I risultati della scuola razionalista sarebbero stati sì vanificati, ma solo negli ultimi decenni del XX secolo e dalla realista scuola cattolica storico-critica, la quale avrebbe usato vari criteri, tra cui i più importanti sarebbero stati quelli di continuità e di discontinuità , criteri di cui non è possibile qui trattare, essendo argomento troppo ampio, peraltro solo parallelo
.
La risurrezione di Cristo è da intendersi alla lettera, è unâopera concreta di Dio nella quale agiscono lâamore e la potenza del Padre, è lo storico risultato di unâazione diretta di Dio su Gesú e non sui suoi apostoli e discepoli: lâoperazione dei mitici sui Vangeli non era scientificamente corretta, a uno studioso che si occupasse seriamente di scritti di autori parimenti antichi, Tacito, Giuseppe Flavio, Cesareâ¦, non âverrebbe mai in mente di attribuire loro una siffatta libertà nel trasformare i referenti e nellâesprimere un significato nascosto diverso dal senso convenzionale delle parole usateâ
. Per prima cosa, âsi dovrà lasciar parlare il testo in discussione in ciò che esso ha da dire di per se stessoâ
. Ad esempio, nella lettera di Paolo ai Romani
è scritto, con attendibile significato letterale: âMa se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato
una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dioâ; e nella sua seconda lettera ai Corinzi troviamo: âAnimati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesú, risusciterà anche noi con Gesú e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio. Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giornoâ.
Tuttavia, anche se la Risurrezione, come lâincarnazione, la vita e la morte di Gesú, è da intendere alla lettera pena il crollo del Cristianesimo, noi troviamo utile parlare di Dio eterno e infinito e della sua azione, indirettamente, col ricorso alla simbologia, tramite analogie e metafore afferrabili perché basate sulla nostra finita esperienza filtrata dalla nostra limitata psiche. Però, attenzione! se è vero che il linguaggio biblico ricorre al simbolo, questâultimo è da intendersi secondo il suo etimo, non nel significato corrente più generico. Simbolo deriva dal verbo greco syn-bállein = mettere assieme
e nellâoriginario significato si riferisce allâuso nellâantica Grecia di spezzare irregolarmente un oggetto in due parti così che il possessore dâuna di esse, vale a dire del simbolo, potesse in seguito farsi riconoscere dalla controparte col farla combaciare con lâaltra. Nella Bibbia questo congiungere il significante simbolico e il concetto divino che sâintende significare e che riguarda una realtà (realtà non oggettivamente comprensibile dalla mente umana perché è infinita), consente, per comâè strutturata la psicologia dellâuomo, di capire di Dio quanto basta. Leggendo nel Vangelo secondo Giovanni della luce [di Cristo], si comprende non solo che non si tratta dâunâastrazione non partecipe della figura del Salvatore e che non si sta alludendo a una fonte materiale di luce, ma pure che si sta parlando di qualcosa di spiritualmente splendido, per via di similitudine trattandosi dâuna realtà ineffabile per noi, creature dalle menti magnifiche ma pur sempre limitate.
A titolo d'esempio, andiamo allâAntico Testamento, precisamente al Salmo 36:
âà in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la tua luceâ
.
In questo versetto ricorrono due simboli biblici della Divinità , simboli che torneranno nel Vangelo di Giovanni: la sorgente dâacqua viva e la luce. Qui la fonte luminosa non ha fisicità , è astratta e indipendente da qualunque astro ed è presente ovunque come pura illuminazione spirituale. à lo splendore divino, è la luce del volto di Dio, come nel Vangelo sarà quella del volto di Cristo il Figlio, luce fatta dâunâessenza che non è materia, però non disgiunta dal creato ma presente spiritualmente in ogni suo aspetto. La proposizione, nella Genesi, âDio disse: âSia la luceâ. E la luce fuâ
è la prima proferita dal Creatore, ed è per quella luce che il cosmo prende a esistere, vivo, compresi gli astri creati successivamente, ovviamente al di là della scienza che non è qui coinvolta al contrario della poesia: la luce spirituale viene solo da Dio, anzi è Dio stesso, e continua a mantenere lâesistente. Il Creatore esprime la sua essenza nel creato e immediatamente giudica buono quanto fa, già nel versetto successivo: âDio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebreâ
; vide, in altri termini, che lâespressione di sé nel creato era splendida cosa divina, luce del suo Essere proiettata nellâesistente. Poi la luce si fa fisica, Dio la divide dalle tenebre e fa il giorno e fa la notte; tuttavia la notte è metafora del peccato e dunque il simbolo è a sua volta presente: come poco dopo si saprà quando Adamo sarà tentato e peccherà , Dio intende concedere la libertà allâuomo che sta per creare, permettendogli di scegliere di fare la volontà divina, nella luce, o di porsi nelle tenebre tentando di sostituirsi a lui quale centro del mondo ed eliminandolo così dalla propria vita. Alla luce incorruttibile generata da sé che sâesprime nel primo giorno della Creazione, la Bibbia non farà più riferimento fino al Nuovo Testamento dove, nel richiamo a quei primi versetti della Genesi, la luce sarà uno dei simboli di Cristo. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 1 versetto 4:
âIn Lui era la vita
e la vita era la luce degli uominiâ
.
Cristo è visto come la luce in quanto Salvatore dal peccato e dalla morte; è il Logos, cioè lâIdea, cioè il Progetto di Dio di Slavezza per lâessere umano fin dapprima della Creazione.
Si può notare per inciso che il termine Lògos viene normalmente tradotto in italiano con le parole Verbo oppure Parola, perdendo una parte essenziale del significato; infatti con parola sâintende già l'espressione e non si richiama il precedente Progetto, l'Idea divina di Salvezza dell'umanità .
La stessa figura d'Adamo ha valenza simbolica, il suo nome Ha-adam significa L'uomo nel senso di l'essere umano (homo) maschio (vir) e femmina (mulier) d'ogni tempo (nella Genesi è scritto: âDio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò
) e il peccato adamitico è l'archetipo del peccato di ciascuna donna e di ciascun uomo d'ogni tempo: ogni peccato è sempre frutto di cattivo orgoglio, così come quello originale, è scelta arbitraria contro la legge morale divina, è volersi far miseramente dio onnipotente al posto del vero Dio onnipotente.
Il ben noto divieto edenico di Dio all'Uomo maschio e femmina di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male si può fraintendere, se non si conosca il significato siimbolico dell'espressione "bene e male" e del verbo "conoscere"; si può pensare, cioè, a una condanna della scienza e della filosofia,a un peccato "prometeico" che potrebbe, persino, essere visto da certuni non come peccato ma come un merito dell'essere umano, proprio come l'impresa di Prometeo contro un egoista Zeus che non voleva cedere il fuoco ai miseri uomini; invece no, la ricerca era tenuta in alto onore anche dagli antichi ebrei e, in particolare, proprio nel colto ambiente del secondo Tempio nel cui à mbito veniva scritta la Genesi nel VI secolo avanti Cristo: secondo il linguaggio simbolico antico ebraico "bene e male" indica tutto il Creato di Dio e "conoscenza" significa possesso (non solo carnale, ma in senso generale); dunque il vero divieto divino è quello di voler impossessarsi del Creato come se fosse proprio, cioè di volersi sostituire a Dio ignorandolo; in altri termini ancora, il divieto è quello di farsi Dio al posto del vero e unico Creatore. Il frutto simbolico di quell'albero altretanto simbolico è il peccato di superbia di volersi fare simili a Dio, proprio secondo la tentazione del serpente diabolico che dice: "...sarete simili a Dio". Leggiamo i versetti dall'1 al 7 del capitolo 3 della Genesi:
"Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «à vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture".
Il credente pensa che la capacità dâintuire lâinesprimibile grazie a simboli venga da Dio, come più in generale lâarte e quella stessa poesia che ricorre nella Bibbia. Nella Chiesa del I secolo, in cui il Nuovo Testamento si forma per la riflessione teologica sul fatto di Cristo Salvatore realmente risorto, predicato dagli apostoli e dai discepoli, sâuniscono, cioè sono simboli, il Gesú personaggio storico, coi suoi discorsi, i suoi segni, i fatti essenziali della sua vita, e il Cristo glorioso che la Chiesa post-pasquale interpreta e presenta alla luce della sua risurrezione; e ogni autore neotestamentario spiega tutta la storia dellâuomo alla luce di Gesú Cristo, come ad esempio Giovanni, o qualcuno della sua chiesa, nellâApocalisse
, totalmente allegorica ma storica sotto lâallegoria; ogni autore evangelico inoltre, parla della storia della predicazione, passione, morte e risurrezione di Gesú, come Giovanni nellâironico, teologico quarto Vangelo, il più ricco di simboli fra i quattro ma relativamente al quale non si deve assolutamente opporre simbolo a storia, in nessun caso pensare ad astratte allegorie: non si tratta dâuna narrazione fantastica ed è imprescindibile lâaccettazione non solo dellâesistenza fisica di Gesú di Nazareth, ma pure del suo coincidere sostanzialmente con la figura evangelica che Giovanni descrive, pena la mancata comprensione del messaggio dellâautore, fra lâaltro stimato dagli studiosi per il suo realismo. In altre parole, la storia di Gesú è sì trasfigurata simbolicamente, ma essa è presente e reale e non si tratta affatto di solitaria teologia, né men che mai dâun Gesú solo apparente e non vero uomo come nella gnosi cristianeggiante
: Giovanni non crea simboli ma li presenta alla luce della reale esistenza di Gesú trasfigurata dallâannuncio messianico che si trova nellâAntico Testamento, in cui gli stessi simboli già sono presenti; il simbolismo di Giovanni si capisce bene se lo si riferisce espressamente alla figura di Gesú Logos del Padre, Messia annunciato dallâAntica Scrittura, che assume la carne verso il 6 âa.C.â
della storia umana:
âVeniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomoâ
.
Avvalendosi della simbologia, Giovanni presenta la ragione della gloria di Dio fin dal prologo del suo Vangelo:
âE il Logos si fece carne [sarx]
e venne ad abitare [âpose la sua tenda,â] in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito del Padre,
pieno di grazia e di verità .
Giovanni (si tratta di Giovanni il Battista, non dell'evangelista) gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno lâha mai visto: