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Il Ventottesimo Libro
Il Ventottesimo Libro
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Il Ventottesimo Libro


, intento come al solito a controllare e a registrare i movimenti delle merci e a incassarne le tasse, ecco una gran folla venire dal Giordano. Alla sua testa stava Gesú di Nazareth. Sapevo di lui fin da bambino, essendo anch’io nazareno. M’era sempre apparso una persona comunissima, così l’avevo dimenticato finché, mesi fa, era giunto qui. Non l'avevo avvicinato. Sentendone dire da gente sulla piazza, l’avevo giudicato un pigro che non aveva voluto continuare l’attività di costruttore del padre e s’era dedicato, come tanti altri falsi profeti, a elemosinare, ricambiando con massime di minuta saggezza e trucchi da magonzolo. È pur vero che la gente pensava operasse veri miracoli, ma si sa bene che gl’ignoranti son creduloni. Appunto, i tanti che in quel momento l’accompagnavano stavano dicendo, a gran voce, che aveva appena guarito un paralitico; ma non così uno di loro, un dotto scriba, che taceva e scuoteva la testa con espressione nient’affatto amichevole.

Gli scribi son gente da cui è meglio guardarsi, assai influenti, che se prendono a malvolere qualcuno possono fargli assai male. Vivono accanto ai sacerdoti quali ascoltati interpreti della Legge. Di norma appartengono alla setta dei farisei, cui sono accomunati dallo zelo meticoloso per le forme. Tanti secoli fa, al tempo dell’esilio babilonese, gli scribi avevano custodito il patrimonio letterario religioso israelita, tramandandolo ai discepoli di generazione in generazione, finché nel loro àmbito, or son cinque o sei secoli, era stata messa per iscritto la Legge. Erano dunque diventati i depositari ufficiali delle antiche tradizioni dei padri entrando, parte di loro, nell’assemblea giuridica e religiosa d’Israele, il sinedrio. Almeno in teoria, possono essere di qualunque stato sociale, salendo grazie allo studio, com'è in genere per i farisei, classe dei teologi divisa in sette scuole di cui due principali, quella di Hillel, che prèdica la misericordia, e quella di Shammai, che disprezza chi non è fariseo. Un altro gruppo di potenti, anzi il più potente, è quello dei sadducei. Si proclamano i discendenti dell’antico gran sacerdote Saduc. Sono gli aristocratici d'Israele e, per diritto di nascita, appartengono alla casta sacerdotale; ma sono interessati più alla politica che alla religione; infatti, a differenza dei farisei, non credono alla vita dopo la morte. Come ho saputo da condiscepoli, in poco tempo il Maestro s’è messo contro tutti e tre i gruppi.

Ecco che, fermatosi proprio accanto a me, quello scriba ha esclamato a gran voce, rivolto a Gesú e ai suoi: "Bestemmia! Quel peccatore ha detto al paralitico: Ti sono rimessi i tuoi peccati. Bestemmia! Egli, semplice uomo, s’atteggia come l’Altissimo". Io, del tutto in sintonia, ho sorriso compiaciuto. Il Maestro ha lasciato allora il suo gruppo e s’è avvicinato a noi. Pensavo volesse litigare con lo scriba, invece l’ha ignorato e, ormai prossimo, ha guardato me negli occhi. "Come?" ho pensato preoccupandomi, "non se la prende con lui che l'ha attaccato pubblicamente, ma con me per un semplice sorrisino?!". Egli però non mi ha affatto rimproverato; mi ha ordinato, con voce dolce: "Matteo, seguimi". Ebbene, non riesco ancora a capacitarmene, io, uomo d’affari abituato a comandare, non ho potuto che obbedire: il mio cuore ha ragionato solo più di lui e i miei reni sono stati presi da enorme entusiasmo

. Poiché era quasi l'ora del pranzo, emozionato e felice ho incaricato il mio aiutante di gestire il banco delle tasse e ho invitato Gesú e i suoi a casa mia, lì vicino.

Quand'eravamo già a tavola sotto il porticato della mia dimora, sono giunti alcuni ospiti, mercanti della piazza che approvvigionano la locale centuria romana, considerati dunque, come noi esattori, traditori e peccatori imperdonabili. Da tempo ero solito ospitarli, dietro mercede: la mia casa è prospiciente la piazza e dal porticato potevano gettare un occhio sui loro banchi durante la pausa per il pasto. Avevo da sempre l'abitudine a pranzi grassi, come tutti i benestanti e diversamente dalle persone non abbienti che solo per cena assumono un pasto un po’ più sostanzioso. Le gran mangiate sono una delle cose della vita più piacevoli e, in verità, adesso mi mancano. Anche quel giorno erano in tavola, fra l'altro, carni pregiate di bove e d'agnello e vino eccellente a otri; non come per le mense comuni che non vedono quasi mai la costosa carne ma solo pane, pesce, erbe, zuppe, latte e formaggio, e dove il vino è bevuto con parsimonia. Gesú e i discepoli giungevano da un lungo disagiato viaggio, erano stanchi e avevano fame; dunque, non appena si sono accomodati sulle stuoie, hanno reso onore alla tavola. Tuttavia, dopo non molto, siamo stati interrotti dallo scriba di prima ch’è passato con alcuni dei suoi davanti alla casa, secondo il Maestro con intenzione: "Già, eccolo di nuovo", ci ha detto abbozzando un sorriso, non appena l'ha visto arrivare. Lo scriba, un volta accanto, ha esclamato, ma senza guardarci e tirando diritto: "Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e degli altri peccatori?!" ma Gesú dietro a lui, lasciato il sorriso: "Non i sani hanno bisogno del medico ma gli ammalati! Non i giusti ma i peccatori hanno bisogno di misericordia! Imparate cosa significa il detto dei Libri: Misericordia io voglio e non sacrifici

; e io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori. Medicina è lo Spirito dell’Altissimo che induce al perdono e indirizza al bene, pota i tralci maligni della pianta, raddrizza l'albero storto, incide e libera dagli umori cattivi". Quei brutti musi si sono apertamente scandalizzati, mentre si allontanavano è venuto da loro: "Si dice messaggero dell’Altissimo! Bestemmia!"; e proseguendo, si mormoravano cose negli orecchi e, ogni tanto, qualcuno di essi si voltava indietro per un momento, guardandoci con espressione corrucciata: non ho potuto afferrare i cattivi propositi che, sicuramente, stavano pronunciando.

Era previsto dall’Altissimo che quel pranzo non fosse tranquillo. Dopo non molto, sono giunti davanti al mio porticato alcuni discepoli particolarmente fanatici del profeta Giovanni detto il battezzatore, stretti osservanti della Legge , i quali, come corre voce, fanno ormai gruppo a sé. Li ho riconosciuti subito, infatti le loro figure sono ben note in paese, sempre in giro a scocciare tutti per un nonnulla. Qualcuno doveva averli informati del mio invito. Anch'essi se la sono presa col nostro pasto: "Come!" hanno rimproverato Gesú per bocca d'uno di essi, tutti indirizzandoci sguardi durissimi: "In questi giorni sacri noi digiuniamo santamente e i tuoi discepoli non digiunano?!". Fosse stato per me, avrei semplicemente lanciato a quel cretino e ai suoi compari: "Fatevi gli affaracci vostri, brutti imbecilli!" invece il Maestro, sorridendo tranquillo, ha replicato mite: "Non è possibile che gl’invitati a nozze siano in lutto mentre lo sposo è con loro. Digiuneranno quando lo sposo sarà loro tolto. Chi mai mette un pezzo di stoffa grezza su di un vecchio vestito?! I vostri usi sono come un vecchio abito ormai logoro. Il rattoppo con stoffa nuova squarcerebbe il vestito procurando uno strappo peggiore. Neppure si mette il vino nuovo negli otri vecchi e ormai consunti, se no questi si rompono per la residua fermentazione, vanno perduti e il vino si versa. Invece, si mette il vino nuovo in forti otri nuovi e così anche i vecchi si conservano". "Nella Legge non c'è nulla di simile!" ha replicato duro un altro di quei noiosi. Se ne sono andati con espressioni indignatissime.

Noi abbiamo in seguito discusso sulle parole di Gesú, concludendo ch'egli portava sì un messaggio nuovo, ma che pure il vecchio meritava d'essere conservato. Invece, ancora ci chiediamo cosa significasse che lo sposo non sarà più con gl’invitati. Gesú si riferiva a sé? Farà un viaggio da solo? Si sposerà e ci abbandonerà? Perché, almeno con noi, non si spiega chiaramente?!

Proprio farraginose quelle mie prime ore da discepolo! Mentre s'era solo alla metà del pasto, è giunto affannato il capo della sinagoga di Cafarnao, Giàiro, s’è inginocchiato dietro al Maestro e gli ha detto ansimando a testa bassa e mani giunte: "Mia figlia è moribonda, ma se tu vieni e imponi la tua mano su di lei, vivrà". Suppongo avesse avuto notizia della guarigione del paralitico. Tuttavia, proprio in quel momento è sopraggiunto qualcuno di corsa gridando, in verità senz’alcuna delicatezza: "È morta!". Giàiro è balzato in piedi lanciando un urlo; tuttavia, memore della propria alta carica, s’è subito ricomposto e… ha detto a Gesú una cosa che m'è apparsa del tutto assurda: "Se tu vuoi, ella rivivrà!". Ridare la vita è enormemente di più che sanare un male: ho pensato che il Maestro si trovasse davvero in grave imbarazzo. Invece, tranquillamente s’è alzato dal desco ed è andato via con Giàiro; noi dietro, curiosissimi. Non bastava. Sulla via, una donna che soffriva notoriamente d'emorragia ininterrotta all'utero da dodici anni, ed era dunque esclusa dalla comunità di preghiera perché impura come tutte le femmine durante i mestrui, gli s'è avvicinata alle spalle, passando fra i molti che avevano preso a seguirlo, e gli ha toccato il mantello. Senza voltarsi il Rabbì ha chiesto, ma con un viso che non esprimeva vera interrogazione: "Chi m'ha toccato?". Doveva aver già intravisto quella disgraziata. S'è girato e le ha detto, semplicemente: "Coraggio, figlia mia, la tua fede t’ha sanata"; e lei è guarita davvero: "Sì, ha smesso!" ha urlato piena di gioia. "Vai subito a lavarti", le ha raccomandato il Maestro, "poi presentati a un sacerdote coniugato e non vedovo e fatti visitare da sua moglie, per avere da lui la dichiarazione ufficiale di purità ed essere riammessa alla preghiera nel tempio". Siamo giunti dopo una buona mezz'ora alla casa del capo della sinagoga, piuttosto distante. Con mia delusione, Gesú ha preso con sé solo Simone, Giacomo e Giovanni e, entrando, ha chiesto a noi altri d'aspettarlo sul retro, davanti all'uscio secondario; perciò quanto segue m’è stato raccontato da quei condiscepoli dopo ch'erano usciti. Vedendo in casa flautisti appena convocati per accompagnare le preghiere funebri e udendoli lanciare le alte grida di dolore che sono nell'uso, il Maestro ha ordinato loro: "Ritiratevi perché la fanciulla è viva e soltanto sta dormendo". Quelli, persone abituate ai lutti e per nulla coinvolte se non per mercede, lo hanno deriso: "È arrivato il gran medico!"; "…ma guarda tu che arcitonto!"; "Capisce le cose al volo, eh? l'intelligentone!". È intervenuto Giàiro che ha mandato via con malagrazia quei villanzoni e pure i propri famigliari e servi che s'erano accalcati attorno a Gesú e creavano confusione; poi l'ha di nuovo scongiurato di risuscitare la figlia, una ragazza che, mi è stato detto, dimostrava una dozzina d'anni. Senz’indugio il Maestro ha preso la mano della morta, le ha ordinato di alzarsi e... lei si è alzata! Ha comandato di darle da mangiare e, subito dopo, senza fermarsi almeno ad ascoltare i ringraziamenti e le lodi di Giàiro, è uscito per la porta secondaria, che dà sull'orto dove noi altri lo si aspettava. Io, saputo che la ragazza era di nuovo viva, son rimasto esterrefatto. Se n’è sparsa immediata fama attorno alla casa, anche se il nostro Rabbì, come ormai ho capito, non vuole gli entusiasmi d'una folla avida solo di sensazionale; benché il Maestro fosse uscito discretamente dal retro, è stato intravisto dall'accompagnatore di due ciechi che immediatamente ci ha seguito coi suoi assistiti, i quali hanno preso a urlare con voci assordanti: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi!" così che hanno attirato tutta l’altra gente. Quando abbiamo fatto per risederci alla mia mensa, sempre seguiti da quel codazzo molesto, i ciechi hanno finalmente osato accostarsi. Il Maestro ha chiesto loro: "Credete che io possa guarirvi?". Gli hanno risposto di getto: "Sì, Signore"; e Gesú: "Sia fatto secondo la vostra fede", ed essi hanno veduto. Poi ha chiesto alla folla d'allontanarsi e ai due di non diffondere oltre il fatto, ma non erano ancora lontani che già gridavano a squarciagola la notizia a tutti quelli che incontravano. Così sono arrivate nuove persone che, senza lasciarci continuare il pranzo appena ripreso, hanno presentato a Gesú un indemoniato muto; e il Maestro, nuovamente impietosito, scacciando il demòne di quel male ha dato la parola al poveretto; però alcuni farisei shammaiani, che s'erano avvicinati per spiare, hanno sparso voce, davanti alla casa, che fosse stato il Diavolo ad aiutarlo: altri gran guastafeste gli shammaiani, fanatici del rigore! Fatto sta che, arrabbiatissimo per l’attacco al Maestro e, forse, pure perché aveva fame e voleva finire il pranzo tranquillo, il discepolo Simone Bar Giona, uomo robusto che porta sempre con sé un lungo bastone per tenere a bada la folla, ha chiesto veementemente a Gesú se dovesse andare "a legnarli tutti quanti sul loro dannato groppone". Il Maestro lo ha calmato: "Otterresti di farti imprigionare e fustigare per aggressione, non di porre freno alle calunnie; anzi, direbbero ch’è stato il Diavolo a picchiarli perché erano nella verità: no, Simone, non è con la violenza che si convertono i peccatori". Finalmente s’è terminato il pasto in pace; immediatamente il Rabbì ha annunciato ai suoi discepoli che con loro avrebbe lasciato la città il dì seguente e io ho scelto, lì per lì, di seguirlo, lasciando ai miei parenti l'amministrazione della dimora e la tutela di mia moglie. Ho preso parte della pecunia che avevo in casa, per metterla a disposizione della comunità. Mia moglie mi ha quasi urlato: "Quel mago ti ha ipnotizzato per averti come servo e farsi regalare i nostri soldi! Tutti quei falsi ciechi e paralitici sono suoi complici; e la ragazzina morta, poi…ah, che babbeo sei! Giàiro e la sua famiglia erano d'accordo, non l'hai capita?! Se no, perché quel furbastro non avrebbe voluto che tu entrassi in casa, eh?". Credo che, prima di conoscere il Maestro, l’avrei presa a botte, ma l’incontro con Gesú m’ha addolcito e così, semplicemente, non ho risposto a Sara e sono uscito: senza neppure sbattere la porta. Ormai da gran tempo non andavo più d'accordo con mia moglie, tanto che stavo quasi pensando al ripudio; oltretutto, Sara è terra sterile, non m'ha dato neppure un figlio; ma ora che sono via io, non sarà più necessario mandar via lei. Ho raggiunto il Maestro e i suoi nella casa dei fratelli pescatori Simone e Andrea, dove tutti hanno base. La mattina dopo, siamo partiti.

Ho avuto qualche notizia su parenti di Gesú. Il mio condiscepolo Giacomo Bar Cleofa mi ha detto d’essere egli stesso congiunto del Maestro: fu seminato in Maria moglie di Cleofa il quale era parente del defunto Giuseppe di Nazareth padre del Maestro. Ha aggiunto che Cleofa e Maria ebbero anche un altro figlio, Giuseppe il giovane, che a differenza di Giacomo ha preferito non seguire il Rabbì e a Nazareth gestisce la bottega che fu di Gesú e, prima di lui, di suo padre Giuseppe il vecchio. Altri parenti di Gesú sono Simone e Giuda, figli di Taddeo ed Emeria la quale è congiunta di Anna, la mamma di Maria di Nazareth, e perciò è parente del Maestro. Anche Giuda Bar Taddeo è discepolo di Gesú mentre ho saputo che Simone, come il giovane Giuseppe Bar Cleofa, non ne subisce affatto il fascino ed entrambi lo considerano uno stravagante e sparlano di lui.

Abbiamo girato per città e villaggi. Ieri il Rabbì ha guarito una certa Maria che aveva i sette diavoli della lussuria nel ventre, per cui doveva congiungersi ogni giorno con molti uomini e senza mai averne soddisfazione. Era stata ripudiata dal marito che, sapendola assatanata, per compassione non ne aveva chiesto la condanna a morte per adulterio e l'aveva scacciata segretamente. Viveva da girovaga, coi doni che le facevano i maschi con cui peccava, e il suo nome era famigerato. Ieri sera s'è presentata inaspettatamente a Gesú, mentre si cenava. Il Maestro era, con alcuni di noi, sotto il portico della casa d'un certo Simone, un fariseo shammaiano che l’aveva invitato, d’accordo con altri della propria setta, per capire meglio cosa pensasse di loro e che, subito, l'ha compreso molto bene: Gesú, rispondendo a una precisa domanda del padrone di casa, senza esitare gli ha detto: "Vi credete santi perché praticate le forme di culto, e per voi tutti quelli che non sono farisei sono peccatori, gente della terra li chiamate, perché dite che solo voi risorgerete e tutti gli altri resteranno sepolti nella morte eterna;

ma io vi dico che il peccatore che si pente è enormemente maggiore di voi che non vi pentite e che l’infero della morte vi aspetta eternamente, se non cambiate mentalità".

Il nostro Rabbì ha idee chiarissime. Non l'ho sentito una sola volta predicare o rimproverare premettendo dei forse e dei mi pare, frequenti nel parlare comune. Non ha vezzo alcuno, non teme il giudizio e le reazioni di coloro che bolla, il suo pensiero è fermo e il suo insegnamento è così alto che è impossibile, per un uomo in buona fede, stupirsi delle sue certezze e della forza della sua parola.

Proprio allora la peccatrice, che doveva averlo visto entrare, s’è intrufolata e s’è buttata in ginocchio davanti al Maestro, bagnandogli i piedi con le lacrime. Li ha asciugati coi propri capelli e ha iniziato a cospargerli di un olio profumato che aveva portato con sé. Simone il fariseo ha avuto un’espressione di disgusto: per lui, quella donna era tra le peggiori della terra. Ha parlato negli orecchi a due scribi della sua setta, che erano stesi sulle stuoie ai suoi lati. Costoro hanno guardato Gesú e hanno tentennato la testa. Com’egli ci ha poi spiegato, dovevano aver pensato che non sapesse distinguere una peccatrice da una donna onesta e, dunque, passasse ingiustamente per un maestro. Il nostro Rabbì l'ha interpellato con severità: "Simone, osserva bene questa donna. Io sono entrato ospite da te e, per disprezzo nei miei riguardi, non m’hai dato la rituale acqua per i piedi e il panno per rasciugarli; lei me li ha lavati con le lacrime e me li ha asciugati coi capelli, cioè con tutta sé stessa. Men che mai tu hai ordinato ai servi di cospargermi il capo con olio profumato, lei m’ha asperso sui piedi il profumo che ha comprato apposta per me con tutte le sue sostanze. Poiché ha molto amato, le sono perdonati tutti i suoi peccati ed è liberata dai demòni del furore dei sensi. È invece a chi ama poco che poco si perdona". Qui, aprendosi al sorriso s’è rivolto alla donna: "Maria, ti sono perdonati i tuoi peccati. Per la tua fede, sei salva. Va' in pace". Quei bacchettoni dei commensali, ovviamente, si sono scandalizzati: "Chi crede mai d'essere quello là, per perdonare i peccati?" ha fatto un primo, steso in prossimità del padrone di casa; "Si pensa forse l’Altissimo in persona, ’sto peccatore?!" ha calcato un secondo, più vicino al nostro Rabbì; "Bestemmia! Bestemmia!" è venuto da molti altri. L’ospite ha congedato assai rudemente Gesú, noi e la donna: spintonati dai servi, ci siamo trovati in istrada. Quella Maria, non appena fuori, assolutamente calma come se non avesse appena subito oltraggi e violenza, ha baciato le mani al Maestro e gli ha chiesto se poteva seguirlo. Le ha risposto Gesú, a sua volta serenissimo ben diversamente da noi: "È ancora troppo presto per le donne, ma tra un anno potrai raggiungermi a Cafarnao, se lo vorrai ancora".

Quasi tutto il popolo crede da secoli alla venuta del Messia dell’Altissimo. Ormai soltanto i sadducei e i farisei vicini al tempio e al sinedrio, coi loro seguaci, accolgono la tradizione sacerdotale per la quale il cielo

sostiene Israele solo se obbedisca alla lettera alle norme mosaiche, che i sacerdoti hanno il dovere di far rispettare con assoluto rigore, fino all’implacabilità, tradizione secondo la quale i sacerdoti stessi sono i capi d’Israele. Tutti gli altri seguono la più pietosa tradizione messianica per la quale l’Altissimo ha fatto a suo tempo un patto col re Davide, promettendogli protezione per la sua discendenza fino a suscitare l’ultimo, più grande e più magnanimo dei re, il Messia. Diverse persone pensano che proprio il nostro Rabbì sia l'Unto promesso dalle Scritture, il re che guiderà Israele a dominare il mondo e fonderà l'universale regno di pace senza fine, e anch'io la penso così. Ecco perché i due ciechi lo avevano chiamato figlio di Davide e Signore. C’è tuttavia parecchio da fare prima del trionfo; ieri ci ha detto: "C'è molta messe ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai". Evidentemente ha voluto farci notare che non abbiamo ancora un esercito per conquistare il potere. Così abbiamo pregato. Gesú ci farà suoi ministri? Che salto sarebbe, da disprezzato pubblicano a ministro del re! Immagino la faccia basita che farebbe quella cretina violenta di mia moglie nel saperlo! Da altri, s’intende, ché certamente non me la terrei accanto, quella scema arrogante. Quando ho parlato cogli altri discepoli della conquista del regno e della nostra nomina a ministri, sono apparsi sui loro volti sorrisi di gran soddisfazione; non su tutti però, non su quello del condiscepolo Giovanni; il giovanetto, anzi, ci ha guardati con un certo compatimento, poi ha detto: "Il Maestro conquista nella pace". Strano ragazzo, devo dire; e poi a quell'età, non dovrebbe permettersi di guardarci così!

Parte seconda (#ulink_a2eb7ff5-ab1a-5e03-8c78-700ddf380b1b)

Il Rabbì è a Gerusalemme con alcuni di noi per pregare nel tempio. Ne approfitto per riportare, come m’ero ripromesso, precedenti fatti e detti pubblici di Gesú Bar Giuseppe, secondo quanto mi hanno raccontato miei condiscepoli.

Come sapevo qual suo concittadino

, fino ai ventitré anni è stato d'aiuto al padre Giuseppe di Betlemme, costruttore

. A causa del pochissimo lavoro nella piccola Nazareth, la gran parte dell'attività dei due s'è svolta a Sepphoris, a un'ora e mezzo di cammino, città già distrutta dai romani durante la conquista della nostra terra e che, un quarto di secolo fa, il tetrarca di Galilea Erode Antipa aveva deciso di far ricostruire, secondo le norme architettoniche greco-romane, fornendo gran lavoro agli artigiani. È oggi una grande città, che continua ad ampliarsi, con un teatro da seimila posti, riferimento culturale per tutta la Galilea, botteghe, negozi, edifici pubblici, banchi di prestito, bagni purificatori per noi ebrei, terme per i gentili. Poiché a Sepphoris si parla, normalmente, il greco, Gesú ha avuto modo d'impararlo bene

.

Mi hanno detto che il Maestro ha iniziato la sua vita pubblica trentatreenne, una trentina d’anni dopo la morte del re Erode

, nel quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare

e nel terzo dalla nomina di Ponzio Pilato a governatore di Giudea

. Aveva abbandonato il suo lavoro dieci anni prima, dopo la morte del proprio padre. Nel pregare l’Altissimo, come faceva continuamente, aveva sentito in cuore la voce divina comandargli di lasciare Nazareth e andare a Gerusalemme per aumentare la propria cultura. Aveva dunque affidato Maria la madre e la gestione della bottega a Giuda Bar Taddeo e a Giuseppe e Giacomo Bar Cleofa, già garzoni di suo padre. Per un decennio, aveva studiato nella città santa presso la famosa scuola farisaica fondata dal misericordioso rabbì Hillel che, com’è ben noto, prèdica non solo di non fare il male a nessuno, ma di fargli tutto il bene possibile, a parte i nemici ovviamente e, fra questi, i samaritani e gli occupanti romani

.

Circa sei mesi fa, seguendo un'altra ispirazione, Gesú s’è unito al gruppo del profeta Giovanni detto il battezzatore il quale, lasciato un suo eremitaggio nel deserto, aveva preso a predicare al popolo e gli ha impartito il battesimo di penitenza. Giovanni battezza secondo gli usi degli esseni di Qumran sul Mar Morto tra i quali era stato da giovanissimo, sebbene non appartenga più a quella congregazione a causa di varie divergenze, anzitutto sul tempo dell’avvento del Messia e sulla sua figura: per gli esseni sono addirittura tre gli Unti che verranno, uno sacerdote, uno re e uno profeta, e non, come sempre s'è creduto, un Messia solo. C'erano stati inoltre duri contrasti su come considerare il prossimo onesto: per quelli di Qumran, l’essenziale è essere nella setta e quando se ne sia al di fuori, anche se galantuomini, si è figli del male. Fanatici! In generale, essi hanno usi estremamente rigorosi, fino alla spietatezza, e pure eccentrici; ad esempio, a chi si fa adepto il matrimonio viene proibito, diversamente dall'uso d'Israele per il quale ogni uomo si sposa, di solito entro i vent'anni; e se è vero che i già coniugati possono esser ammessi a Qumran, essi vengono tuttavia considerati meno nobili degli altri. Presso gli esseni poi, chi ha difetti fisici è considerato un peccatore o un figlio di peccatori, egli è visto, per questo solo fatto, come un maligno: in ciò gli esseni seguono, estremizzandola, la tradizione religiosa conservata dai farisei scribi: è un atteggiamento opposto a quelli del nostro Rabbì e di Giovanni i quali, uscendo in questo caso dagli usi, non vedono nei difetti fisici e nelle malattie marchi di peccato. In breve, la dottrina e la liturgia essene portano all'estremo le norme di purità fisica praticate dai farisei che, a loro volta seguono le orme di quei giudei i quali, secoli or sono, in opposizione alla dominazione del re straniero Antioco Epifane e dei suoi successori, si appartarono dal resto del popolo; ma per quelli di Qumran, i farisei sono comunque condannati dal cielo perché, essi dicono, non sono abbastanza rigorosi e, inoltre, perché vogliono guidare il popolo con insegnamenti, invece di starsene orgogliosamente separati come gli stessi esseni; e dire che Gesú sgrida invece certi farisei proprio per la ragione contraria, ritenendoli troppo formalisti e con poco amore per il prossimo! Sì, c'è un'enorme differenza tra l'amoroso Gesú e quegli odiatori esseni. Quanto a Giovanni, mi pare ch'egli sia in una posizione di mezzo, essendo giusto e desideroso di giustizia come il nostro Maestro ma un po' meno misericordioso verso i peccatori che, comunque, ritiene perdonabili qualora si pentano. Come Gesú aveva riferito ai miei condiscepoli, quelli di Qumran, diversamente da tutti noi ebrei che solo a Pasqua teniamo la cena in ricordo della liberazione del nostro popolo dalla schiavitù d'Egitto, praticano ogni giorno la cena solenne con benedizione del pane e del vino. Peraltro presso gli esseni di Qumran, seguendo in questo caso gli usi antichi per i quali, in ogni gruppo religioso, il rabbì raccoglie attorno a sé dodici consiglieri-collaboratori, gli assistenti del gran maestro sono appunto dodici: dodici come le tribù d'Israele, se non si conta quella di Levi che, a differenza delle altre, non aveva ricevuto, a suo tempo, territorio in amministrazione ma, in paga, aveva avuto dignità sacerdotale. Gli esseni, poi, credono nella predestinazione, a differenza di Gesú e di Giovanni i quali richiamano all'impegno e sgridano chi non ami il prossimo. È assurdo credere d’essere predestinati! Che merito avrebbero coloro che amano, che colpa avrebbero coloro che odiano? Per gli esseni, figuriamoci un po', è un merito nonché un indizio della loro predestinazione divina alla salvezza l’amarsi soltanto tra essi stessi, rigorosamente, e l’odiare, altrettanto con rigore, chiunque non sia dei loro; essi pronunciano, tra altre maledizioni ai non esseni considerati tutti figli di Satana, addirittura la seguente: Quando alzi le tua grida, Dio non ti usi misericordia, né ti perdoni cancellando le tue iniquità. Impiegano nei discorsi e negli scritti le espressioni figli della luce e figli delle tenebre, e se è vero che si tratta di espressioni simboliche presenti in tutte le culture, come imparai su testi che raccolsi in passato nella mia biblioteca domestica, ben diverso è, in merito, il sentire della setta rispetto al nostro: per gli esseni tutti, a parte essi stessi, sono figli delle tenebre, quindi anche i seguaci di Giovanni e noi discepoli di Gesú, noi che, diversamente, consideriamo figlio delle tenebre non chiunque appartenga a un altro gruppo ma solo chi, realmente, faccia il male; ma tant'è, per quei fanatici conta solo l'appartenenza, non le intenzioni buone o cattive del cuore. Giovanni, diversamente dai suoi antichi compagni di Qumran, non aspetta affatto un finale Giorno dell'Odio in cui tutti i non esseni saranno massacrati dall’Altissimo, né lancia maledizioni contro i peccatori, solo inveisce, in verità aspramente, contro di loro, a qualunque categoria essi appartengano, invitandoli a pentirsi e a darne il segno nel battesimo. Quella setta infine, diversamente da noi e dai seguaci del battezzatore, pratica divinazione, astrologia e magia: Gesú aveva saputo da Giovanni e riferito ai miei condiscepoli che gli esseni conservano fra i testi della loro enorme biblioteca, in Qumran, le famigerate opere di carattere magico-divinatorio Peana per il re Jonathan, Brontologion, Formula contro gli spiriti maligni da un amuleto, Testo fisiognomico, L’era della luce sta venendo e, addirittura, il libro Egli amò le sue emissioni corporali!

Peraltro, degli esseni Giovanni ha mantenuto lo stesso rigore di vita conducendo un'esistenza di rinunce, anzi il battezzatore è persino più severo di loro, tanto che la sua dieta radicalizza il divieto di Mosè di mangiare sangue fino al punto ch'egli rifiuta carni d'animali, anche se sgozzati e liberati così dalla linfa di vita donata dall’Altissimo: egli mangia cavallette, cibo purissimo secondo il Levitico perché del tutto privo di sangue. C'è chi afferma che tali bestioline siano anche gradevoli al gusto, specialmente se abbrustolite; sarà, io non ho mai provato ad assaggiarle e cercherò di farne sempre a meno perché, in verità, mi schifano assai.

Gesú è stato battezzato dal parente nel fiume Giordano, in un momento in cui c'era gran folla: me l'hanno riferito Giuda di Qerijoth, Andrea e Giovannino, anch’essi in quei giorni discepoli di Giovanni. Un momento prima, inaspettatamente per tutti, il battezzatore aveva affermato a gran voce, rivolto al nostro Rabbì: "Tu non hai peccato mai! Non hai bisogno d’acqua di penitenza. Io dovrei essere battezzato da te e tu, invece, vieni da me?!". Il battesimo è avvenuto esclusivamente perché Gesú ha insistito: "Lascia che sia così per ora, in quanto occorre che adempiamo ogni giustizia". Secondo Andrea, con ‘giustizia’ ha inteso ‘osservanza del piano dell’Altissimo’: pensa che quel battesimo sia stato per il Maestro come un'unzione a Messia. Dice infatti d’aver sentito nella mente, e come lui il battezzatore e tutti i presenti, una tonante voce scendere come se stesse planando dal cielo, così come fa una colomba quando cala per posarsi a terra, ed esprimere un richiamo al profeta Isaia: "Questi è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto"

. Il parente di Gesú ha pronunciato quanto stava udendo, così che la sua parola ha fatto eco a quella che risonava nella mente d'ognuno. "Per questo segno", m'ha detto Andrea, "quando, tempo dopo, Gesù è venuto a chiamarmi come suo discepolo, mi son unito a lui, insieme al mio parente Simone". "Anch'io", s'è aggiunto Giovannino. Sì, penso che Gesú sia l'Unto promesso, il re che libererà Israele e porterà la nostra gente alla conquista della terra. Giuda di Qerijoth ne è sicuro: per certe sue parole, io suppongo che questo condiscepolo aspiri a divenire il primo ministro del nuovo regno. Il giovane Giovanni ha una sua opinione sul battesimo di Gesú, e sono d'accordo con lui: "Sì", mi ha detto, "il battesimo può essere stato come un'unzione, ma ha avuto pure un altro scopo, manifestare al mondo l'umiltà del nostro Maestro: un Messia colmo di splendida umiltà". Un re umile e mite non s’è mai visto in tutta la storia d'Israele. Sarebbe magnifico.

Ho saputo questa mattina da Andrea che il battezzatore è figlio di un certo Zaccaria e di una certa Elisabetta figlia della defunta Emeria che era parente stretta della madre di Maria la mamma del nostro Maestro; dunque questi è a sua volta parente prossimo di Giovanni Bar Zaccaria. Si racconta che Elisabetta avesse concepito essendo ormai molto vecchia, sui quarant’anni, essendo sposa da oltre venticinque e non avendo avuto alcun figlio prima di Giovanni profeta; e che solo per un miracolo del Signore fosse rimasta incinta. Certuni, ma non noi discepoli, pensano che il Messia non sia Gesú ma quel suo parente: in neppure un anno di vita pubblica, il battezzatore ha acquistato gran fama presso il popolo. Si dice che sia un uomo imperioso, con tutta la forza di volontà d'un vero re, sebbene vesta poveri pelli di cammello trattenute da una cintura di cuoio da poco prezzo: pare che li indossi per dimostrare di non essere più esseno, dato che per questa setta si tratta di abiti impuri. Giuda, Andrea e Giovannino testimoniano che una volta, prima che Gesú entrasse nel movimento giovanneo, il suo parente, mentre stava battezzando presso Betània, aveva visto superbi sadducei e pomposi farisei scribi venire al Giordano ed era divenuto violaceo in volto, quindi aveva inveito a pieno fiato contro di loro, benché persone potentissime: "Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente dell’Altissimo? Fate invece frutti di conversione e non crediate che sia verità quanto fra voi affermate: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che l’Altissimo può far sorgere figli d'Abramo da queste pietre. Già la scure è pronta presso la radice degli alberi e ogni albero che non produce frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco!". "Perché battezzi?" gli avevano domandato quelli, senza scomporsi, quando gli erano stati innanzi, e avevano aggiunto a beffa: "Sei il Messia, o Elia tornato in terra, o un altro profeta? Rispondici, ché possiamo riferire a chi ci ha inviato a interrogarti". Giovanni allora, mostrando di non aver colto l’ironia e placando il tono: "Sono solo la voce di uno che grida nel deserto: Preparate le vie del Signore, come profetò Isaia…"; "…ma perché battezzi, se non sei né il Messia, né Elia, né un profeta? Come osi?!" gli era stato rilanciato con tono sprezzante. Il battezzatore era tornato all'istante paonazzo e aveva gridato, spruzzandoli di saliva viscosa: "Io battezzo con acqua per il pentimento di conversione, ma colui che viene dopo di me ed era prima di me è già in mezzo a voi ed è più potente di me: io non son degno di calzare i suoi sandali o anche solo di scioglierne i legacci.

Sono venuto a battezzare con acqua soltanto per far conoscere il suo nome. Egli battezzerà nella Ruah

, il Vento dell’Altissimo, e nel suo fuoco. Ha in mano il vaglio e con questo monderà la sua aia, raccoglierà il grano nel granaio e brucerà la pula con un fuoco inestinguibile!". Quei loschi se n’erano andati soffiando velate minacce: "Riferiremo, riferiremo: sta' pur certo che riferiremo così come hai detto". M'è parso chiaro che Giovanni intendesse che il vero Messia è il nostro Maestro, ma mi sono chiesto qual fosse il significato preciso di fuoco: che chi non sarà col re Unto sarà bruciato sul rogo? e perché il fuoco anche nel benigno battesimo? Il battezzato si scotterà? Ne ho parlato ai condiscepoli. "No, Matteo", ha commentato il giovane Giovanni, "non si scotterà: le stesse Scritture paragonano l’Altissimo al fuoco che illumina e scalda, e quel fuoco battesimale è certo un simbolo del suo ardente amore". Ha ragione, il paragone è nell'Esodo, nel Deuteronomio e in Ezechiele: questo giovane ha più cultura di quanto pensassi! Comunque, è certo che per i nemici non si tratta d’un fuoco benigno; eh, no; no davvero.

Dopo aver ricevuto il battesimo, il nostro Maestro s’è ritirato, soffrendo la fame, a meditare e pregare nel deserto. Non sapevano precisarmi per quanti giorni, ma mi hanno riferito ch’erano assai numerosi, per cui si può dire, come nell’uso, per quaranta giorni, così com’è convenzione dire per quarant'anni a proposito del molto tempo passato da Israele nel deserto fra la fuga dall’Egitto e la conquista della nostra terra. Di sicuro, mangiare locuste, miele selvatico e radici, e per di più solo dopo il tramonto

, non sazia lo stomaco. Ho saputo da Giovannino, Gesú stesso gliene aveva parlato, che durante quel ritiro il Maestro è stato molto tentato dal maligno che gli ha promesso cibo in abbondanza e, ben più, potere regale e gloria, chiedendogli però sottomissione. Secondo il mio buon senso, doveva essere un emissario di Cesare, a parte che sicuramente aveva il Diavolo dentro: a quanto penso, Roma teme il Messia e vuol farselo amico promettendogli un regno fantoccio come quello d’Erode Antipa. Figuriamoci un po' se il re Unto dall’Altissimo potrebbe render conto all'imperatore bestemmiatore sacrilego, e immaginiamoci se può averne paura! No, invece abbatterà quell'impero del male, e io con lui; e sarò suo ministro! Per scrupolo voglio anche annotare che, secondo il mio giovane condiscepolo, il demonio avrebbe addirittura condotto, per magia, Gesú su un monte altissimo, mostrandogli tutti i regni del mondo e promettendoglieli in dono se il Maestro l'avesse adorato. Mi sembra un'esagerazione, continuo a pensare che gli abbia solo promesso il regno pupazzo del tetrarca di Galilea. Riferisco le risposte che Gesú, sempre secondo il giovane Giovanni, ha dato a quel maligno. Per quanto riguarda la tentazione che faceva leva sulla fame, gli ha risposto sdegnosamente: "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca dell’Altissimo!". È chiaro che solo uno sciocco poteva pensare che una tempra come Gesú cedesse per fame. Altra risposta al maligno servo dell’imperatore: "Sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini al tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede": il condiscepolo m’ha riferito che il maledetto aveva condotto il Maestro sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme, sfidando poi Gesú a buttarsi giù per mostrare a tutti il suo potere di Messia: infatti, avrebbe detto quel maligno con un ghigno, sicuramente gli angeli interverranno a sostenerti. "Voleva far leva sulla superbia del Maestro", ha commentato il giovane Giovanni, "ma gli è andata male, perché Gesú è umile". Alla fine l'emissario di Roma deve avergli proposto di adorare l'imperatore per esserne fatto re, perché ha ricevuto in risposta: "Adora l’Altissimo e a lui solo rendi culto!". Preciso che, secondo Giovannino, il Diavolo, com'egli lo chiama, avrebbe chiesto a Gesú d’adorarlo direttamente; ma è evidente che si riferiva all'imperatore, in quanto il prostrarsi al messo sarebbe stato un simbolo di sottomissione a Cesare. Comunque, poiché il nostro Rabbì ha una personalità fortissima, l'altro s'è rassegnato ad andarsene. Secondo il discepolo Filippo, ebreo ellenizzato che conosce la filosofia e uomo assai razionale, il racconto dell’incontro di Gesú con quel brutto figuro era simbolico, indicava allegoricamente le tentazioni entrate nel suo cuore durante il ritiro nel deserto e non solo, ma pure quelle subite nel corso della vita e che sempre ha saputo superare. "Dopo qualche tempo", ha aggiunto Filippo, "dev'essere passata una carovana e, essendo trascorso il periodo di digiuno che s'era ripromesso, Gesú ha potuto saziare la sua fame". Veramente Giovannino mi ha raccontato che, secondo il Maestro, si trattava di angeli dell’Altissimo. Per Tommaso, persona dal carattere assai pratico, potrebbero avere ragione tanto lui che Filippo: "Infatti, anche se fossero stati carovanieri ispirati dal cielo perché passassero di là a sfamare Gesú, si sarebbe trattato, di fatto, di messaggeri

dell’Altissimo". Ho chiesto ai compagni: "Visto che sa fare portenti, perché mai, quand'è scaduto il termine, non s'è sfamato con un miracolo, invece d'aspettare i messaggeri del cielo?". Simone Bar Giona m'ha risposto: "In quel tempo non lo conoscevo ancora, posso però dire che, da quando sono con lui, l'ho visto miracolare sempre e solo gli altri. A volte ha sofferto malanni, come quando ha preso una storta posando male un piede, ma non s'è sanato, ha atteso che la guarigione venisse da sola, col passare dei giorni".

Gesú, lasciato il deserto, s'è diretto al lago di Cafarnao, da altri detto di Tiberiade dal nome della capitale del tetrarca Antipa Bar Erode, dedicata all’imperatore Tiberio suo protettore, e da altri ancora, con un certo eccesso, chiamato mar di Galilea. Qui, lungo la riva, ha incontrato due parenti prossimi figli degli stessi genitori, i miei condiscepoli Simone e Andrea, semi di Giona

, che coi garzoni stavano gettando le loro reti nel lago per pescare. Ha loro ordinato: "Venite con me e vi farò pescatori di uomini" e i due, così com'è poi avvenuto per me, l'hanno seguito senz'altro; hanno affidato l’azienda al socio Zebedeo. Poco più in là, ha chiamato altri due pescatori, Giacomo e il giovane Giovanni, figli del medesimo Zebedeo, che hanno piantato padre, garzoni, barche e reti e gli sono andati dietro. Il genitore ha urlato loro, come un indiavolato, di non perdere tempo, ché Giovannino ne aveva già perduto fin troppo col battezzatore ed era pazzesco che addirittura entrambi i figli lo abbandonassero e, per di più, adesso che aveva anche le barche di Simone e Andrea da gestire; ha loro intimato, minacciando di diseredarli, di riprendere subito a lavorare. Inutile, se ne sono andati lasciandolo là che gridava: "Come farò ad affidarmi ai soli dipendenti? Ci deruberanno! Ci deruberanno!".

Usciti da Cafarnao, sulla via hanno incrociato un filosofo che Gesú aveva frequentato a Gerusalemme, Filippo di Betsàida. Dopo essersi riconosciuti e salutati, l'uomo gli ha confidato d'essere rimasto deluso dai propri maestri e che se ne stava tornando per sempre a casa propria. Gli ha precisato: "Nei primi tempi sembrava tutto coerente con quanto già sapevo, ma i vertici tenevano segreta la loro vera dottrina e quando, dopo l'iniziazione, ce l'hanno finalmente rivelata, ho capito che non corrispondeva interamente alla Torah di Mosè

. Per loro, il mondo era stato creato da un demiurgo, un arconte dell’Altissimo che gli aveva disobbedito, forse Satana anche se non lo chiamavano così, perché Colui che cammina sulla sfera di cristallo del firmamento

non aveva nessuna intenzione di creare il mondo materiale; e ci hanno insegnato che il peccato non viene dalla libertà dell'uomo, come si legge invece per Adamo che scelse di peccare, ma è nella materia stessa. Eppure sappiamo da Mosè che l’Altissimo contemplò quanto aveva creato e vide ch'era buono! I nostri maestri ci avevano insegnato che non bisogna procreare, perché ogni corpo umano è male, ma il Santissimo disse ai primi due sposi del mondo: Crescete e moltiplicatevi! Poi ci avevano addirittura introdotti alla magia, che la Legge condanna, insegnandoci a mescolare spiritualmente acqua, aria, terra, fuoco per trarne un'ineffabile quintessenza e quindi salire fino all'estasi per sentirci noi stessi parte dell'eterna luce divina; ma Mosè dice che l’Altissimo insufflò in noi lo spirito della sua vita solo quando ci creò, qui nel mondo, dunque che prima non eravamo, non che già vivevamo come parti di lui prima d'essere cacciati nei nostri corpi per la nefanda iniziativa del demiurgo. Una cosa sola di quell'insegnamento esoterico m'aveva commosso, l'idea della futura venuta d'un benigno rivelatore divino che ci avrebbe infine interamente illuminati, consentendoci di raggiungere la gioia". Gesú gli ha detto: "Se vuoi conoscere la vera parola del Creatore, segui me: io sono colui che doveva venire". Filippo, senza commenti, come guidato da forza divina s'è aggiunto al gruppo.

Proprio Filippo mi ha riferito che, di seguito, sono andati a Nazareth, circa un giorno di cammino, a prendere la madre del Rabbì, Maria, perché lei e il figlio erano invitati alla festa di nozze d'un cananeo loro parente.

Tre giorni dopo, entrati in Cana, il nuovo discepolo ha visto un amico che, con gli abiti delle feste, stava uscendosene di casa, invitato a sua volta al matrimonio, il rabbino Natanaele Bar Tolomeo, un uomo di grande idealismo. Dopo averlo abbracciato, Filippo gli ha detto con entusiasmo: "Troverai finalmente colui che cerchi: il Messia di cui parlano Mosè e i profeti è Gesú di Nazareth, figlio di Giuseppe!". "Forse che da quel paese può venire qualcosa che valga?" ha commentato Natanaele con disinteresse. "Parlagli, e vedrai!" ha insistito Filippo, e prendendolo sottobraccio l’ha presentato a Gesú. Allora il Maestro: "Bar Tolomeo, sei un israelita sincero che cerca sempre di tutto cuore la verità. So che, prima che noi giungessimo, tu stavi riposando sotto un fico". "Rabbì", s’è illuminato l’amico di Filippo, "poiché tu vedi anche dove non sei, tu sei davvero il Messia che attendevamo e io vengo con te". "Assisterai a fatti ben maggiori, amico mio".

M'ha raccontato Giovannino che, com’è nell'uso, sul far del mezzogiorno lo sposo, alla guida d'un corteo di amici, compreso Gesú, e accompagnato da suonatori, s'è recato dalla sposa. Questa intanto, con l'aiuto delle amiche e delle parenti, tra cui Maria, aveva fatto il bagno, s'era profumata e vestita d'una candida tunica stretta da una cintola alla vita e d'un velo bianco lungo dalla testa ai piedi e coronato di mirto. Dieci sue compagne vergini, vestite di bianco, con lampade accese sono andate incontro allo sposo e l'hanno condotto alla casa del padre della sposa. Qui i due promessi si sono seduti sotto un baldacchino. S'è posto il Telo della Preghiera sul loro capo. Il padre ha preso la mano destra della figlia e l'ha posta nella destra del promesso, pronunciando: "Il Signore di Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi e vi unisca in matrimonio. Faccia scendere la sua benedizione su di voi e vi consenta di vedere i figli e i nipoti sino alla quarta generazione". Quindi è andato dietro ai novelli coniugi, ha levato al cielo un calice di fragile vetro a benedizione loro e di tutti i parenti e l'ha passato alla coppia perché ne bevesse il vino. Il marito ha gettato quindi il calice a terra, infrangendolo, e ha giurato fedeltà alla moglie "sino a quando i frammenti non si ricomporranno da soli". Infine Gesú, Maria, i discepoli e tutti gli altri hanno preso a girare attorno agli sposini gettando loro orzo e grano ad augurio di fecondità e ricchezza. Verso il tramonto il marito, alla guida del corteo nuziale, ha condotto la moglie e gl'invitati alla propria casa, dov'era pronto il solenne pranzo di nozze offerto dal padre dello sposo; mi ha detto Giovannino: "Il banchetto è stato magnifico, pieno d’allegria, soprattutto quand’è venuto il momento di lanciare frizzi allo sposo. Gesú è stato il più brillante e, a differenza di altri, ha avuto molto garbo. Verso la fine però, la gioia degl’invitati ha rischiato di spegnersi, perché è terminato il vino. Allora il Maestro ha trasformato in un nettare squisito della semplice acqua, così che il padrone di casa non rimanesse mortificato e gl’invitati delusi". Mi ha precisato Giacomo: "È stata la sua mamma a chiederglielo, lui le ha risposto che non era ancora giunta l’ora di manifestarsi, ma alla fine ha accondisceso". Ha puntualizzato Giovannino: "Al suo diniego, Maria ha ordinato ai servi, come se il figlio avesse acconsentito, di fare quanto avrebbe loro comandato lui e Gesú, udendo queste parole, ha ceduto e obbedito a sua madre, perché le vuole molto bene. Fatta attingere acqua dal pozzo, s’è avvicinato alle giare e ha ordinato di mescerla nelle brocche di servizio; ebbene, via, via che l’acqua era versata, si trasformava istantaneamente in vino. Il maestro di cerimonia l'ha assaggiato, com'è suo dovere, ed è rimasto estasiato; è andato dal padre dello sposo a complimentarsi perché aveva serbato il meglio al termine, a differenza dell’uso di mescere vino scadente quando gl’invitati sono ormai brilli. L’altro, non sapendo, s’è mostrato del tutto compiaciuto: Modestamente, ha esclamato tirando indietro la testa e socchiudendo gli occhi, a casa nostra c’è sempre il meglio! Gesú, la madre e noi discepoli abbiamo udito, perché eravamo vicini, e non siamo riusciti a trattenerci dal ridere divertiti; il padrone di casa non ne ha capito la ragione, deve aver pensato a un qualche frizzo tra di noi, perché s’è allontanato raggiante proclamando ad alta voce, con un gran sorriso: Altre bevute squisite per la compagnia a spese mie, alla salute degli sposi!". L'avrà saputo in seguito, suppongo, dato che i suoi servi avevano assistito al miracolo".

"Sì", s’è intromesso a questo punto Simone Bar Giona che, seduto non lontano a riparare una rete, aveva ascoltato tutto, "è per quella trasformazione dell’acqua in vino che abbiamo definitivamente creduto in Gesú. Alla fine della cena il Maestro ci ha detto che, con quell’evento apparentemente incredibile, aveva voluto darci un segno d’un futuro evento meraviglioso che avrebbe avuto lui a protagonista e sarebbe accaduto per il bene di tutto il mondo; altro non ha aggiunto e noi non abbiamo osato chiedere precisazioni

; comunque, quella trasformazione a noi basta e avanza per credere in lui e seguirlo". Noi condiscepoli chiamiamo Simone L’entusiasta: cerca sempre di sapere ogni cosa per poter essere utile al Maestro e vuol sempre essere il primo ad aiutarlo, con una foga tale che, a volte, combina pasticci. In questi giorni è un po’ triste perché, stavolta, il Rabbì non l’ha scelto per accompagnarlo.

Tornato coi sei seguaci nella zona del lago, il Maestro ha iniziato a predicare. Ha guarito ammalati liberandoli dai demòni delle loro malattie e ha reso liberi pazzi furiosi dagli spiriti maligni che li possedevano

. Altri discepoli si erano intanto aggiunti: Simone di Cana, di famiglia farisaica ma libero girovago idealista, Giuda Taddeo, carpentiere e parente del Maestro, Giuda detto Tommaso

, geometra e costruttore, Giacomo di Alfeo, carpentiere e anch’egli parente di Gesú, e Giuda di Qerijoth di Giudea, l'Iscariota, l'unico non galileo, in passato mio impiegato al banco del tributo e che m’aveva lasciato per seguire Giovanni il battezzatore: parla continuamente di politica e corre voce che, da giovanissimo, fosse uno zelota, ma egli nega, forse per prudenza, ché si sa bene cosa fanno i romani a chi, anche solo, sia sospettato d'essere un partigiano! Per la stessa ragione, immagino, Gesú raccomanda a tutti di tacere i miracoli che compie, e non solo perché è infastidito dalle acclamazioni: se la notizia ch’è il Messia arriva agli occupanti prima ch’egli abbia raccolto un esercito, lo arrestano e lo crocifiggono. M'ha riferito Giacomo Bar Zebedeo che un sabato, mentre il Maestro stava leggendo e commentando la Torah in sinagoga, "con gran fascino", m'ha precisato, "altro che gli scribi!" un pazzo ha rimproverato Gesú: "Che c'entri tu con noi, tu che sei di Nazareth? Sei venuto a rovinarci? Io so chi sei tu: l'Unto dell’Altissimo". "Taci!" ha imposto il Maestro contrariato, quindi ha ordinato: "Esci da quell'uomo!" e uno spirito immondo ne è sortito. Sì, anche i diavoli hanno paura dell'Unto. Secondo Giovannino ‘sotutto’, l’Altissimo aveva predisposto tale situazione pure come un simbolo sul quale meditare: il giovane condiscepolo afferma che l’indemoniato si potrebbe vedere come chiunque sia legato soltanto alla Legge, del tutto soggetto ai sacerdoti e agli scribi, e non attenda più il Messia liberatore del popolo annunciato dai profeti, così come ormai non pochi oggigiorno in Israele, persone cui un qualche Diavolo ha tolto le speranze. Mah, non saprei, mi sembra un pensiero degno sì d’un ragazzo brillante come Giovannino, ma un po' troppo arzigogolato. Comunque sia, certo è che, per il momento, Gesú fa bene ad avere prudenza e a nascondere ch’egli è l’Unto dei cieli. Tuttavia, tante volte gli è impossibile evitare voci. Dopo aver cacciato quel demonio, ritiratosi coi suoi a casa di Simone e di Andrea, come Simone stesso m'ha raccontato, il Rabbì gli ha guarito la madre della moglie, che quella mattina s'era ammalata, e l'ha guarita così bene che la donna s’è unita alle consorti dei due figli di Giona per servire gli uomini di casa. Il Maestro l’ha fatto per bontà, ma pure perché di sabato nessun maschio può svolgere il benché minimo lavoro mentre la donna, se è vero che di sabato non può rassettare né cucinare e dunque prepara i cibi prima del tramonto del giorno precedente, nel giorno di riposo può però, anzi deve servire a tavola gli uomini di famiglia e quelli ospitati; e i convitati erano veramente tanti. Io, veramente, ricordavo d'aver sentito narrare quell'episodio solo qualche tempo dopo, da gente di piazza, ma è possibile che la memoria m’inganni e, d'altronde, Simone era presente. La madre di sua moglie, dopo il pranzo, dev'essere andata a raccontare alle vicine come fosse guarita miracolosamente, perché quasi mezza contrada, per così dire, tramontato il sole del sabato e scaduto il precetto del riposo, s'è riunita davanti alla porta conducendo infermi e inoltre, ben legati, due indemoniati furiosi. Gesú li ha guariti tutti, mostrando pure il potere di far tacere i diavoli della pazzia che cercavano di dirgliene d’ogni sorta. Con loro c'è riuscito, ma con la gente chiacchierona no: da quel momento le notizie sul Maestro non hanno smesso di passare di bocca in bocca.