Mª del Mar Agulló
Rinascere
Titolo originale: Renacer
© Mª del Mar Agulló, 2018
Illustrazione di copertina: Enrique Meseguer
Disegno di copertina: © Mª del Mar Agulló
Intermezzi di scena creati da Freepik
Prima edizione
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A Iris
1. Kiara
Kiara era una normale ragazza rumena di campagna del XIX secolo. Come a tutte le ragazze, le piacevano i balli che davano i nobili quando venivano nelle loro case di campagna, le piaceva spettegolare con la gente del paese, e la appassionavano le storie romantiche, sognando un giorno di poter essere come una delle protagoniste. Tutti i libri raccontavano la stessa storia: una ragazza povera conosce un ragazzo nobile e ricco, si innamorano, all’inizio la famiglia di lui si oppone, quella di lei si dimostra entusiasta, ed alla fine i due giovani innamorati si sposano, per la gioia della famiglia della ragazza.
Kiara non conobbe nessun nobile, ma sì conobbe un uomo davvero affascinante che la rese felice, si chiamava Saùl. Dopo tre anni di matrimonio, ebbero il loro primo figlio, un maschio che chiamarono Isaac. Sette anni dopo la nascita di Isaac, Kiara era di nuovo incinta del secondo figlio.
Kiara stava per partorire, e la disperazione la stava consumando. Durante tutta la gravidanza aveva avuto incubi costanti, e persino, una attrazione per il sangue difficile da spiegare. Kiara aveva deciso di non dire niente a nessuno, anche se era un po’ preoccupata.
Una gitana di un villaggio vicino assisteva al parto, e si incaricava di aiutare le madri a mettere al mondo la loro prole.
La madre di Kiara, Adriana, che viveva con loro dopo essere rimasta vedova anni prima, si trovava fuori dalla casa per arrostire un agnello. La cugina Araquel, che era venuta da lontano per stare con sua cugina in occasione del parto, stava preparando la tavola per la cena, con le coppe in argento per il vino, usate soltanto nelle occasioni speciali, come era il bambino o bambina che stava per nascere.
Isaac non si separava da Kiara, che era a letto con forti dolori. Saùl dava da mangiare alle due mucche della famiglia, e si assicurava che la porta del pollaio fosse ben chiusa. Tutto era pronto per il parto.
La sera, Adriana stava cucendo dei vestitini per il futuro neonato. Più tardi, come già aveva fatto prima della nascita di Isaac, appese alla porta diversi amuleti portafortuna per il futuro nipotino.
Saùl, da parte sua, come se fosse un giorno normale, aveva lavorato tutta la giornata. Saùl era un contadino. Si occupava dei terreni dei vari vicini danarosi, e quando il lavoro scarseggiava faceva lavori da giardiniere, si occupava del bestiame, o quello che si presentava. Un’altra delle sue fonti di guadagno era la vendita di uova, di cibi pronti e di abiti tessuti da Adriana, che era una grande tessitrice, tutto il contrario di Kiara, che era più portata per la cucina.
La famiglia di Kiara non aveva molti mezzi. Viveva in una piccola casa di campagna con tre stanze, una piccola cucina, un salotto improvvisato che fungeva da veranda, un bagno, e la stalla.
La stalla era il posto preferito di Isaac. Trascorreva lì la giornata intera, quando suo padre non aveva troppo lavoro o sua madre non lo chiamava per aiutarla in qualche faccenda domestica. Era formata da due piani: al primo c’erano le due mucche, in un tramezzo, nell’altro completamente chiuso c’erano la dozzina di galline: il resto della stalla, ed il piano superiore, erano vuoti. Le galline le aveva portate Adriana con sé quando si era trasferita. Le mucche erano state un regalo del padrone dei terreni per il quale Saùl lavorava.
2. La nascita
La luna stellata apparve in piena notte annunciando la nascita. In quel momento arrivò la gitana per aiutare il parto. Il dolore non diminuiva e le contrazioni non cessavano, ma andavano aumentando.
In quel momento Kiara ruppe le acque, con un grido di dolore. Xantal, la gitana, che stava arrivando su un cavallo bianco, scese subito, legò rapidamente il cavallo ad un palo all’ingresso, ed entrò nella casa senza fare domande.
Kiara non ne poteva più. Le si leggeva in viso come il dolore la stava consumando, soffriva un dolore disumano. Rapidamente, la gitana estrasse dalla borsa un flacone violaceo e lo consegnò ad Araquel.
«Daglielo da bere» disse Xantal ad Araquel, indicando Kiara. «Il bambino uscirà meglio».
Adriana si affrettò a fare uscire Isaac dalla stanza, che si lamentò.
«Cos’è questo?» chiese Kiara con un filo di voce stringendo il flacone violaceo consegnatole da Araquel.
«Bevilo, ti calmerà» disse Xantal con il suo accento dell’est.
Xantal era una persona misteriosa, per il poco che si sapeva di lei era originaria di un villaggio costiero sul Mar Nero. Si diceva che praticasse la stregoneria, ma nessuno aveva le prove. La cosa più sospetta era un vasto orto con ogni tipo di strane piante, alcune velenose.
Dopo due lunghe ore di travaglio, la testina di un nuovo essere umano comparve nella stanza. Poco a poco, prima le spalle, poi le braccia, e per ultime le gambette, stavano uscendo. Era una bambina. Una bambina bellissima.
La gitana si affrettò a tagliare il cordone ombelicale. Adriana portò un grande recipiente pieno di acqua calda per lavarla.
Adriana, curiosa, chiese, «Come la chiamerai?»
«Aman» rispose Kiara, ancora convalescente.
«Benedetta dal male.»
«Esatto» rispose Kiara a Xantal.
All’improvviso, come se il destino la avvertisse di un pericolo, Xantal si chinò sulla piccola Aman. La contemplò per qualche secondo. Qualcosa non andava bene. Apparentemente la bambina era sana, tutto stava andando come previsto.
Dopo aver ispezionato la neonata per qualche secondo, lo vide. Uno strano segno che non presagiva nulla di buono. Xantal doveva decidere se dirlo oppure no. Scelse la seconda opzione.
Il segno aveva la forma di un piccolo cerchio con all’interno altri cerchi più piccoli, che formavano un piccolo vortice che passava quasi inosservato trovandosi dietro l’orecchio destro. In futuro sarebbe stato nascosto dai capelli, ma per qualcuno come Xantal, i dettagli quasi mai passavano inosservati.
Il segno aveva un mistero occulto. Gli abitanti più antichi del luogo lo collegavano con la trasformazione umana in altri esseri pericolosi ed oscuri, nella reincarnazione umana, e c’erano anche persone che lo mettevano in relazione con la personificazione del demonio stesso.
All’improvviso, soffiò una leggera brezza, infiltrandosi per le finestre, spegnendo le candele che illuminavano l’abitazione, lasciandola al buio. La casa restò impregnata di un profumo di gelsomino proveniente dal giardino, che era entrato con la brezza, con l’unico suono dei pianti della neonata.
Un altro cattivo presagio – pensò Xantal.
3. Una nuova casa
Poco dopo il sesto compleanno di Aman, a Saùl offrirono un lavoro fisso nella proprietà agricola di un ricco conte, che doveva trasferirsi in un altro villaggio, Harkaj. All’inizio la famiglia aveva dei dubbi, aveva vissuto sempre nello stesso luogo, con le stesse persone, ma il lavoro offerto a Saùl era ben remunerato, era un’opportunità da non lasciarsi scappare.
La nuova casa di Aman era adorabile. Era fatta di pietra e legno, con un tetto triangolare e grandi vetrate. Al piano di sotto c’era una grande stanza che fungeva da cucina, sala da pranzo e salotto. Al piano superiore c’erano le camere da letto. Ma ciò che piaceva di più alla famiglia era il meraviglioso panorama, dato che la casa si trovava a fianco di un piccolo lago.
Sul retro della casa, c’era un mulino ad acqua, e spazio per gli animali.
Poco dopo l’arrivo nella nuova casa, iniziarono la costruzione di un garage, dato che il conte aveva regalato a Saùl un trattore perché potesse svolgere meglio il proprio lavoro.
Inoltre la proprietà possedeva un imbarcadero, la famiglia non aveva nessuna barca, ma anni più tardi ne avrebbe acquistata una.
Anche la maggior parte dei vicini avevano le case a fianco del lago, il resto erano raggruppate nell’estremo nord. Lì si trovava la romantica Piazza Forte, in cui regnava una grande fontana romanica, a cui posteriormente era stata aggiunta una statua di donna seminuda. Le case prospicienti la piazza erano decorate con fiori dai toni rosati e rossi, come roseti, rose alpine ed altre varietà.
Il venerdì la piazza si trasformava, dando luogo ad un mercato spettacolare, sia per dimensioni, che per varietà di prodotti; la gente veniva da altre regioni a vendere, a comprare, o semplicemente ad osservare quello spettacolo. Infatti, in alcune occasioni i mercanti avevano la necessità di estenderlo verso la periferia del paese. Lì si potevano trovare dagli animali da cortile, animali esotici, cibo, stoffe, spezie alle pozioni, tra le altre cose.
Per sei anni, Aman fu una bambina normale. Sua nonna sembrava ogni giorno più giovane, secondo le malelingue, beveva intrugli per restare giovane, che acquistava da Xantal. La relazione dei suoi genitori ne aveva risentito, fingevano di essere due persone innamorate, quando in realtà erano due persone che provavano affetto e che condividevano la vita, era come se poco a poco, l’amore si allontanasse da loro. Il maggiore cambiamento era quello del fratello. Era diventato un adolescente molto diverso dal bambino di un tempo. Ora era più spento, soffriva. Da bambino, era l’allegria della casa. Era vivace, allegro, senza pensieri, ma crescendo le preoccupazioni avevano incrociato la sua strada. La preoccupazione aveva un nome, Lorena, una giovane di un paese vicino, ricca, bella ed elegante. La prima volta che la vide se ne innamorò. Passeggiava per il mercato. Indossava un abito blu, e i ricci dorati le ricadevano sulla schiena. Sorrideva ad uno dei giovani venditori della bancarella di ortaggi. Non avrebbe mai prestato attenzione ad uno come lui.
Vari anni dopo l’arrivo di Aman nella nuova abitazione, mentre stava tornando dalla casa di un’amica, alla quale la sua famiglia frequentemente vendeva uova e latte, incontrò un giovane appoggiato ad un albero. Indossava abiti costosi. Una giacca azzurra, con pantaloni abbinati molto eleganti.
Guardava Aman senza battere ciglio. Aveva uno sguardo sereno, in cui si leggeva la felicità.
Arrivata alla sua altezza, Aman proseguì come se non si fosse accorta della sua presenza, ma lui le mise una mano sulla spalla, mentre Aman diventava nervosa.
«Ciao, mi chiamo Florín» si presentò lo sconosciuto.
«Non so chi sei, né cosa vuoi, ma non ho denaro, la mia famiglia è molto umile, non possiamo darti nulla» disse Aman sulla difensiva facendo alcuni passi indietro.
«Non sono un ladro. Sono nuovo in paese. Scusa se ti ho abbordata così in mezzo alla strada».
Aman non sapeva cosa dire.
«Ti piacerebbe mostrarmi il villaggio?»
«Ho solo dieci anni! I miei genitori non me lo permetterebbero.»
«Non devono saperlo, possiamo essere amici in segreto.»
«Ma sei molto grande.»
«Non tanto, ho quindici anni.»
«Di dove sei?»
«Del nord, di un piccolo villaggio, che ti piacerebbe sicuramente» Florìn abbozzò un sorriso.
«Devo andare, addio.»
«Aspetta, conosci il rifugio degli innamorati? Domani pomeriggio ti aspetterò là.»
«Non conosco questo posto.» mentì Aman e se ne andò a lunghi passi.
Aman sapeva dove si trovava il luogo perché suo fratello ci andava con altri coetanei a spiare le coppiette, e qualche volta gliene aveva parlato. Si trattava di piccoli cerchi nel bosco completamente circondati da alberi, dove un tempo si praticava la stregoneria. Ogni cerchio aveva al centro i resti di un falò dove le streghe distillavano diverse pozioni. Inoltre, tutti avevano delle piccole rocce su cui si sedevano le streghe. Essendo lontani dal paese e non molto conosciuti, alcune coppie scappavano e si incontravano lì.
Aman non aveva intenzione di incontrarsi con Florìn, e ancora meno in un luogo appartato.
Florìn. Ogni volta che lo pensava le veniva da ridere. Non sapeva perché quel nome, anche se era molto comune, la faceva ridere. Ma per qualche ragione, non riusciva a toglierselo dalla testa. E all’improvviso, sentì una puntura dietro l’orecchio destro.
Anche il giorno seguente non pensava ad altro che a Florìn, e non le veniva più da ridere. Sentiva come un legame tra loro, anche se non pensava di andare all’incontro con lui.
Passarono due giorni senza sue notizie. Mentre stava lavando la biancheria in un grande catino nella stalla, qualcuno aprì la porta e si affacciò Era Florìn. L’espressione di stupore di Aman era grande.
Come osa? pensò Aman.
«Non fare un altro passo o urlo.»
«Tranquilla, volevo solo vedere se stavi bene, dato che non sei venuta al nostro appuntamento.»
«Vattene o mi metto a urlare.»
Florìn si voltò con l’intenzione di andarsene, e le disse,
«Oggi ti aspetterò di nuovo, non deludermi» e se ne andò senza dire altro.
Aman non sapeva se pensare che Florìn era pazzo, o che voleva farle del male. Continuò a lavare la biancheria pensando a cosa fare quel pomeriggio, dopo pochi minuti prese una decisione.
Quel pomeriggio Aman ci andò. All’inizio con un po’ di paura. Cercò tra i cerchi, erano tutti vuoti. Arrivò all’ultimo cerchio. Florìn l’aveva ingannata, si era preso gioco di lei, lì non c’era nessuno. Iniziò a camminare verso casa con il viso in fiamme per la rabbia. Ma in quel momento, prima di uscire dal bosco, si accorse di un piccolo sentiero che iniziava tra due alberi, che erano uniti in modo strano a formare un cuore. Aman vi si addentrò.
Era lungo. In alto i rami erano sempre più fitti, lasciavano entrare la luce a malapena. Al termine del sentiero c’era un altro cerchio, e seduto su una roccia, Florìn.
«Vedi questi resti di un falò? Prima qui si riunivano le streghe» disse Florìn a modo di saluto.
«Porti qui molte persone?» ad Aman batteva forte il cuore.
«Non ci ho mai portato nessuno. Quando ho scoperto questo luogo ho pensato che potevo portarci solo qualcuno di speciale, e questo qualcuno avrebbe scoperto questo posto come me, in modo che il destino ci avrebbe uniti per sempre.»
Aman si sentiva soffocare, pensò di andarsene, ma le sembrava maleducazione, in ogni caso, non conosceva Florìn.
«Me ne vado» disse Aman drastica.
«Perché? Voglio solo essere tuo amico. Non mi hai nemmeno detto come ti chiami.»
«Come sapevi dove abito?»
«L’altro giorno ti ho seguita, mi dispiace, so che un gentiluomo non deve fare una cosa del genere, ma ero preoccupato che qualcuno potesse farti del male.»
Aman immaginò che Florìn dovesse appartenere ad un famiglia di alto lignaggio. I suoi modi erano squisiti, i suoi abiti di alta qualità, ma non sapeva perché fosse tanto interessato ad una ragazzina come lei, di origini contadine. Non aveva molto denaro, l’unica proprietà che possedeva era la sua abitazione attuale. Le costava pensare quali altre attrattive potessero interessare a qualcuno come Florìn. Forse pensava di ingannarla come era successo ad altre sue compaesane, che se ne erano andate con ragazzi come Florìn, ed erano tornate causando la vergogna della loro famiglia, per lei era chiaro che non sarebbe accaduto.
Guardò Florìn, aveva una espressione serena, le trasmetteva sicurezza e tranquillità.
«Va bene, saremo amici, ma in segreto» Aman abbozzò un sorriso, che per Florìn fu il più bello mai visto fino a quel momento.
Cominciarono subito a parlare in modo molto naturale. Parlarono delle loro vite nei villaggi precedenti, di come si divertivano nel tempo libero, dei loro sogni.
Aman e Florìn iniziarono a forgiare una nuova amicizia. Ogni pomeriggio si incontravano nello stesso cerchio.
Un pomeriggio qualcosa cambiò. Quando Aman arrivava al cerchio, Florìn la stava sempre aspettando, ma quel pomeriggio non c’era nessuno, al suo posto trovò una lettera. Aman la aprì e la lesse:
Per la mia piccola Aman.
Mi dispiace dover informarti che non potremo più vederci. I miei pomeriggi non avranno più la tua allegria, né il tuo sorriso, né lo sguardo dei tuoi occhi verdi, né le tue storie ammalianti, né le tue lacrime per i pomeriggi perduti a causa della pioggia. Ma, soprattutto, non avranno te.
Spero che tu possa dimenticarmi e vivere appieno la tua vita, per me sarà impossibile perché mi mancherai sempre. Forse in futuro ci rivedremo, il destino deciderà.
Ricorda questi mesi come un sogno. Tu sei il mio sogno.
Con affetto, il tuo caro Florìn.
E leggendo la lettera, l’incantesimo dell’oblio, che trasformava i ricordi in sogni, infuso in lei, fece effetto.
4. Plamen
La bella bambina di un tempo si trasformò come un cigno in una donna la cui bellezza non passava inosservata. Aman aveva sedici anni, ma ne dimostrava qualcuno in più. Era diventata una celebrità nella zona grazie ai quadri che dipingeva tutti i pomeriggi all’imbarcadero. Quasi ogni giorno aveva dei compratori, arrivavano da tutta la Romania, persino da altri Paesi. Molti bambini le chiedevano se per favore gli insegnava a dipingere come lei, così qualche sabato faceva lezione ai bambini del villaggio.
Con il passare del tempo Aman aveva accumulato una piccola fortuna, permettendo alla sua famiglia maggiori privilegi, come l’acquisto di animali, utensili da cucina, e anche un’automobile di seconda mano il cui proprietario si era stancato. Avere un’auto era qualcosa di insolito, nessuno in paese né nei paesi vicini ne aveva una.
Era innamorata di Plamen da un anno e due mesi, un vicino bulgaro di diciotto anni che viveva in paese da due anni. Plamen era alto, con gli occhi azzurri, capelli biondi leggermente ricci, e abbastanza bello. Era il partner ideale. Spesso Aman diceva che lui era la sua ispirazione per dipingere.
«Aman, questo pomeriggio quando hai finito di dipingere, puoi venire a casa mia?»
«Certo, ma non sarà troppo tardi? Lo sai che ai miei genitori non piace che io vada in giro di notte.»
Plamen sorrise.
«Di me si fidano.»
«Lo so.»
Quel pomeriggio Aman dipinse una donna delicata, molto magra. Un quadro che poi avrebbe venduto ad un marchese per una fortuna.
Quando terminò di dipingere e ebbe raccolto tutti gli attrezzi, chiese il permesso a sua madre per andare a casa di Plamen.
«Nonna, grazie per avermi regalato il cavalletto, non mi stancherò mai di dirtelo. Mamma, posso andare a casa di Plamen?»
«Adesso?»
«Sì.»
«Tesoro, non sei più una bambina, certo che puoi andare, ma non tornare troppo tardi. Portati questo lume, sta già facendo buio, quando tornerai sarà già notte.»
«Grazie mamma, le madri delle mie amiche non sono come te.»
«Le tue amiche non sono come te.»
Kiara baciò Aman sulla guancia, che a sua volta baciò Adriana e se andò felice.
Arrivata a casa di Plamen non aveva ancora fatto buio. Bussò alla porta, ma sembrava che non ci fosse nessuno. Aspettò seduta sullo scalino del portone, subito arrivò un carro guidato da Plamen.
«Perdona l’attesa, ho dovuto andare a prendere un oggetto abbastanza lontano.»
Plamen scese dal carro e baciò Aman su una mano.
«Sono appena arrivata, dove sei stato?»
«Te l’ho già detto, lontano» Plamen abbozzò un sorriso, Amen fece una smorfia, le nascondeva qualcosa.
Entrarono in casa e Plamen si affrettò ad accendere vari lumi.
«Ho pensato molto tempo alla nostra relazione e sono arrivato ad una conclusione.»
Plamen iniziò ad accendere il camino per riscaldare la casa.
«La nostra relazione è perfetta, però sai che io cerco sempre di migliorare tutto ciò che è alla mia portata, e ora la cosa più bella che ho e che amo di più sei tu.»
Aman guardava Plamen senza dire nulla, prevedendo cosa stava per accadere.
«Voglio migliorare la nostra relazione, voglio formare una famiglia con te, un giorno voglio alzarmi presto e vedere i nostri figli correre per casa. Voglio superare le discussioni che arriveranno se facciamo questo passo, voglio vivere la mia vita con te, voglio che siamo due vite unite che confluiscono verso un unico centro. Mia amatissima Aman, mi faresti l’onore di essere mia moglie?»
Aman aveva ascoltato attonita la dichiarazione del suo ragazzo, era senza parole. Poche settimane prima le sue amiche le avevano suggerito che doveva fare il grande passo, o Plamen le sarebbe scappato, dato che era un uomo eccezionale.
Qualcosa dentro di lei le diceva di non accettare, non sapeva spiegarlo, era come un presentimento, come se il destino la avvertisse che il futuro le riservava un cammino separato da quello di Plamen.
«Dovresti prima parlare con mio padre.»
«L’ho già fatto, mi ha dato il suo consenso una settimana fa.»
«Se te lo ha dato da una settimana, perché hai aspettato tanto tempo per propormi il matrimonio?»
«Perché non avevo questo.»
Da una delle sue tasche Plamen estrasse un anello con una decorazione a forma di spirale, come il segno che Aman aveva dalla nascita.
«Ero andato a cercarlo, è perfetto per te. Anche se non accetti la mia proposta, accetta l’anello, è un regalo. Hai visto la decorazione? È come il segno che ho scoperto appena ti ho conosciuta» lo sguardo di Plamen era nostalgico, «cosa rispondi?»
Aman aveva dei dubbi, amava Plamen, ma non sapeva se era l’uomo della sua vita.
«Se vuoi puoi pensarci per un po’ di tempo, se è quello che vuoi» Plamen si dimostrava comprensivo, davanti al timore del rifiuto.
All’improvviso Aman alzò gli occhi, sorrise e si rivolse a Plamen.
«Certo che voglio sposarmi con te, essere tua moglie, la madre dei tuoi figli, e vivere il resto della mia vita accanto a te.»
Aman non sapeva se in futuro si sarebbe pentita di queste parole, ma come minimo avrebbe reso felice un uomo per un certo tempo, in ogni caso, avrebbe sempre potuto rompere il fidanzamento.
«Devo dirti qualcos’altro. In realtà, altre due cose.»
Aman ascoltava attenta.
«Devo tornare in Bulgaria. Saranno solo un paio di settimane, e quando tornerò potremo iniziare a preparare le nostre nozze, voglio che tu sia la mia sposa quanto prima.»
«Perché devi andare?»
«La mia famiglia venderà le terre che ancora possediamo nel nostro Paese. L’altra cosa che volevo dirti è che quando torno ti porterò a vedere il mare.»
Sentendo questa parola, ad Aman si illuminarono gli occhi, il mare. Aveva sempre desiderato andare a vederlo, da piccola le avevano raccontato un’infinità di storie collegate al mare. Non riuscì a resistere, si avvicinò a Plamen e lo baciò sulla bocca. Poteva considerarsi un comportamento sconveniente, ma era così felice per la notizia, che le fu impossibile trattenersi. Quello fu il suo primo bacio. Plamen l’avrebbe portata a vedere il mare, che per tante notti aveva sognato, che desiderava conoscere.