisbigliando le cifre che gli giravano nella testa, poi fece una smorfia appena percettibile e sbraitò: «Dannato spilorcio! Con questa roba, al più, ci faccio duemilanovecento dollari, senza considerare la parcella del ricettatore.» Chissà perché, Donnola non ne era affatto stupito.
L'uomo ci pensò su un attimo: forse, era tentato di rimandare il moccioso dal bandito a pretendere la parte mancante o, ancor peggio, di affrontarlo per prendersi tutto. Fortunatamente, era convinto che il tizio non potesse avere più di cinquemila dollari. Così, alla fine, stabilì che il gioco non valesse la candela. «E sia! Diciamo che per stavolta, gli faccio lo sconto» concesse scuotendo la testa.
Le buone maniere.
Se Hugg Badfinger aveva puntato diritto ad Agua Dulce, c'era un motivo. Lì, si trovava un misero negozio di cianfrusaglie; tuttavia se si avevano le giuste conoscenze, si poteva accedere a una discreta varietà di servizi... accessori. Ad esempio, era possibile impegnare qualcosa per un prestito o, addirittura, rivendere merce anche e soprattutto di dubbia provenienza. Certo, Aaron Mansill non era che un ricettatore da quattro soldi, però era il solo che Hugg conoscesse da quelle parti ed era l’unico con il quale aveva già concluso dei buoni affari. Una cosa era sicura, il commerciante non avrebbe mai potuto riscattare l'intera refurtiva: sia perché non aveva agganci così importanti da riuscire a reimmettere sul mercato tutta quella roba, sia perché non disponeva, neanche lontanamente, di una liquidità così cospicua da poterla acquistare. Se l’avesse avuta, non sarebbe stato lì a spillare spiccioli dai ladri di polli. A ogni modo, Hugg da qualche parte doveva pur sempre cominciare.
Non si era fidato a portarsi dietro tutto quel ben di Dio, così aveva nascosto larga parte del bottino sotto una roccia poco fuori dal paese. Era stato molto prudente e, prima di darsi da fare, si era appostato ed era rimasto a vigilare intorno a sé a lungo. In pratica, per tutto il tempo necessario a essere assolutamente certo che nessuno lo stesse spiando: una precauzione ai limiti della paranoia.
Giunse nel saloon di Agua Dulce poco prima di mezzogiorno. Giusto in tempo per farsi servire qualcosa dal vecchio Ben: una birra sgasata e calda come piscio, insieme a uno stufato di patate e coniglio. Era ragionevolmente sicuro che il coniglio non fosse coniglio, ma faceva lo stesso: l’importante era mettere qualcosa sotto i denti. Fortunatamente, grazie al suo aspetto lercio e all’atteggiamento cupo, era riuscito a starsene per i fatti suoi, in un angolo appartato, senza che nessuno lo avvicinasse. Regole non scritte stabilivano che avrebbe dovuto offrire da bere al suo vicino di bancone: aveva sempre odiato farlo e tale avversione non risultava affatto mitigata dal fatto che fosse diventato ricco. Completato il pasto, si fece assegnare una topaia ove alloggiare e vi si chiuse dentro a doppia mandata. Intendeva attendere la sera per recarsi dal ricettatore: presentandosi in corrispondenza dell’orario di chiusura, avrebbe avuto tutto il tempo di sbrigare l’affare a battenti serrati, senza essere disturbato da avventori occasionali.
Giunse la sera ed era quasi ora di incontrare Aaron. Prima di ogni altra cosa, si assicurò che i gioielli che si era portato dietro fossero ancora con lui. D’altra parte, dove potevano essersene andati. Poi infilò in una tasca interna del gilet il documento dall’aspetto importante, si accese un sigaro e scese di sotto a farsi un whiskey. Aveva la gola secca, inoltre, non ci si trovava a concludere affari senza un po’ di spirito in corpo.
Aveva appena portato il bicchiere alle labbra, quando una voce spiacevolmente familiare gli fece andare di traverso il drink.
«Sapevo che ti avrei trovato qui! Vedi che succede a ingozzarsi da soli? Lo dico sempre io: chi beve da solo si strozza!» Voleva dire esattamente ciò che stava affermando o quella frase nascondeva un doppio senso?
«Ben! Un bicchiere di acqua di fuoco anche per il mio amico.» “Che il diavolo se porti! Stupido alcolizzato! Perché non è crepato insieme agli altri di Little Pit?”
«Dimmi, Hugg: dove andavate tu e il tuo marmocchio con quella corsa? Ero di ritorno al villaggio. Prima, mi ha sorpassato un pistolero a cavallo che sembrava avere molta fretta, poi, quando ero quasi arrivato, vi ho visto schizzare via come se aveste il diavolo alle calcagna: avevate la stessa fretta del tizio e... anche lo stesso cavallo. Ho provato a seguirvi con il mio carretto, ma eravate così lanciati che vi ho persi di vista. Però, ho scommesso sul fatto che vi avrei trovato qui. Cosa gli avete trovato addosso?» Joe Otthims, che si era accomodato accanto a lui, accompagnò la domanda con un sorrisone complice e una gomitata scherzosa. L’uomo era enorme e sfoggiava un pancione oltremodo prominente. Era molto più grosso di Badfinger che, comunque, era assai ben piazzato. Il viso butterato e rubicondo era contornato da barba e capelli neri, incolti e schizzati di bianco. La voce rude, poderosa e il gergo colorito stridevano con il suo accento perfettamente inglese.
«Stai zitto, idiota!» gli sibilò l’altro guardandosi intorno allarmato.
«Allora, ci ho preso! A quanto ammonta la refurtiva? Cento? Duecento?» Ci provò, ma non era proprio capace di parlare sottovoce. Così, Hugg si limitò a rivolgergli uno sguardo feroce. Qualcuno si voltò verso di loro interessato.
«Cento bigliettoni e un orologio placcato d’oro che potrà fruttarmi centocinquanta dollari, almeno spero» sussurrò, in modo volutamente udibile, però. Due-trecento verdoni era la refurtiva più ricorrente dei clienti di Aaron: una discreta somma, ma nulla che potesse indurre qualcuno a fare cretinate. D’altra parte, quel posto brulicava di ruba galline che cercavano di ottenere somme simili dai loro miseri bottini. Anche lui non era mai andato oltre i duecento dollari di guadagno. Fino ad allora, s’intende.
«Hai cento verdoni in tasca e speri di cavartela con un solo sorso? Perlomeno, mi devi offrire un quarto di gallone di buon whiskey!»
Badfinger scosse la testa, sbuffò e infine fece un cenno al barista che gli consegnò un’intera bottiglia di bourbon. L'afferrò con rabbia e la sbatté sul bancone davanti a Joe, poi saldò il conto e se ne andò senza proferir parola. Si era pure dimenticato del sigaro, ma non importava: gli era passata anche la voglia di fumare. “Spero che sarà abbastanza ubriaco da scordarsi della faccenda per il tempo necessario a dileguarmi! Anzi, sarebbe molto meglio che gli scoppi il fegato una volta per tutte a quel dannato impiccione!” pensò imboccando l'uscita.
«Amico, stai attento a Mansill! Tira, sempre, a fregare sui prezzi!» gli gridò dietro il Gigante. No, non avrebbe dovuto offrirgli da bere, doveva riempirlo di buchi per vedere se zampillasse fuori dell’alcool. A stento, si era trattenuto dal farlo, ma i suoi non erano scrupoli: già così come erano andate le cose, buona parte della discrezione era andata a farsi friggere; se lo avesse affrontato, avrebbe attirato l’attenzione di tutto il paese.
Joe non si era ancora tracannato un terzo della sua bottiglia, che Donnola fece irruzione nel saloon. Era trafelato e ansimante.
«Ehi, Moccioso, hai sbagliato porta, qui non servono latte!» lo irrise un ceffo suscitando l’ilarità degli altri avventori e soprattutto quella dei suoi due compari di bevuta. Il solito spaccone: senza ombra di dubbio, si trattava di una mezza calzetta che probabilmente non avrebbe mai avuto il coraggio di darsi tante arie con un suo pari. Il ragazzo ignorò la provocazione e s’incamminò verso il bancone.
«Hai sentito cosa ti ho detto, puzzola, o vuoi che te lo spieghi a calci nel sedere?» Lo sbruffone si alzò per sbarrargli la strada.
Per nulla impressionato, Finn fece per passargli accanto. L’uomo decise di dargliene di santa ragione e fece per afferrarlo; tuttavia non ci riuscì, poiché si ritrovo con il braccio torto dietro la schiena da una forza incontrastabile. Immediatamente dopo, un calcio ben assestato lo mandò a schiantarsi contro il tavolo da cui veniva. Questa volta, l’ilarità della sala era rivolta a lui.
«Il ragazzo è un mio paesano. Tu e i tuoi compari continuate i vostri affari e non avrete noie.» Joe gli diede le spalle e, assai mestamente, tornò a sedersi per terminare la sua bevuta.
«Credo che sarai tu ad avere delle noie, scimmione!» Il rumore di tre pistole che venivano armate era inequivocabile. Otthims prese il sigaro lasciato da Hugg, fece un tiro, mise una mano sotto il gilet per grattarsi la pancia e sbuffò contrariato. Poi, con la sua usuale flemma, si girò verso di loro senza neanche alzarsi dallo sgabello: aveva un ordigno pieno di polvere nera in mano. La miccia era accesa… e assai corta.
«Innanzitutto, imparate le buone maniere: non ci si siede a tavola con le pistole! Avrete capito che di questa locanda e anche di noi tutti, ovviamente, non rimarrà che il ricordo. Questo, se non buttate le armi entro tre, due, uno…» I tre obbedirono e Finn requisì i revolver in un attimo. Nel frattempo, Joe spense l’ultimo quarto di pollice rimasto dell’innesco.
«Molto bene. Ora, siccome sono impegnato con questa bella signora, gradirei non essere disturbato.» Lisciò il fianco della bottiglia come se fosse quello della bagascia nuda raffigurata nello squallido dipinto in mostra dietro il bancone.
I tre compari disponevano ancora di coltelli a serramanico, mentre il bestione si era disinteressato delle loro pistole, lasciandole nelle mani del moccioso. Così, si guardarono e si intesero: in tre e armati, contro un pachiderma disarmato e di spalle non ci sarebbe stata storia.
Estrassero le lame e si lanciarono verso di lui. Il primo capitombolò a terra a causa dello sgambetto di Finn. L’affondo del secondo fu intercettato da Joe che gli afferrò il polso con un vigore tale che si sentì uno schiocco d’ossa spezzate: forse, voleva solo fargli perdere la presa sul coltello, ma, evidentemente, non aveva ben dosato la forza. In un lampo, senza lasciare la presa, schiantò la mano stessa dell’uomo in faccia al terzo che, impressionato dall’accaduto, aveva esitato un attimo nel portare l’attacco. Un doppio crack sovrapposto testimoniò che né le ossa della mano del ceffo né quelle della faccia dell’altro avevano retto l’immane impatto. Un uomo giaceva esanime in una maschera di sangue, mentre l’altro guaiva per le fratture riportate al braccio. Per fortuna, durò poco, poiché, con un pugno in testa tale da abbattere un bisonte, Joe mandò a dormire pure lui. Nel parapiglia, il tipo sgambettato da Donnola cercò di strisciare quatto, quatto per piantare la lama nel polpaccio del bestione; tuttavia il ragazzo lo notò prontamente e gli stampò la punta dello stivale nella tempia mettendolo definitivamente fuori combattimento. Una cosa era certa, i tre non si sarebbero rimessi in piedi a breve. Tutti gli altri clienti, smisero di ridere e, dissimulando disinvoltura, tornarono alle loro cose.
Il barista scosse la testa estenuato, gettò sul bancone il panno con cui stava asciugando i bicchieri e trasse un respiro profondo: in quel dannato posto, non passava una settimana senza una rissa. Otthims notò il suo sconcerto e lo consolò: «Spero di non aver fatto troppi danni. Solamente io ti posso capire: gestivo un saloon un tempo.» Solo che in quello suo, non c’erano mai state abbastanza persone per metterne una contro una in una zuffa.
Il Gigante rovistò nei vestiti dei due che aveva steso, ma ne ricavò a stento nove dollari che depositò direttamente sul bancone. «Ben, questi sono per il disturbo. Giovane Badfinger, lui ripuliscilo pure tu.» Indicò il tizio steso dal ragazzo: era lo spaccone che lo aveva schernito. In tasca aveva solo sei dollari; in compenso, con un colpo ben assestato del calcio della pistola, gli carpì un dente d’oro.
Quando vide l’oste togliersi il grembiule per sistemare il locale, Joe lo fermò con un gesto della mano accompagnato da un sorriso cordiale. «Stai, stai! Ci penso io a gettare la spazzatura.» Si caricò un uomo sulla spalla ampia come la sella di un palafreno, gli atri due li sollevò, uno per mano, usando la loro camicia come manico. Quindi, li trasportò fuori e li gettò nello spiazzo a raccogliere polvere.
Si riavviò verso il locale per finirsi la bevuta in santa pace, ma si trovò dinanzi Donnola.
«Signor Otthims, Ben mi ha detto che il mio vecchio ha parlato con te e se n’è andato poco fa. Sai dove?» Sapeva che il padre si recasse sporadicamente da quelle parti a vendere oggetti, ma non aveva idea di dove andasse con esattezza, inoltre, sperava di appurare quali informazioni il Gigante era riuscito a spillare dal padre.
«E’ andato da Aaron Mansill a cambiare il bottino.» Il sorriso era quello di chi la sapeva lunga.
“Non posso credere che abbia detto del malloppo a questo sempliciotto!” Doveva indagare un po’ meglio.
«Ma questo Aaron può cambiare una refurtiva come quella nostra?»
«Certo, è facile smerciare un buon orologio, anche se dovesse rivenderlo al doppio di quanto l'ha pagato. Ho provato a dirglielo a tuo padre, ma se n’è andato senza darmene l’occasione! Magari fai ancora in tempo ad avvertirlo: se è veramente placcato d’oro come dice, non deve scendere sotto i duecento dollari, centocinquanta sono decisamente pochi.»
«Allora devo sbrigarmi! Solo che non so dove si trova il ricettatore.»
«Nessun problema, figliolo. Vai a sinistra fino al maniscalco, imbocca la via a destra, poi procedi per qualche passo e troverai un negozietto malmesso e pieno di cianfrusaglie: non puoi sbagliarti, questo paese è buco. Muoviti, se vuoi fare in tempo.»
«Grazie!» Il ragazzo si lanciò in una corsa a capofitto. Il motivo della sua fretta era ben più importante di cinquanta dollari. Probabilmente, lo Sbirro, Rick, era da quelle parti e doveva avvertire il padre. Infatti, quando stava per giungere ad Agua Dulce, aveva sentito un rumore di zoccoli dietro di lui; fortunatamente, era coperto da una montagnola, così, aveva fatto in tempo a nascondersi dietro un cespuglio. Da lì, lo aveva visto passare: che fosse andato anche lui a concludere affari con Mansill?
Buoni affari.
Gli orologi esposti nel negozio, null’altro che cianfrusaglie in un cumulo di cianfrusaglie, tutti quegli orologi da quattro soldi segnavano le sette. Come ogni maledetto giorno, lo avevano tenuto in ostaggio con il loro incedere pressoché immoto. E allo stesso modo di sadici aguzzini, lo avevano torturato con il loro ticchettio tedioso e con la loro metodica flemma. Tuttavia, essi stessi proclamavano la migliore notizia quotidiana: la sua liberazione. Finalmente le sette, l’ora di chiudere i battenti, sedersi da Ben per ingoiare a forza lo scempio culinario del giorno, lamentarsi con il primo che gli capitasse a tiro degli affari che andavano a rotoli e infine, buttare le stanche membra sulla branda sgangherata della sua squallida stanzetta.
Aaron Mansill non era un plurimilionario, ma abbastanza abbiente per permettersi qualche agio in più, lo era senz’altro. Il fatto era che fosse ossessionato dai ladri, li vedeva ovunque e in chiunque, persino negli uomini che, di volta in volta, ingaggiava per farsi proteggere o per riscuotere quanto gli spettava. Per tale motivo, preferiva scegliere assistenti un po’ tonti e ligi al limite del ridicolo: le cretinate o le sviste, che potevano commettere, erano controbilanciate dal fatto che non l’avrebbero fregato e soprattutto dal fatto che da guardie non si sarebbero trasformati in rapinatori. Faceva di tutto per mostrarsi povero ed effettivamente viveva come tale. Era condannato a condurre un'esistenza da miserabile fino alla morte; tuttavia era quello il prezzo da pagare per diventare sempre più ricco...
Non che gli restasse molto da campare: aveva poco più di sessant'anni, ma decenni di stenti e rinunce lo avevano logorato nel fisico e nello spirito. Così, ne dimostrava venti in più. Era di statura infima, magro, ricurvo e malnutrito: la sua pelle era cadaverica, i suoi arti, deboli e tremanti. Era quasi completamente sdentato, ma non portava protesi: preferiva così, non poteva concepire che si impiegasse dell'oro, il nobile araldo della ricchezza, per dei miseri denti. Aveva serie difficoltà a mangiare? Ancora meglio, avrebbe speso meno danaro in effimere vivande.
Non vi erano dubbi, Aaron era proprio un uomo generoso. Aveva dato tutto se stesso per i soldi: per loro, si era speso senza risparmiarsi, in anima e corpo, e in cambio, non aveva mai chiesto nulla. Li aveva messi al sicuro, li aveva protetti, coltivati, coccolati e, mai e poi mai, li aveva sperperati.
Era necessario che il suo negozio apparisse esattamente come lui: vecchio, ripugnante, inutile e malandato. Quale fuorilegge avrebbe mai potuto bramare di rapinare un posto del genere? E poi, anche se lo avesse fatto, non avrebbe trovato nulla: Danny, così chiamava il suo adorato tesoro, era al sicuro altrove.
Ripose il libro mastro nel cassetto della scrivania tarlata e si sollevò dalla sedia con un gemito. In piedi non era tanto più alto che da seduto. Indossò il piccolo copricapo di stoffa nera e afferrò il bastone da passeggio, praticamente una stampella per lui. Anche questo era malmesso: le sporadiche macchie di vernice rimaste testimoniavano che un tempo fosse laccato, ma ormai non era altro che un asta di legno scorticata con una testa in ottone ossidato.