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Svolte Nel Tempo
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Svolte Nel Tempo


“No, Duce, non se ne sono trovati, e nemmeno pellicole vergini, né macchine fotografiche o cinematografiche; ed ecco l’altra cosa: si sono rilevati diversi piccoli obiettivi esterni, sopra e sotto il disco e lungo la sua circonferenza, che presentano la particolarità di non immettersi in camere ma d’essere collegati, pare attraverso onde radio, ad apparecchi interni che sembrano essere radiotrasmittenti ma che, stranamente, non hanno valvole”.

“Radio senza valvole?! Cos'altro hanno inventato quegl'inglesi del malanno?”

“Potrebbe trattarsi di camere di ripresa e di radiotrasmissione d’immagini, sul tipo di quelle della televisione sperimentale inglese, il che suffragherebbe l’ipotesi di spionaggio da parte di quella nazione; però, Duce, sono radiocamere18 (#litres_trial_promo) piccole, anzi piccolissime, non mastodontiche come quelle che avevamo fotografato segretamente alla BBC19 (#litres_trial_promo)”.

“Qui ci vuole Marconi, eh?”

“Sì Duce”.

Guglielmo Marconi era l'inventore del telegrafo senza fili e uno dei padri del sistema radio. Era tra le più importanti figure del regime, presidente dal settembre 1930 dell’Accademia d’Italia, premio Nobel per la fisica e inoltre, fra il molto altro, ammiraglio della Regia Marina Militare nella quale, dopo una breve parentesi nel Genio, aveva militato durante la Grande Guerra.

“Tu, Bocchini, pensi che volessero trasmettere foto e filmati fin là in Inghilterra?”

“Il sospetto mi sembra lecito, Duce”.

“...e purtroppo adesso Marconi è per mare a far esperimenti. Che area sta incrociando il suo panfilo?”

“L’ammiraglio è sulla rotta di ritorno, nell'Oceano Indiano presso il Mar Rosso, ma sappiamo da lui stesso, via radio, che affonderà l’àncora alcune volte ancora, per altri esperimenti che ha in programma”.

“Non posso sollecitarne il ritorno, le sue sono sempre sperimentazioni basilari per l’Italia; ma non appena sarà in Patria, l'interpellerò. Intanto tienimi informato costantemente su tutti gli sviluppi relativi a quell’aeromobile straniero, telefonami anche a Villa Torlonia20 (#litres_trial_promo) se lo ritieni utile, anzi senz'altro fallo in caso d'altri avvistamenti d’aeromobili strani. Ciao, Bocchini e… bravo!”

Subito Mussolini aveva ordinato ai servizi segreti militari di mettersi in particolare allerta in Gran Bretagna, pur senza trascurare le altre nazioni industriali anglofone, e d'indagare in particolare su aerei a forma di disco, macchine cinefotografiche senza pellicola e apparecchi radio senza valvole capaci d'inviare immagini.

Quella stessa sera, poco prima di lasciare l’ufficio e rientrare a Villa Torlonia, il Duce aveva ancora disposto, d’impulso come gli accadeva sovente, di richiamare dalla Cina il genero Gian Galeazzo Ciano conte di Cortellazzo e Buccari che, quale Console plenipotenziario, risiedeva a Shanghai con la moglie contessa Edda nata Mussolini: era balzata improvvisamente in mente al Duce l'idea di metterlo a capo dell’Ufficio Stampa, l’organo romano incaricato del controllo e della guida dei media con l’ausilio del Bocchini e della Stefani, portandosi così “direttamente in casa”, aveva detto alla moglie Rachele quand’era rientrato per cena, la direzione della sorveglianza sull’informazione21 (#litres_trial_promo). La consorte aveva solo borbottato, e non era stata la prima volta, che quell’azidèint d’ànder in cà,22 (#litres_trial_promo) ambizioso e oltretutto con quella vocetta non tanto maschia, ve', mica le piaceva poi tanto, ve'!

Nella seconda mattinata del 14 giugno Annibale Moretti, giunto a casa, aveva avuto l’infausta idea di rivelare ai famigliari la verità sul disco; e la sera stessa il suo unico figlio, un diciannovenne prossimo a partire militare di leva, aveva avuto la pessima iniziativa, dopo cena, di parlarne alla combriccola dei propri amici a 'Il Rebecchino', il trani del paese dove si riunivano, fra gli altri, i braccianti di suo padre, un tempo vigorosi comunisti odiatori del padrone, poi assoggettati di forza al regime, infine sedotti da Mussolini, come tantissimi altri proletari rurali e operai, con certi vantaggi loro concessi come i circoli d'intrattenimento e le gite dell'Istituto Nazionale del Dopolavoro, o come gli asili e le colonie marine e montane per i figlioletti. I braccianti del Moretti, a causa della loro linguaccia lunga e dell’incontenibile invidia per il padrone, la quale nonostante l'ormai consolidata sudditanza al fascismo restava desiderosa d'un po' di sfogo, avevano raccontato la mattina seguente, dappertutto e alle guardie civiche per prime, che il loro padrone aveva detto bugie grosse come una casa, perché non aveva visto un sasso piatto, ma un aeroplano nemico a forma di disco ch’era precipitato vicino a un suo campo. Insomma: patatràc! Annibale Moretti era stato prelevato a casa sua e internato in manicomio: s’era fatto in modo che tutti sapessero che il poveretto era pazzo ed era per il suo bene che l’Autorità s’attivava per curarlo, ché confondere pietre con aerei poteva solo creare complicazioni internazionali e, insomma, era un povero matto ma a lasciarlo libero il pericolo c’era, per lui e per tutti. Quanto al figlio, anche se s’era ben guardato, come d’altronde sua madre, dal commentare con chicchessia il ricovero del padre, aveva ricevuto giorni dopo, un po' prima del tempo, la cartolina precetto ed era finito in un battaglione del Genio guastatori da cui era uscito un mese dopo in briciole entro una bara di metallo sigillata, a causa di malaugurato incidente d’addestramento dovuto all'imperizia della recluta Moretti nell'uso dell'esplosivo: forse era la verità, ma il sospetto d'una disgrazia procurata da qualche sgherro di regime infiltrato nel reparto aveva invaso il cuore della madre; ella se n'era tuttavia rimasta zitta senza presentare denunce, né la Procura Militare aveva autonomamente ritenuto di dover indagare. La signora Moretti era stata lasciata in pace e, anzi, aveva ricevuto sollecitamente una pensioncina: ella non aveva avuto noie non solo perché aveva taciuto, ma non secondariamente perché, in quel tempo, le donne erano ancora considerate assai poco, e nulla del tutto se appartenenti al popolo ignorante, per cui, comunque, alle affermazioni d'una rurale semianalfabeta si sarebbe dato lo stesso credito che si sarebbe potuto riservare al chiocciare d'una gallina.

Del povero marito “fascista della prima ora” s’erano perse le tracce per un pezzo, essendo stato trasferito di manicomio in manicomio, finché un giorno, nel gennaio 1934, era arrivata una cartolina a casa: non una lettera, così che gl’impiegati postali del paese potessero leggere e, sperabilmente, divulgare, e ciò s’era puntualmente verificato. Con tale cartolina s’avvisava la signora Moretti che il misero consorte era morto in Sardegna in ospedale a causa di polmonite e si chiedeva se si potesse seppellirlo senz’altro nel camposanto locale oppure se i famigliari volessero andare colà per trasportarselo al cimitero della loro terra. La moglie avrebbe dovuto rispondere entro cinque giorni dalla data di spedizione se avesse voluto trasferire la salma del consorte, in caso contrario il silenzio sarebbe valso come assenso all’inumazione nell'isola. Già erano passati i cinque giorni, quasi di certo il Moretti era stato seppellito; la vedova aveva dunque rinunciato ad agire, anche considerando i costi e le difficoltà, per una donna sola e ignorante, di recarsi in Sardegna, provvedere alla riesumazione e far spedire il feretro fino al paese lombardo.

Mussolini, avendo dormito beatamente per tutta la notte, entrato verso le 7 del mattino del 15 giugno 1933 nella sala da bagno per i normali bisogni del risveglio, orinando aveva preso una delle sue decisioni lampo:

Non appena in ufficio, erano le 8 e 10 minuti, aveva convocato, entro un’ora! il ministro dell’Educazione Nazionale Francesco Ercole e quello della Guerra Pietro Gazzera23 (#litres_trial_promo): l'argomento che avrebbe presentato interessava pure i ministeri degli Esteri24 (#litres_trial_promo) e degli Interni, ma ne era a capo Mussolini stesso, ad interim; aveva però fatto venire il sottosegretario agl'Interni Guido Buffarini Guidi in quanto, di fatto, questi aveva la direzione di quel ministero.

Esattamente quarantanove minuti dopo, i due ministri e il sottosegretario, attraverso la porta a due ante dello studio-salone preventivamente spalancata da un valletto, prospiciente lo scrittoio e la scranna del Capo del Governo che si trovavano quasi al fondo nella parte opposta del locale, erano entrati affiancati e s’erano diretti a passo di corsa verso il Duce, sempre fianco a fianco, secondo recentissime disposizioni di Mussolini in persona; intanto il valletto richiudeva dietro di loro l'uscio: ufficialmente l’ordine di correre aveva lo scopo di ridurre il tempo dedicato alle udienze, lasciandone maggiormente al Gran Capo per altre incombenze; soprattutto però, a Mussolini piaceva moltissimo vedere quei signori in camicia e giubba nera obbedirgli ridicolmente: dal giugno 1935 avrebbe addirittura fatto saltare ginnicamente tutti i suoi gerarchi nei cerchi di fuoco durante il cosiddetto “sabato fascista” o, più precisamente, durante il pomeriggio dello stesso dì, dedicato alla ginnastica e all'educazione para militare, dovere che avrebbe riguardato nondimeno, ahiloro! tutti gl'italiani. Già il fatto di percorrere camminando la lunga sala, col Duce impettito al fondo dietro alla scrivania presidenziale, braccia conserte, mascellone impennato e occhi dritti agli occhi del convocato di turno, o transitanti da uno all’altro dei convenuti quand’erano più di uno come nel nostro caso, avrebbe messo in notevole soggezione, ma il fare il salone a passo di corsa domava del tutto e rendeva docilissimi quando ci si veniva a trovare innanzi al Duce. Ricevuti gli ordini poi, i convocati dovevano salutare romanamente il loro Capo supremo, fare dietro-front e, sempre affiancati e a passo di corsa, hop, hop, uscire dalla porta, nel frattempo riaperta dall’usciere cui Mussolini aveva dato preavviso premendo un pulsante sulla scrivania non appena gli stessi gli avevano dato le spalle. Egli non desiderava, in fondo, avere collaboratori, a parte il fido Bocchini, ma semplicemente marionette.

Con poche parole aveva dato ordine ai due ministri e al sottosegretario di costituire presso l’Università La Sapienza di Roma, “a tempo di record!” un gruppo segreto di scienziati e tecnici, “denominato, convenzionalmente”, aveva soggiunto, “Gabinetto RS/33, acronimo di Ricerche Speciali anno 1933”: Mussolini, ex maestro elementare, si piccava d’essere un grande esperto della lingua italiana e non era affatto nuovo nel coniare sigle o espressioni; anche il misteriosissimo acronimo OVRA era suo.

Il gran Capo non aveva convocato cogli altri un quarto ministro, anch’egli basilare per il costituendo Gabinetto, quello dell’Aeronautica generale Italo Balbo, e l’aveva invitato, da solo, per le ore 16; sapeva bene infatti che, essendo quell’uomo un fascista della primissima ora e uno dei quattro capi in testa della Marcia su Roma, i cosiddetti Quadrunviri della Rivoluzione, e in primo luogo essendo assolutamente convinto del proprio valore, mai e poi mai Balbo si sarebbe presentato umilmente e addirittura a passo di corsa, sempre pronto com’era, anzi, a criticare in faccia il Duce, magari aggiungendo qualche insolenza. D’altronde egli godeva d’enorme favore nel Paese gareggiando in popolarità con lo stesso Mussolini. Era uno dei pochissimi nell'agone politico a dargli del tu, che il Duce si riceveva ma con fastidio: provava grand’invidia nei confronti di Balbo, anche se la mascherava e non aveva fatto nulla al momento per danneggiarlo, ma riservandosi d’allontanarlo alla prima buona occasione: ci sarebbe riuscito alla fine dello stesso 1933 promovendolo al più alto dei gradi aeronautici, maresciallo dell’aria, dopo avergli indirizzato alti elogi e, poco dopo, il 26 novembre, facendolo nominare dal re governatore della cosiddetta Quarta Sponda, la colonia italiana di Libia, in tal modo, di fatto, esiliandolo.

Quella stessa sera del 15 giugno, dopo aver ricevuto Balbo e avergli dato gli ordini, il Duce aveva incaricato la polizia politica OVRA nella persona del fido Bocchini di supervisionare il lavoro del costituendo Gabinetto e di riportargli ogni notizia in merito.

A tempo di assoluto record, in ogni capoluogo di provincia era stata costituita, segretamente, un’apposita “sezione speciale RS/33” dell’OVRA con il compito primario d’avvisare il Bocchini a ogni nuovo eventuale avvistamento di velivoli sconosciuti, di qualsivoglia forma, e d’interessarsi immediatamente e direttamente di plagiare testimoni non militari. Ogni avvistamento doveva essere segnalato tramite un formulario ideato dal Bocchini stesso, siglato RS/33.FZ.4, il cui modello era stato trasmesso sollecitamente, con apposito dispaccio, a tutte le prefetture italiane e, da ciascuna di queste, a tutti i dipendenti comandi delle forze di sicurezza nonché alle caserme locali della Milizia; analogo modello, destinato agli ufficiali dell’Aeronautica, era stato inviato dall'ufficio ministeriale di Balbo a tutti i comandi aerei perché lo diramassero ai reparti dipendenti. Mussolini aveva anche deciso che qualsiasi rapporto relativo ad avvistamenti da parte di soggetti civili dovesse passare per l’OVRA e da questa esser mandato a lui personalmente e ai gerarchi Italo Balbo in quanto ministro dell'Aeronautica e Gian Galeazzo Ciano come direttore entrante dell’Ufficio Stampa, nonché alla sede centrale romana del Gabinetto RS/33.

Anche Balbo, pur se non era uno studioso, era stato cooptato nello stesso Gabinetto, per la sua determinazione nel promuovere la Regia Aeronautica Militare, essendo il suo motto: “Bisogna sublimare la passione del volo fino a rendere l'Italia il paese più aviatorio del mondo”. Quanto ai membri scienziati, a capo dell'RS/33 era stato posto Guglielmo Marconi. Essendo però egli in crociera attorno al globo sul proprio panfilo-laboratorio Elettra – il nome era lo stesso della figlia –, Mussolini aveva deciso che, per il momento, il Gabinetto sarebbe stato diretto dall’astronomo e matematico professor Gino Cecchini dell’Osservatorio di Milano Merate: nelle intenzioni del Duce solo provvisoriamente, tuttavia, data la latitanza anche successiva del premio Nobel in molt'altre ricerche affaccendato, il Cecchini sarebbe rimasto definitivamente a capo dell’RS/33. Gli altri scienziati erano appartenenti alle classi di medicina, scienze naturali, fisiche e matematiche della Reale Accademia d’Italia, a parte il Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici conte e senatore Luigi Cozza, che era stato assunto nel Gabinetto quale referente organizzativo e membro di collegamento col Governo.

In primo luogo si trattava di capire il funzionamento dell'aeromobile straniero, per poterne costruirne non solo di simili, ma sperabilmente di migliori, mantenendo così all’Italia, “in modo formidabile” secondo le parole del Duce, il primato tecnico aviatorio che, in quegli anni, le era riconosciuto nel mondo e, con esso, la concreta supremazia militare nell’aria e la soggezione psicologica all'Italia di tutti i potenziali nemici. Il programma comportava la concentrazione delle ricerche, al più presto, in un centro dotato d’impianti modernissimi, ch'era stato denominato, da subito, Istituto Centrale Aeronautico e che s'intendeva creare fuori Roma ma non lontano dalla sede universitaria dell’RS/33; era stato presto individuato il luogo, il campo d’aviazione Barbieri a Montecelio, dove gl’impianti sarebbero sorti fra il ’33 e il ’35 e attorno a cui sarebbe stata edificata la nuova città di Guidonia.

Capitolo 4 (#ulink_0267a3ad-d581-571c-b66a-42fee238c354)

Come appariva dal secondo spezzone restaurato di film, i nudisti alieni erano individui simili agli esseri umani a parte alcuni considerevoli caratteri:

Avevano un viso simile al muso dei koala terrestri, ma privo di peluria, e quattro dita per mano come, d’altronde, quattro erano quelle degli scheletri umanoidi ritrovati, e per questo l’aritmetica di quella specie intelligente, come risultava da fogli con calcoli e come s’era potuto verificare, dopo la decifrazione dei simboli, grazie ai conteggi della ventottenne dottoressa Raimonda Traversi, geniale matematica e statistica dell’équipe, era a base otto25 (#litres_trial_promo): gli antenati di quei koala antropomorfi dovevano aver iniziato a far di conto, nel lontano passato, sulle loro otto dita, mentre gli esseri umani avevano preso a computare sulle loro dieci creando, diversamente, un’aritmetica decimale; altra differenza rilevante era un marsupio sul ventre delle femmine: “Specie mammifera marsupiale placentata”, aveva decretato, con assoluta ovvietà, il maggiore dottor Aldo Gorgo, cinquantenne segaligno e allampanato, medico chirurgo militare di bordo e biologo coordinatore del gruppo scientifico astrobiologico.

Tutti i ritrovamenti denunciavano che, al momento della sua scomparsa, la civiltà del pianeta 2A Centauri26 (#litres_trial_promo) s’era trovata nella stessa situazione scientifico-tecnologica della Terra della prima metà del XX secolo; tuttavia, a una prima approssimativa datazione dei vari manufatti e degli scheletri, era risultato ch’essi erano collocabili in un’età coeva agli anni terrestri fra il 1650 e il 1750 per cui la civiltà aliena, al momento della sua estinzione, aveva preceduto di oltre due secoli quella del nostro pianeta: al ritorno a casa, la datazione sarebbe stata ripetuta con strumenti assai più sofisticati di quello portatile in dotazione alla cronoastronave 22, ma assai probabilmente il risultato non si sarebbe scostato di molto.

Grande era negli scienziati il desiderio di scoprire la causa della scomparsa di quella razza intelligente. In primo luogo avrebbe potuto dare una risposta la registrazione sul disco fonico recuperato, dopo la pulizia sonora e un lavoro d’interpretazione, non facile nonostante l'ausilio dei robot traduttori; e avrebbero potuto giovare anche due documenti cartacei rinvenuti nella medesima stanza; ma questo studio e altri si sarebbero potuti svolgere solo dopo il ritorno sulla Terra, nell’Università La Sapienza di Roma per conto della quale la missione scientifica era balzata su quel lontano pianeta; e ormai il momento del rimpatrio era giunto, essendo quasi passato il periodo, corrispondente a un massimo di tre mesi terrestri dal momento della partenza, entro il quale era fatto obbligo di rientro da una legge del Parlamento degli Stati Confederati d’Europa, la Legge del Cronocosmo.

A fine cena la comandante, il maggiore ingegner Margherita Ferraris, aveva comunicato senza preamboli agli ufficiali fuori servizio e agli scienziati, tutti seduti con lei attorno alla gran tavolata della sala mensa e riunioni: “Signori, tra poco si torna a casa”: Margherita era una nubile trentasettenne slanciata e sfiorante il metro e ottantacinque, nera di chioma e dal viso pienotto e grazioso: una persona decisa e un ufficiale assolutamente brillante; s’era laureata col massimo dei voti, una dozzina d’anni prima, in Ingegneria Spaziale al Politecnico di Torino e, essendo stata ammessa per concorso, durante l’ultimo biennio, anche all’Accademia Cronoastronautica Europea, collegata a quello e ad altri politecnici del continente, aveva ottenuto il grado di tenente del Corpo assieme alla laurea; entrata in servizio, era stata assegnata dapprima come secondo ufficiale a un vascello cronoastronautico che portava il numero 9, vale a dire il nono in ordine di costruzione, e anni dopo era salita a sub comandante dello stesso sigaro col grado di capitano: s’era fatta un’esperienza completa, in quanto la nave 9 era stata impegnata prima in missioni spaziali e, negli ultimi anni, in viaggi nel passato della Terra; di recente Margherita era stata promossa maggiore e aveva avuto il comando del novissimo vascello 22.

“Sono ansioso di ascoltare il disco sonoro, non appena l’avremo accomodato nel nostro laboratorio a Roma”, aveva detto ai commensali il professor Valerio Faro, direttore presso La Sapienza dell’Istituto di Storia delle Culture e delle Dottrine Economiche e Sociali, uno scapolo quarantenne bruno di capelli alto quasi due metri e di fisico robusto.

“Sì, anch’io ne sono ansiosa”, aveva fatto eco la dottoressa Anna Mancuso, ricercatrice di Storia e collaboratrice del Faro, una siciliana trentenne dai fini lineamenti e occhi grandi verdi, bionda perché lontana discendente d'occupanti normanni della sua isola, bella nonostante la non alta statura d'appena un metro e settantaquattro, contro la media femminile europea di uno e ottanta.

“Io pure ho gran curiosità al riguardo”, era intervenuto l’antropologo professor Jan Kubrich, un quarantacinquenne professore associato dell'Università La Sapienza, biondastro rotondetto alto un metro e ottantacinque, statura media per lo standard maschile del tempo, uomo scientificamente rigoroso, ma appassionato purtroppo della Vodka Lime fino al punto di mettere a repentaglio la propria salute.

Aveva fatto séguito Elio Pratt, quarantenne professore associato d’Astrobiologia a La Sapienza, specializzato in fauna e flora acquatiche, nonché subacqueo eccellente distintosi in gare d’immersione nei mari terrestri: “Io ho già potuto avere molti risultati sulle specie che ho adunato nelle due vasche, ma certamente una volta a Roma potrò di molto approfondire”.

“Seguirò con gran interesse il vostro lavoro e credo che potrò esservi utile nelle traduzioni”, aveva detto da parte sua la matematica e statistica Raimonda Traversi.

Il coordinatore del gruppo astrobiologico dottor Aldo Gorgo non aveva invece parlato: essendo lui il medico militare di bordo e non un docente o ricercatore universitario, semplicemente avrebbe continuato il suo servizio sulla nave, lasciando il prosieguo delle ricerche agli altri studiosi.

Meno di un’ora dopo, tempo terrestre, la nave 22 aveva lasciato l’orbita del pianeta dirigendosi nello spazio profondo per compiere, dalla distanza di sicurezza regolamentare, il balzo cronospaziale verso la Terra: come già all’arrivo prima dell’entrata in orbita, 2A Centauri s’era presentato ai cronoastronauti nella sua interezza, coperto di ghiacci nelle zone artica e antartica, entrambe senza terre sottostanti, e con due continenti, entrambi in area boreale, grandi ciascuno poco meno dell’Australia, divisi da uno stretto braccio di mare, mentre l’altra faccia del globo era coperta interamente da un oceano.

Alle 10 e 22 minuti, ora di Roma, del 10 agosto 2133 la cronoastronave 22 s’era immessa in orbita attorno al nostro mondo. Sulla Terra erano trascorse poco più di diciotto ore da quando, alle 16 e 20 del 9 agosto, la spedizione scientifica s’era imbarcata con destinazione il secondo pianeta della stella Alfa Centauri A: era stato grazie al dispositivo Cronos del sigaro che sulla Terra non era passato neppure un giorno, anche se la spedizione era rimasta a lungo su quel mondo alieno. La fatica che gravava su tutti era però quella dei mesi di lavoro sopportati.

Gli scienziati e la parte d’equipaggio che avrebbe goduto del primo turno di franchigia erano desiderosi di rilassarsi, chi non avendo famiglia in una vacanza tranquilla, chi nella quiete domestica ritrovando i propri cari dopo la lunga separazione. I famigliari, al contrario, non soffrivano mai il senso del distacco, per essi infatti passava ben poco tempo prima del ricongiungimento. Dopo le prime esperienze, i viaggiatori e i loro cari s’erano abituati alle conseguenze di tali anacronismi, fra i quali l’invecchiamento di chi era partito, sia pure non evidentissimo in quanto anche per questo motivo, oltre che per lo stress che comportavano, le missioni non potevano superare il tempo massimo di tre mesi. A differenza di quanto previsto dall’Einstein per i semplici viaggi spaziali a velocità prossima a quella della luce, per cui l’astronauta sarebbe rimasto giovane e gli abitanti della Terra sarebbero invecchiati, le spedizioni con balzi temporali non influivano sull’età del cronoastronauta, egli subiva solo l’azione invecchiante naturale dovuta al trascorrere dei mesi durante i soggiorni su altri pianeti e, per i cronoviaggi, sulla Terra del passato.

Le comunicazioni dal e col nostro pianeta erano rimaste interrotte fin dal balzo della nave 22 verso il pianeta alieno, avvenuto per ragioni di sicurezza, secondo i regolamenti, dalla distanza d’un milione di chilometri dall’orbita lunare: le trasmissioni radio e televisive erano del tutto inutili perché, viaggiandole le onde a una velocità appena tendente a quella lentissima della luce, sarebbero giunte a destino dopo gran tempo: sul pianeta 2A Centauri sarebbero arrivate dalla Terra all’incirca 4,36 anni più tardi,27 (#litres_trial_promo) quando ormai gli esploratori sarebbero ripartiti da un pezzo. Era sempre così nei viaggi spaziali e, ovviamente, a causa dello sfasamento cronologico, pure in quelli nel tempo: i cronoastronauti restavano del tutto isolati, i soli “collegamenti”, volendo chiamarli così, erano quelli detti “congelati”, si trattava cioè di tutte le informazioni relative alla Terra, dalle storiche più antiche alle recentissime, tratte dagli elaboratori elettronici pubblici del mondo e racchiuse, fino a un momento prima di partire, nelle memorie dei computer di bordo e, per certi dati, pure in quelli individuali dei membri dell'equipaggio e dei ricercatori: anche tali elaboratori personali, nonostante l'estrema piccolezza, erano potentissimi, con capacità di memoria e prestazioni inimmaginabili al tempo dei primi goffi personal del XX secolo e degli stessi PC dei primi decenni 2000.

Non appena entrati in orbita, la comandante Ferraris aveva ordinato d’aprire il contatto con l’astroporto di Roma, nel quale i ricercatori e il personale in franchigia s’accingevano a sbarcare.

Shock!

Anche se la rigorosa disciplina di bordo aveva impedito all’equipaggio d’esprimere emozioni, la situazione era apparsa di colpo oltremodo allarmante: le comunicazioni da terra erano giunte in tedesco! Eppure la lingua universale, da tanto tempo ormai, era l’inglese internazionale, anche se gli altri idiomi, fra cui la lingua di Goethe e di Hitler, non erano defunti e, fra intimi, li si parlava ancora, così come un tempo era stato per i dialetti.

Come l’equipaggio e gli studiosi della 22 avrebbero meglio capito di lì a poco, alcunché di storicamente terribile era accaduto e li aspettava giù a terra, qualcosa che stava per sconvolgere le loro attese contente e che già aveva annullato, come se mai ci fosse stata, quella buona vita di cui, per ottant’anni, avevano goduto l’Europa e molti altri Paesi, e alla quale anche il resto della Terra era ormai prossimo grazie a un patto fra tutti gli Stati del mondo, stipulato nel 2120, che aveva portato, sull'esempio di precedenti casi storici zonali,28 (#litres_trial_promo) a un mercato internazionale interamente senza dogane, considerato da tutti un primo abbozzo di unione politica mondiale: sull’esperienza storica non s’intendeva creare, come seconda fase, una moneta unica senz’aver prima unito il mondo politicamente e costituito, parallelamente, un istituto d’emissione centrale globale dotato di pieni poteri monetari; era stata infatti appresa l’amara lezione dell’Europa dei primi anni 2000 in cui l’euro aveva preceduto l’unione politica con gravi danni per molti Stati aderenti, bisognosi a un certo punto di maggior moneta senza che potesse venir loro in soccorso un autonomo Istituto d’emissione europeo, situazione per la quale l’unione stessa aveva rischiato, per un certo tempo, di sfasciarsi, fino a quando non era prevalsa, alla buon’ora, la ragione ed era sorta la Confederazione29 (#litres_trial_promo) politica europea con la propria Banca Centrale d’emissione. Peraltro la storia della Terra era stata particolarmente sofferta già dapprima della crisi europea, della sua conclusione e del prospero e pacifico ottantennio che ne era seguìto: nel ’900 il mondo era passato per due guerre mondiali tremende, con decine di milioni di morti, e attraverso diversi conflitti locali, e una volta vinta la belva nazifascista, era transitata drammaticamente per la cosiddetta guerra fredda fra Occidente e Unione Sovietica; poi la Storia era passata, quasi ovunque nel mondo, per la liberatoria morte dell'altra dittatura politica, il comunismo; però, s’era pure scontrata col capitalismo esasperato e il concomitante tracollo della spiritualità. Finalmente, dalla metà del XXI secolo c’era stata la risalita conclusa con la conquista d’una condizione pacifica e prospera nemmeno immaginabile nei secoli precedenti.

Tale condizione benigna era svanita ed era in atto un’Alter Storia. Vigeva egualmente la pace mondiale, ma illiberale, basata, come ignoravano per il momento gl’imbarcati sul sigaro 22, sopra una seconda guerra mondiale alternativa, combattuta con bombe disgregatrici e vinta dalla Germania nazista: si trattava d'una pace che, parafrasando un antico detto latino,30 (#litres_trial_promo) in realtà era solo un deserto dell’anima, che aveva comportato la scomparsa d'intere etnie, definite razze come quelle dei cani: l’ebraica dapprima, annientata, e poi la nera africana ridotta interamente in schiavitù e messa al lavoro in modo talmente disumano da provocarne la quasi estinzione. Solo i popoli delle cosiddette “razza gialla” e “razza araba” erano stati rispettati, in quanto pseudo studi antropologici avevano dichiarato trattarsi di parallele genti derivate da una divisione evolutiva della stirpe indo-ariana, avvenuta duecentomila anni prima; in realtà i motivi erano stati pratici: da una parte non sarebbe stato quasi certamente possibile, alla relativamente poco numerosa “razza” ariana che aveva conquistato il mondo, sterminare del tutto l’enorme popolazione di pelle gialla; dall’altra, nel ’900 gli arabi erano stati, come i nazisti, strenui avversari degli ebrei, anzi erano stati alleati della Germania nella guerra di spie degli anni ’30, e questo aveva loro guadagnato la magnanimità di Hitler, anche se sarebbe stato assai difficile per gli antropologi nazisti giustificare la discriminazione, avendo gli ebrei e gli arabi la stessa origine semita.

I consumati addetti alle comunicazioni della nave 22, senza scomporsi sebbene, come tutti, con l’animo in tumulto, e senza bisogno di riceverne l’ordine dalla comandante avevano inserito, prima d’esprimere una sola parola, uno dei traduttori automatici di bordo, ch’erano operanti in entrambe le direzioni, e con la scusa che le parole non erano arrivate chiaramente, avevano chiesto suo tramite di ripetere. La comunicazione da Roma era giunta di nuovo, espressa in inglese internazionale attraverso il computer traslatore: si trattava di ordinarie disposizioni di servizio da parte degli addetti al traffico astro portuale. Erano state eseguite dalla cronoastronave alla lettera; ma se la disciplina del personale di bordo, appresa nelle accademie per ufficiali o per sottufficiali del Corpo Astronautico, aveva evitato intoppi e forse guai, i cuori di tutti restavano in burrasca.

La comandante aveva fatto riprendere, dalle videocamere del sigaro 22, immagini ravvicinate della Terra lungo l’orbita su cui il vascello rivoluzionava, evitando di lanciare satelliti esploratori su altre orbite per non insospettire qualcuno a terra, ché il fatto non sarebbe stato conforme alla prassi di rientro.

Dopo aver riflettuto ed essersi consultata col primo ufficiale capitano Marius Blanchin, un parigino trentenne alto un metro e novanta, magro, di pelo rosso e occhi verdi ereditati dalla madre irlandese, Margherita aveva deciso di scendere personalmente all’astroporto per un’ispezione diretta, nell'intento di comprendere un po’ meglio la situazione prima d’assumere altre iniziative. Poiché non conosceva il tedesco, pur avendo un traduttore inserito nel proprio micropersonal aveva chiesto a Valerio Faro d'accompagnarla, dato ch'egli comprendeva e parlava quella lingua fluentemente avendola studiata a fondo, a suo tempo, per la sua tesi di laurea in Storia delle Dottrine Economiche e Sociali incentrata su opere del tedesco Karl Marx, e avendola usata per successive ricerche storiche: Margherita riteneva a ragione che, nel caso fosse stato necessario esprimersi in tedesco faccia a faccia con qualcuno, sarebbe stato opportuno che un buon conoscitore della lingua parlasse direttamente, senza tramiti strumentali, così da ridurre il rischio d’essere scoperti.

Intanto, usando uno dei traduttori automatici di bordo, la comandante aveva chiesto in tedesco a Roma l’autorizzazione a prendere terra con un disco-navetta. Era stata concessa senza difficoltà. In Margherita s'era rafforzata l'idea, che già l’aveva toccata constatando che non erano venuti intoppi da terra, che la loro missione fosse stata tranquillamente a conoscenza del Comando dell’astroporto.

Un certo Paul Ricoeur, soldato del plotone di fanteria d’Astromarina ch’era dislocato sulla nave con compiti di protezione, aveva preso posto sul disco assieme alla comandante, a Valerio Faro e alla sergente pilota Jolanda Castro Rabal. Ciascuno dei quattro aveva con sé un paralizzatore individuale.