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Svolte Nel Tempo
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Svolte Nel Tempo


“Certamente, Duce”, aveva assicurato Bocchini, anche se con la produzione aeronautica egli aveva a che fare come il salame con le fragole alla chantilly.

“Se non me l’avessi detto tu non lo crederei; mille chilometri all’ora: formidabile; ma tornando alla donna morta: la sua presenza nel velivolo corrobora quanto ho detto prima”.

“?”

“…ma sì, che si tratta di spionaggio! La donna, in quanto tale, non poteva essere una militare, semmai un’interprete, o qualcosa del genere, d’un servizio segreto”.

“Sì Duce. Indagherò. Intanto, se permettete, continuo a riferirvi”.

“Procedi”.

“Con altrettante ambulanze, le tre salme son state ricoverate nella camera mortuaria dell’Ospedale Militare di Milano, dove vengono piantonate in attesa d’autopsia. Sono giunti nello stesso tempo sul luogo dell’impatto speciali autocarri e gru mobili dell’Aeronautica, tutti con grosse gomme chiodate o cingoli per terreni non asfaltati, e si è riusciti a caricare il mezzo e a liberare la zona dall’ingombrante presenza, ovviamente dopo aver vietato il traffico su tutto il percorso, ché il disco occupa quasi l'intera larghezza dello stradone”.

“Danni alle colture locali?”

“Eh, sì, Duce, tra cingoli e gomme chiodate, e considerando che fino alla strada asfaltata c’è solo il viottolo in terra, i campi ai due lati del medesimo hanno avuto notevoli danni”.

“Risarciremo i proprietari. Ne avvertirò il prefetto locale... di quale provincia?”

“Varese, Vergiate è in provincia di Varese”.

“Sì, Varese. Foto del disco?”

“Sì, Duce, sono state prese moltissime fotografie”.

“Vederle subito”.

“Le stanno stampando, Duce. Per domani mattina al massimo, con corriere espresso della Pubblica Sicurezza, saranno sulla vostra scrivania”.

“Bene. Va’ avanti”.

“Il velivolo è stato ricoverato non distante dal luogo dell’atterraggio negl'impianti delle ex Officine Elettrochimiche Dottor Rossi, acquistati tempo fa dall’industria d’aerei SIAI Marchetti che li ha trasformati in fabbrica d’aeroplani. Accanto allo stabilimento la SIAI, di concerto col Ministero dell’aeronautica e con l'intervento del Genio aeronautico, ha approntato una pista per i voli di prova”.

“Quanto alla sicurezza?”

“Un manipolo11 (#litres_trial_promo) della Milizia della caserma Berta monta la guardia tanto al disco che alla pista; gli ho affiancato due marescialli dell'OVRA, che mi riferiranno quotidianamente”.

“Tutti devono essere sempre freschissimi di mente, per non subire un solo attimo di disattenzione. Il loro turno sarà di ventiquattro ore?”

“No, Duce: cambio del manipolo e dei miei uomini ogni dodici ore, proprio perché tutti stiano sempre all’erta”.

“Va bene. Senti, Bocchini, è inutile sottolineare che questo fatto ha oggi priorità assoluta. Immediatamente deve partire il divieto alla stampa di parlare dell’accaduto, solo dovrà dirsi dell’aerolito naturale e insistere su tale favola, anche se notizie vere fossero già state raccolte da qualche organo d'informazione. Provvedi tu a mezzo della Stefani e falle precisare ai giornalisti che gli autori, anche solo, di minime voci diverse saranno denunciati al Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato”.

Il pesante effetto di tale denuncia sarebbe stato il confino politico nell’isoletta prospiciente Ventotene, adibita al soggiorno coatto di esponenti non allineati della cultura e di giornalisti non abbastanza ligi agli ordini trasmessi con le cosiddette veline dell’Agenzia Stefani.

“Ciao, Bocchini. Ti richiamo”, aveva concluso Mussolini.

Il capo dell’OVRA, risposto al saluto e attaccato il ricevitore, aveva alzato la cornetta d’un altro suo apparecchio, ch'era in diretta comunicazione con la centrale della Stefani, e aveva passato le disposizioni tassative che aveva ricevuto dal Gran Capo. Aveva comandato d’inviare tali ordini a tutti i mezzi d’informazione per via telegrafica lampo.

S’era attivata senz’indugio la sede milanese dell’Agenzia, non solo perché era la più vicina al luogo dell’atterraggio, ma in quanto a Milano risiedeva il capo della Stefani Manlio Morgagni e tale sezione era considerata egualmente importante, se non più, di quella di Roma.

Immediatamente dopo era stato fornito telefonicamente all’Osservatorio di Brera da Bocchini in persona l’ordine di prodigarsi subito per passare alla stampa il “bollettino scientifico” attestante che l'oggetto visto nel cielo di Milano era assolutamente naturale, un aerolito che s’era poi abbattuto al suolo in aperta campagna; sarebbe seguita una sollecita lettera di conferma al direttore della specola, che gli sarebbe stata recapitata a mano da un corriere della Pubblica Sicurezza: lettera solo da visionare e da riconsegnare subito al latore, che l’avrebbe riportata all’OVRA che l’avrebbe archiviata fra i documenti classificati segretissimi.

Capitolo 2 (#ulink_c5cd3dad-18ae-5216-9025-1033b24437a7)

Sarebbero rimasti a lungo su quel pianeta azzurro di massa appena minore di quella del loro mondo e che aveva mari e continenti.

Subito dopo l’immissione della cronoastronave in orbita standard, i cronoastronauti avevano lanciato i satelliti d’ispezione, per la mappatura e il rilevamento di eventuali forme biologiche. Analizzati i dati, avevano riscontrato vita animale entro gli oceani e i maggiori specchi d’acqua lacuali, ma non sulle terre emerse, pur essendo state notate vestigia d’una civiltà ormai estinta. La vegetazione sulla terraferma, ch’era in notevole parte desertica, andava dai muschi ai cespugli e agli arbusti e nell’acqua e sulla sua superficie passava dalle alghe alle ninfee: nessuna forma vegetale più complessa era presente su quel mondo.

Gli esploratori scientifici vi erano discesi a bordo di dischi da sbarco che si muovevano secondo il principio dell'antigravità, sfruttando l'energia solare della stella più prossima e, di riserva, quella prodotta con la fusione nucleare nella cronoastronave e immagazzinata negli accumulatori delle navette. Ciascuna di queste aveva in dotazione standard quattro missili armati con bombe, due potenti disgregatrici e due a fusione termica, che non dovevano servire quali armi se non in casi estremi, ma per operazioni scientifiche, ad esempio per aprire un terreno a fini d’indagine geologica. Semmai, in caso d'ostilità di nativi o presenza di belve sui luoghi di sbarco, tutti peraltro assenti su questo pianeta, ogni disco poteva lanciare raggi che stordivano e paralizzavano temporaneamente. Quanto alla difesa personale, ciascun ricercatore portava una piccola ma efficace arma paralizzatrice individuale. Ognuno era dotato inoltre, per le più diverse necessità, d'un eclettico microelaboratore che, a seconda delle psicologie, o era stato impiantato chirurgicamente nel cerebro ed era attivabile col pensiero, oppure era tenuto in tasca o alla cintura e poteva essere acceso e usato con la parola. Ciascuno, infine, aveva indosso un piccolo contenitore con moscerini elettronici spia, attivabili a voce e utili per esplorazioni del territorio in quasi assoluta segretezza, apparendo essi come semplici insetti.

Nell’oceano e in laghi del pianeta alieno gli astrobiologi avevano catturato numerosi esemplari vivi di varie specie acquatiche, immessi in due grandi vasche del sigaro, come familiarmente era detto il vascello cronocosmico, una d'acqua salata e l'altra d'acqua dolce. Piante acquatiche erano state inserite in quelle vasche ecologicamente.

Gli storici e gli archeologi della spedizione s’erano concentrati sulle vestigia e su altri reperti della civiltà scomparsa situati attorno ed entro l’area di sbarco; s’erano osservate, fotografate e riprese iscrizioni su monumenti e lapidi, sulle pareti interne d’edifici e su manufatti. Sempre sulla terraferma s’erano raccolte strutture ossee di animali quadrupedi e bipedi di varia taglia e, di particolarissimo interesse, scheletri che ricordavano per forma e dimensione, con non forti dissomiglianze, quelle stesse degli scienziati: oltre che bipedi, bimani e binocoli e, data la posizione delle orbite, a visione stereoscopica. S’erano rinvenuti nelle strade rottami di automobili e in fatiscenti capannoni e su ampi spiazzi, che dovevano essere stati in un lontano passato aeroporti ed erano ormai coperti da intrichi di cespugli e muschi, carcasse d’aeroplani. In quelle che dovevano essere state le abitazioni della specie dominante s’erano raccolti piatti in maiolica, bicchieri di vetro, pentole in alluminio e altri utensili da cucina, nonché quanto restava di frigoriferi, lavatrici, radio e televisori. In certi edifici i ricercatori avevano ricuperato quaderni e libri, in parte con pagine ingiallite sottili e fragilissime e con scritte sbiadite quando non del tutto scomparse, in parte formati da fogli di miglior qualità che, grazie pure a inchiostri superiori, avevano sufficientemente resistito al tempo, pur soffrendo macchie e muffe, e presentavano scritture evidenti. Alcuni di quei reperti grafici consistevano in calcoli matematici. In un appartamento particolarmente degno d’attenzione era stato rinvenuto a terra un dipinto accanto a quanto restava d'un arrugginito chiodo ormai quasi del tutto in polvere, il quale doveva essersi distaccato dalla parete chi sa quando, portandosi dietro il quadro. L'ambiente doveva essere stato un tinello. Era stato ricuperato nello stesso locale anche un apparecchio audio con all’interno un disco fonico registrato, in buono stato. Accanto, stesi a terra, giacevano due scheletri, l’uno di adulto, ancor avvolto in panni ormai consunti a causa del tempo, e l’altro, senza vesti, d’un neonato o forse d’un feto. In quella che doveva essere stata una sala di proiezione, s’erano rinvenute bobine di pellicole, a un primo esame rovinate; però sulla nave, scorrendole con gran cautela, s’erano scoperti due tratti, in altrettanti rulli, ancora abbastanza in buono stato. Erano stati consegnati all’esperto di restauro videosonoro. I suoni dei film erano risultati nondimeno irrecuperabili, perché assolutamente danneggiato era il paio di piste, non ottiche ma magnetiche e dunque particolarmente deteriorabili, che si svolgeva lungo i due bordi d’ogni pellicola: il sonoro doveva essere stato stereofonico. In uno dei due tratti di pellicola, il meno danneggiato e ch’era stato restaurato per primo e passato a computer, gli studiosi avevano potuto osservare una strada con pedoni sui marciapiedi e uno scorrere non intenso di veicoli con motore a scoppio, di forme simili a quelle delle carcasse di auto e camion ritrovate. Restaurato anche il secondo tratto recuperabile di pellicola e trasferite a computer le immagini, s’era potuto vedere un campo vacanze estivo di gente nuda.

Capitolo 3 (#ulink_ec037b83-b1cb-50e4-a1c6-576a6bf4442b)

La mattina del 14 giugno 1933, sul presto, il “fascista della prima ora” Annibale Moretti, debitamente istruito e stanco per la notte insonne a parte alcune brevi pause pisolanti sopra una sedia, era stato lasciato libero di lasciare la caserma Giovanni Berta e tornarsene a casa: fra tanti ringraziamenti per la collaborazione prestata.

La sua bicicletta era rimasta alla Stazione dei Carabinieri perché il giorno prima era stato trasferito al presidio della Milizia sopra una camionetta; il Moretti s’era rassegnato a farsi tutta la strada a piedi fino a casa, distante una decina di chilometri dalla caserma, ché nessuno, dal comandante all’aiutante maggiore, al centurione addetto alla sicurezza del reparto, all’ufficiale di picchetto, s’era sognato di favorirlo ordinando per lui un passaggio motorizzato. Nemmeno l’avevano ristorato, né con la cena la sera precedente né, almeno, con la prima colazione quella mattina, assieme alla truppa se non altro, s'era detto Annibale, se non presso il circolo sottufficiali o, magari, ufficiali. Con lo stomaco vuoto, aveva fatto sosta nel primo caffè che aveva incontrato, che esibiva l’insegna 'La Megasciada': veramente, più un trani12 (#litres_trial_promo) che un caffè, ma dotato di macchina napoletana13 (#litres_trial_promo) per i pochissimi avventori astemi e, la notte, per quei tranatt troppo ubriachi per tornarsene a casa dalle mogli senz’aver ingurgitato, prima, un buon litro d’ammazzavino. Erano le 8 in punto quando il Moretti s’era seduto ordinando caffè e pane. Aveva visto che nel locale c’era un apparecchio radiofonico e aveva chiesto d'ascoltare il giornale radio. Era stato accontentato e Annibale aveva potuto udire, sentendosi citare anonimamente, proprio il comunicato che aveva sperato: “…e il bolide celeste è stato visto per primo da un bravo agrario, fascista ante Marcia, che subito ha avvisato, con la tipica diligenza del vero fascista! i Regi Carabinieri i quali, con altre forze dell’ordine, hanno recuperato e consegnato alla scienza quanto restava dell’oggetto celeste”:

La notizia di quel meteorite era stata diffusa fin dalla sera prima dall’EIAR14 (#litres_trial_promo) e dalle edizioni del tardo pomeriggio dei quotidiani e, il dì seguente, da quelli del mattino e dai primi giornali radio. Annibale non s'era stupito sentendo del bolide, infatti nella caserma Berta era stato ripetutamente invitato, da vari ufficiali, a studiare a memoria una frase che proprio di bolide parlava, scritta a stampatello il pomeriggio precedente, sopra un foglietto, dal comandante Trevisan, ma precedentemente ideata e comunicata per telefono al medesimo dal meticoloso Bocchini. Era una lezioncina pedante da ripetere in pubblico e in famiglia: “Si tratta d’un bolide, cioè d'un oggetto naturale caduto dal cielo, però non rotondo ma dalla strana forma di pietra discoidale, un po’ come quelle che si lanciano sull’acqua per farle rimbalzare, ma molto più grande”. Al mattino, sul presto, prima il capo manipolo che montava di picchetto, poi il centurione addetto alla sicurezza e alle informazioni e, infine, il primo seniore Trevisan, per l’occasione giunto in anticipo da casa, avevano interrogato l’agrario con scrupolo. Questi aveva dato prova, tutte le volte, di conoscere la lezione alla lettera. A precisa domanda del comandante, rivoltagli poco prima di congedarlo, egli aveva assicurato che così esattamente avrebbe detto e giammai diversamente, aggiungendo deciso per maggiore credibilità: “Sì, ma certo, si capisce bene ch’è un grosso sasso piatto dal cielo, e come no? è così evidente, signor primo seniore!” In cuor suo tuttavia l’uomo, essendo di fine intelligenza anche se aveva completato solo la terza elementare, non se l’era proprio bevuta ed era rimasto convintissimo – altro che palle! mica era un pistola, lui! – che quello era un aviomobile bello e buono, a forma di strano disco e segretissimo, sissignore, e non un oggetto naturale caduto dal cielo.

Sempre in quella mattina del 14 giugno 1933, nello stesso momento in cui il Moretti stava facendo la sua prima colazione nel trani ascoltando il giornale radio e ragionando fra sé e sé, Mussolini, nel proprio ufficio, stava di nuovo riflettendo su quell’aeromobile sconosciuto: 'Prototipo francese, inglese o germanico?'. “La Germania”, s’era detto, “mi pare poco probabile, quell’isterico baffo da Charlot è al potere da pochi mesi e prima, con tutti i bordelli che avevano lassù i germanici, di sicuro non pensavano a progettare nuovi velivoli15 (#litres_trial_promo). Però adesso 'l sbàfi16 (#litres_trial_promo) Adolf sta mettendo ordine in fretta”: Mussolini non aveva in simpatia quel suo imitatore politico adorante che, parlando in pubblico, soggiaceva a momenti isterici e, come gli avevano riferito i servizi segreti, scadeva in privato, in certi momenti, nella più grave melanconia piena di paura per il giudizio del mondo e colma di senso d’inferiorità, cosa assolutamente inconcepibile, invece, per un sanguigno burbanzoso come il Duce ch’era certo-certissimo d’essere ammirato, soprattutto da capi e ministri d’altre nazioni, come ad esempio il Cancelliere dello Scacchiere britannico Winston – Winnie – Churchill che gli aveva fatto visita a Roma nel ’29 17 (#litres_trial_promo) e ch’egli chiamava il sigarone – “gran fumatore di sigari Montecristo numero 1”, gli avevano riportato gli efficienti servizi dell'OVRA –; ma essere ammirato da 'l sbàfi Adolf non gli piaceva mica poi tanto, ve'!

Eppure era stato proprio l’esempio di Mussolini a dar alimento all’azione di Adolf Hitler, 'l sbàfi per il Duce, capo d’un movimento analogo al fascismo, sorto sulle fondamenta d'un minuscolo Partito Tedesco dei Lavoratori divenuto il Partito Nazionalsocialista che aveva espresso tutto ciò che di violentemente aberrante covava sotto la sconfitta tedesca, in primo luogo i tradizionali militarismo acceso e il razzismo, in cui il Führer dai baffetti alla Charlie Chaplin aveva pescato a man bassa nel costruire la sua dottrina funesta che l’aveva portato al vertice della Germania il 31 gennaio di quello stesso anno 1933 in cui in Italia si sarebbe catturato, in giugno, il disco volante.

Il telefono bianco del Duce aveva trillato. Nonostante fossero ormai le 19 passate, Mussolini era ancora nel suo studio presidenziale.

Era Bocchini: “Duce, vi saluto!”

“Novità?”

“Conosciamo la probabile nazionalità dei tre cadaveri”.

“Bravo! Come s’è saputa?”

“Facilmente, grazie alle scritte di servizio all’interno del disco, tutte in inglese, e inoltre ad altre, nella stessa lingua, sulle etichette interne della biancheria intima dei tre morti. Purtroppo, su magliette e mutande non risultano indirizzi aziendali di Gran Bretagna o d’altro Paese anglofono, ma la prima nazione, vista la sua potenza e la situazione politica attuale, sembra la più probab…”

“...certamente! La Gran Bretagna è probabilissima! Quelli là sono maestri nel ficcare il naso a casa altrui; e se è vero che sigarone mi ha in gran simpatia, è pur sempre un patriota inglese. Bene, Bocchini, tu sai cosa devi fare coi servizi dell’OVRA, mentre a quelli militari faccio mandare disposizioni io”.

“Sempre ai vostri ordini, Duce, ma ho un altro paio di cose da dirvi”.

“Dille”.

“Anzitutto, s’è rivelata del tutto precisa la vostra idea che si trattasse non di collaudatori ma di spie: lo si è capito quando in un comparto interno del disco si sono trovati altri abiti borghesi, questi di foggia cittadina e non, diciamo così, vacanziera come quelli indossati dai morti, e soprattutto, si sono scoperte divise fasciste”.

“Ah! Volevano atterrare, travestirsi e spiare, quei boia! Sull'aeromobile ci sono rullini e pellicole cinematografiche già impressionati?”