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Kali Yuga
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Kali Yuga


a volte neanche quello.

E stavolta i ricordi si inchiodano l’uno all’altro dentro ogni singola lacrima. Non ha memoria di quando pianse l’ultima volta, ma stavolta sente che sarà l’ultima. Le lacrime giocano a guardia e ladri con le goccioline d’acqua sempre più calde. Non un singhiozzo. Non uno spasmo del respiro. Non un movimento del capo. Solo una lacrima per ogni ricordo. Una per ogni rimpianto. Una per ogni rimorso. Non dura molto a dire il vero, ma stavolta è riuscito a svuotarsi completamente. Finalmente. È vuoto. È riuscito con tanta fatica a riportare l’equilibrio tra sé e il mondo esterno. È la prima volta. Certo sa che ora il vuoto non gli è solo tutto attorno, ma gli è anche dentro. Ma in fondo sapeva già che le cose stavano così. Era comunque un rischio da correre. Si sente sollevato. Ora è pronto. Per magia la sua attenzione viene rapita dallo scintillio della lama del coltello colpita dalla luce bianca. È sempre stato lì, accanto a lui. Il coltello per disossare il pollo che si era portato via quando aveva smesso di lavorare dal macellaio sotto casa dei suoi. Con la lentezza del bradipo la sua mano raggiunge il coltello affilatissimo, e, alla stessa velocità, la mente raggiunge i ben più taglienti ricordi dei suoi e della sua infanzia. Giocherella con il coltello e con i pensieri. Passa la lama lungo tutte le vene che ancora si vedono. Alternando a suo capriccio la pressione sulla propria carne, senza però far mai uscire neanche una stilla di sangue. E allo stesso modo si tortura con quello che gli è rimasto impresso a fuoco e a cinghiate nell’anima. Qualcuno potrebbe definirla un’infanzia infelice, Blue no. Per lui e per il suo orgoglio è semplicemente una normale infanzia imbellettata di ricordi duri. Duri come l’essenza stessa della violenza, dell’odio gratuito, del rancore che in fondo ancora lo logora. Eppure pensavo di esserci riuscito. Diventa il pensiero ricorrente e catatonico del ragazzo. Pensava di essere riuscito non solo a sopportare, ma anche a superare il tutto. A superare le notti al freddo con il caldo del bruciore dei lividi sulla pelle ed il gelo dell’anima. A superare la solitudine come autodifesa e cura al tempo stesso. A superare il ricordo degli ematomi procurati con la saponetta dentro al calzino. A superare la vergogna di sentirsi la colpa scolpita addosso per gli ematomi e le escoriazioni, espliciti agli occhi di tutti. A superare il fuoco che lo avvampava ogni volta che passava la mano sopra una nuova cicatrice. A superare lo sguardo vacuo, disinteressato, cieco della madre. A superare. A superare. A superare. A superare. A superare… La melodia di Bohemian Rhapsody proveniente dal night ferma il suo dondolare, abbassa lo sguardo. La lama si ferma sulla cicatrice della vena femorale, e con lei anche i suoi tarli mentali. Il manico del coltello è zuppo, eppure il legno sembra non aver subito alcun danno dalla prolungata esposizione all’acqua. Lo osserva meglio, ma non vede nulla. Si sofferma sulla parola ‘sembra’, sul suo significato, sul suo valore aggiunto. Agli occhi di un ignaro passante anche lui sembra senza alcun danno interiore. Nessuno dei clienti del negozio di noleggio di film nel quale lavora adesso, può pensare che lui abbia qualche danno o tara dell’anima. O forse sì, e lui non se ne rende o non se ne vuole rendere conto. Certo Jin è una così brava ragazza. Fa i turni con lui e con i due proprietari della videoteca. E anche lei ne ha passate un po’. Si vede da quello che nasconde dietro l’iride dei suoi delicati occhi giallastri. Lei sa. Come lui sa. Blue così schivo e infastidito dal mondo intero, riesce a modo suo ad aprire gli occhi a quelle poche persone che riescono a meritarsi e guadagnarsi la sua fiducia e la sua compassione. E lei è una di quei pochi. Ma adesso cosa c’entra Jin? Blue sente che sta divagando. Non deve. Non se lo può più permettere. O finirà di nuovo per sentire la sveglia delle otto e mezzo, che gli annuncia il momento di armarsi e partire per un nuovo giorno di lavoro pieno di sconosciuti e di ipocriti convenevoli. In fin dei conti se sente quella sveglia deve andare. È genetico, scritto dentro il suo maniacale, meticoloso, autolesionistico rispetto per gli altri. Gli altri che lo hanno sempre calpestato e sfruttato. Prima o poi l’hanno fatto tutti. Comprese le persone che aveva lasciato avvicinare. E più si sono avvicinare, più profondo è stato lo squarcio che hanno lasciato dentro di lui. Tutto finisce. Magra consolazione. O forse è meglio dire: bella frase del cazzo! Ebbene se tutto finisce perché non riesce, ora, a finire se stesso? Eppure conosce bene i vantaggi di questo gesto. Ha cominciato ad elencarli dentro la stanza mentale adibita alla riabilitazione dalle torture sin dalla tenera età di… non ricorda più da quanto tempo lo pensa. Forse è dentro di sé da sempre questo istinto di liberazione dal ben più noto istinto di sopravvivenza. Altro getto d’acqua gelida. La lavatrice della cicciottella del primo piano è arrivata al risciacquo. E la lama adesso è puntata sotto la quarta costola, dritta al cuore. Ci pensa un attimo e lo coglie un’espressione di stizza per il pessimo tempismo subìto. Sposta il coltello e con il braccio sinistro ripete la solita procedura idraulica. Con il raffreddarsi della temperatura si raffreddano anche i suoi istinti. E quando l’acqua torna ad una temperatura decente si sente un perfetto imbecille. Lì, con il sedere un tutt’uno con il tappetino della doccia, con le ginocchia quasi in bocca, a notte fonda. Non sposta più neanche il getto d’acqua e la lascia scorrere lungo la parete e sul pavimento annerito della vasca, proprio sotto i suoi piedi infreddoliti e raggrinziti. Se Jin lo vedesse ora, sarebbe indecisa se dargli del cretino o dell’imbecille, o forse gli darebbe entrambi gli appellativi aggiungendo, per una volta, anche qualcosa di più forte, come… deficiente! E già, lei è la ragazza più dolce che Blue abbia mai incontrato. Si può benissimo affermare che è una ragazza a modo, come direbbe quella stronza di sua madre. Eppure anche Jin ha i suoi problemi. Di fatto più che una videoteca sembra un ricovero per disadattati. Ma in fondo i due padroni sono brave persone, Blue non è più in grado neanche di frequentare i bar o i pub dove non ritrova persone degne almeno di non essere disprezzate. E in più è consapevole di aver alzato fin troppo i suoi standard di giudizio. Eppure un po’ di gente decente la conosce. Non è proprio tutto da buttare via. Certo prendendo tutti con le dovute precauzioni. Vedi quei tre deficienti che frequentava a scuola. Gente a posto, certo, ognuno con i propri difetti, però complessivamente gente a posto… ettciuù. Forse è il caso di spostare di nuovo l’erogatore dell’acqua. Giusto per non morire


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