E Cipollino dovette raccontare a tutti la sua storia, che voi conoscete già.
Rispondete alle domande:
1. Da quando il sor Zucchina voleva avere una casa di sua proprietà?
2. In che modo il sor Zucchina si procurava mattoni e li risparmiava?
3. A chi si rivolgeva il sor Zucchina pregando di fargli il conto dei suoi mattoni raccolti?
4. Perché lo faceva?
5. Come era la casetta del sor Zucchina?
6. Chi potrebbe starci?
7. In che maniera il sor Zucchina poteva accomodarsi nella sua casetta?
8. Che girotondo ballò un monellino sul tetto della casetta?
9. Cosa faceva il sor Zucchina per rabbonire una schiera di ragazzi?
10. Mentre il sor Zucchina stava parlando con Cipollino, chi arrivò in carozza tirata da quattro cavalli?
11. Descrivi questo personaggio imponente e ne elenca tutti i suoi titoli.
12. Cosa non piacque al Cavalier Pomodoro?
13. Di che cosa era sdegnato?
14. Di che cosa fu incolpato il sor Zucchina dal Cavalier Pomodoro?
15. Chi rispondeva alle domande del Cavalier Pomodoro, rivolte al sor Zucchina?
16. Perchè il Cavaliere diventò furibondo?
17. Come mai il Cavalier Pomodoro si mise a piangere?
18. Cosa fece Cipollino dopo la partenza del Cavalier Pomodoro?
Capitolo III
Un Millepiedi pensa: che guaio portare i figli dal calzolaio!
Cipollino cominciò a lavorare nella bottega di Mastro Uvetta, e faceva molti progressi nell'arte del ciabattino: dava la pece allo spago, batteva le suole, piantava i chiodi negli scarponi, prendeva le misure[34] ai clienti.
Mastro Uvetta era contento e gli affari andavano bene. Molta gente veniva nella sua bottega solo per dare un'occhiata[35] a quello straordinario ragazzetto che aveva fatto piangere il Cavalier Pomodoro.
Così Cipollino fece molte nuove conoscenze.
Venne prima di tutti il professor Pero Pera, maestro di musica, con il violino sotto il braccio. Lo seguiva un codazzo di mosconi e di vespe, perché il violino di Pero Pera era una mezza pera profumata e burrosa, e si sa che i mosconi perdono facilmente la testa[36] per le pere.
Più di una volta, quando Pero Pera dava concerto, gli spettatori si alzavano e davano l'allarme[37]:
– Professore, faccia attenzione: sul violino c'è un moscone.
Pero Pera interrompeva il concerto e con l'archetto dava la caccia[38] al moscone. Qualche volta un bacherozzo riusciva a introdursi nel violino e vi scavava delle lunghe gallerie: così lo strumento era rovinato, e il professore doveva procurarsene un altro.
Poi venne Pirro Porro, che faceva l'ortolano: aveva un gran ciuffo sulla fronte e un paio di bafi che non finivano mai.
– Questi bafi – raccontò Pirro Porro a Cipollino – sono la mia disperazione. Quando mia moglie deve stendere il bucato ad asciugare, mi fa sedere sul balcone, attacca i miei bafi a due chiodi, uno a destra e uno a sinistra, e ci appende i panni. E a me tocca starmene tutto il tempo al sole, fin che siano asciutti. Guarda i segni delle mollette.
Difatti sui bafi, a distanze regolari, si vedevano i segni delle mollette.
Venne anche una famiglia di Millepiedi forestieri, cioè il padre e due figli, che si chiamavano Centozampine e Centogambette e non stavano mai fermi un minuto[39].
– Sono sempre così vivaci? – domandò Cipollino.
– Cosa dici mai? – fece il Millepiedi. – Adesso sono due angeli. Li dovresti vedere quando mia moglie gli fa il bagno[40]: gli lava le gambe davanti e loro si sporcano quelle di dietro, gli lava quelle di dietro e loro si sporcano davanti. Non finisce mai e ogni volta ci vuole una cassa di sapone.
Mastro Uvetta domandò:
– E così, gli prendiamo la misura per le scarpe, ai piccolini?
– Per l'amor del cielo:[41] duemila paia di scarpe! Dovrei lavorare tutta la vita per pagare il debito.
– Io, po,i – aggiunse Mastro Uvetta, – non avrei abbastanza cuoio in tutta la bottega.
Date un'occhiata a quelle più rotte, e vedremo di cambiare almeno quelle.
Centozampine e Centogambette si sforzarono volenterosamente di tener fermi i piedi mentre Mastro Uvetta e Cipollino esaminavano suole e tomaie.
– Ecco, a questo bisognerebbe cambiare le prime due paia e il paio numero trecento.
– Oh, quello può andare ancora, – si affrettò a dire babbo Millepiedi, – basterà rimettere i tacchi.
– A quest'altro bisogna cambiare le dieci scarpe in fondo alla fila di destra.
– Glielo dico sempre di non strisciare i piedi. I bambini camminano, forse? Macché: saltano, ballano, strisciano. Ed ecco il risultato: tutta la fila delle scarpe di destra si consuma prima della fila di sinistra.
Mastro Uvetta sospirava:
– Eh, avere due piedi o mille è lo stesso, per i bambini. Sarebbero capaci di rompere mille paia di scarpe con un piede solo.
Infine la famiglia Millepiedi se ne andò zampettando: Centozampine e Centogambette scivolarono via meglio che se avessero le ruote. Babbo Millepiedi invece era un po' meno veloce: infatti era un po' zoppo. Ma mica tanto, poi: era zoppo solo da centodiciassette zampe…
Rispondete alle domande:
1. Come mai Cipollino seppe fare molte nuove conoscenze in così breve tempo?
2. Per quale motivo più di una volta, quando Pero Pera dava concerto, gli spettatori si alzavano e davano l’allarme?
3. Come usava la moglie di Pirro Porro i suoi baffi che non finivano mai?
4. Per quale ragione il Millepiedi portò i suoi figli dal calzolaio?
5. Che cosa succedeva di solito quando la mamma dei fratelli Millepiedi dava loro il bagno?
6. Quante scarpe ci volevano ai fratelli Millepiedi?
7. A sentir il Millepiedi, in che modo di solito camminano i suoi bambini?
8. Come si chiamano i figli del Millepiedi e come si traducono i loro nomi?
9. Di quante zampe era zoppo il Millepiedi?
Capitolo IV
Il terribile cane Mastino
E la casa del sor Zucchina? Andò a finire che[42] una brutta mattina il Cavalier Pomodoro si ripresentò, a bordo della sua carrozza tirata da quattro cetrioli; ma stavolta era accompagnato da una dozzina di guardie. Senza tanti complimenti[43] il sor Zucchina fu fatto sgomberare[44] e nella sua casetta fu messo un terribile cagnaccio, di nome Mastino.
– Così, – esclamò Pomodoro guardandosi attorno con aria di minaccia, – i monelli del paese impareranno a portarmi rispetto, a cominciare da quel monello forestiero che Mastro Uvetta si è preso in casa.
– Bene, bene, – approvò Mastino.
– Quanto a quel vecchio scimunito di Zucchina, imparerà ad opporsi ai miei ordini. Se vuole una casa, c'è un posto per lui in prigione. Là dentro c'è posto per tutti.
– Bene, bene, – approvò di nuovo Mastino.
Mastro Uvetta e Cipollino, sulla soglia della bottega, assistettero a quella scena senza poter muovere un dito. Zucchina si sedette tristemente su un paracarro a lisciarsi la barba. E ogni volta che se la lisciava gli restava in mano un pelo. Così decise di non toccarsi più la barba per non consumarla. Se ne stava seduto sul paracarro zitto zitto, e sospirava, perché avrete già capito che Zucchina aveva una grande riserva di sospiri.
Pomodoro rimontò in carrozza. Mastino si mise sull'attenti[45] e gli presentò la coda.
– Tu, fai buona guardia, – comandò il Cavaliere. – Diede una frustata[46] ai quattro cetrioli e la carrozza ripartì.
Era una bella giornata d'estate, molto calda. Mastino passeggiò per un po' davanti alla casetta, in su e in giù, dimenando la coda per darsi delle arie.[47] Poi cominciò a sudare e pensò che gli avrebbe fatto piacere un bicchiere di birra. Si guardò attorno per vedere se c'era qualche monello da mandare all'osteria a prendere la birra, ma monelli non se ne vedevano. C'era Cipollino sulla soglia della bottega di Mastro Uvetta che tirava lo spago, ma, chissà perché, da quella parte Mastino sentiva un odore sospetto. Decise di non dirgli nulla.
Il caldo aumentava col salir del sole, e col caldo la sete.
– Chissà cos'ho mangiato, questa mattina, – borbottava Mastino. – Che mi abbiano messo troppo sale nella zuppa? Mi sembra di avere il fuoco in gola e ho la lingua di cemento armato.
Cipollino si fece sulla porta a dare un'occhiata.[48]
– Ehi! – guaì Mastino con un fil di voce.
– Dite a me?
– Sì, dico a voi, giovanotto. Mi andreste a prendere una aranciata?
– Ci andrei volentieri, signor Mastino, ma giusto adesso il mio padrone mi ha dato questa scarpa da risuolare e non ho tempo.
E rientrò senz'altro nella bottega.
– Che maleducato! – brontolò il cane, scuotendo con rabbia la catena che gli impediva di fare senz'altro una scappata all'osteria.
Dopo un poco, Cipollino si affacciò di nuovo.
– Signorino, – mormorò Mastino, – mi portereste un bicchiere d'acqua?
– Io sì che ve lo porterei, – rispose pronto Cipollino, – ma giusto adesso il mio padrone mi ha comandato di rimettere i tacchi a un paio di scarpe del barbiere.
Verso le tre del pomeriggio il sole scottava tanto che perfino i sassi sudavano. Il Mastino non ne poteva più. Allora Cipollino riempì d'acqua una bottiglia e ci versò una polverina bianca che la moglie di Mastro Uvetta usava per addormentarsi la sera. Difatti la povera donna era tanto nervosa che senza quella polverina non le riusciva di dormire.
Cipollino mise il pollice sulla bocca della bottiglia e poi, portandosela alle labbra, finse di bere.
– Ah! – esclamò poi lisciandosi la gola, – quant'è fresca!
Il Mastino inghiottì un litro di acquolina e per un momento gli parve di star bene.
– Signor Cipollino, – disse poi, – è molto buona quell'acqua?
– Buona? Dite pure che è meglio del rosolio.
– E non ci sono microbi?
– Macché, è acqua purissima, distillata da un professore dell'università di Barberino.
E così dicendo si portò di nuovo la bottiglia alla bocca e finse di inghiottirne un paio di sorsate.
– Signor Cipollino, – fece il Mastino, – com'è che la bottiglia resta sempre piena?
– Dovete sapere, – rispose Cipollino, – che questo è un regalo del mio povero nonno. E' una bottiglia che non si vuota mai.
– Me ne dareste una sorsatina? Tanto come un cucchiaio mi basterebbe.
– Una sorsatina? Ma io ve ne dò una mezza dozzina di bottiglie! – rispose Cipollino.
Figuratevi la gioia di Mastino: non la finiva più di ringraziare[49] il ragazzo, gli leccava le ginocchia dimenando la coda come non avrebbe fatto nemmeno per le sue padrone, le Contesse del Ciliegio. Cipollino gli porse la bottiglia. Il cane se l'attaccò alle labbra e bevve, la bevve tutta fino in fondo con una sola sorsata e stava per dire:
– E' già finita? Non mi avevate detto che era una bottiglia miracolosa?
Ma non fece in tempo a dirlo e cadde addormentato.[50]
Cipollino lo slegò dalla catena, se lo caricò sulle spalle e si avviò verso il Castello. Si voltò indietro ancora una volta a guardare il sor Zucchina che ripigliava possesso della sua casuccia:[51] nel finestrino, la faccia del vecchietto, con la sua barba rossiccia spelacchiata, sembrava il ritratto della felicità.
– Povero cagnaccio! – pensava Cipollino camminando verso il Castello. – Te l'ho dovuta fare. Chissà se mi ringrazierai ancora per l'acqua fresca, quando ti sveglierai.
Il cancello del parco era aperto. Cipollino posò il cane sull'erba, lo accarezzò dolcemente e disse:
– Scusami tanto, e salutami il Cavalier Pomodoro.
Il Mastino rispose con un mugolio felice: stava sognando di nuotare in un laghetto in mezzo alle montagne, un laghetto di acqua fresca e dolcissima, e nuotando beveva a sazietà, diventava d'acqua lui pure, un cane d'acqua, con due orecchie d'acqua e una coda d'acqua zampillante.
– Sogna in pace, – disse Cipollino. E tornò al villaggio.
Rispondete alle domande:
1. Il Cavalier Pomodoro si ripresentò, a bordo della sua carrozza tirata da?
2. Chi fu messo nella casetta del sor Zucchina?
3. Secondo il Cavaliere, dove c’era un posto per Zucchina, se questi volesse una casa?
4. A causa di che cosa Mastino aveva tanta sete?
5. Colpito dalla sete Mastino stava pensando a quale bibita che che gli avrebbe fatto piacere?
6. Come si rivolse Mastino a Cipollino per la prima volta?
7. Come si rivolse a lui per la seconda volta?
8. E come lo pregava per la terza volta di portargli da bere?
9. Cosa mise Cipollino nella bottiglia d’acqua da offrire a Mastino?
10. Come Cipollino ingannò Mastino fingendo di bere dalla bottiglia?
11. Cipollino riuscì a spiegare a Mastino come mai la bottiglia restava sempre piena?
12. In che modo Mastino ringraziò Cipollino per l’acqua portatagli?
13. Appena il Mastino cadde addormentato, cosa ne fece Cipollino?
14. Il sor Zucchina si rifiutò di ripigliare possesso della sua casuccia liberata?
15. Dove Cipollino portò e lasciò Mastino?
16. Che sogni fece Mastino?
Capitolo V
Signori ladri, prima di entrare il campanello vogliate suonare
Al villaggio Cipollino trovò molta gente radunata attorno alla casa del sor Zucchina a discutere. A dire la verità[52], erano tutti piuttosto spaventati.
– Che farà ora il Cavaliere? – si domandava il professor Pero Pera con aria preoccupata.
– Io dico che questa storia finirà male. In fin dei conti, loro sono i padroni e loro comandano, – osservò la sora Zucca. La moglie di Pirro Porro le diede subito ragione[53], afferrò il marito per i bafi come se fossero due redini e fece:
– Arri là! Torniamo a casa, prima che succedano altri guai.
– Anche Mastro Uvetta crollava il capo.
– Pomodoro è rimasto beffato due volte[54]: ora si vorrà vendicare[55], – disse.
L'unico a non preoccuparsi era il sor Zucchina: aveva cavato di tasca i più bei confetti che si fossero mai visti e ne offriva a tutti per festeggiare l'avvenimento. Cipollino prese un confetto, lo succhiò ben bene, poi disse:
– Sono anch'io del parere che Pomodoro non si arrenderà tanto presto.
– Ma allora… – cominciò Zucchina, sospirando. Tutta la sua felicità era scomparsa come il sole quando passa una nuvola.
– Allora, la mia idea è questa. Non c'è che una cosa da fare: nascondere la casa.[56]
– Nascondere la casa?
– Appunto. Se fosse un gran palazzo non lo direi nemmeno, ma una casa tanto piccola non si farà fatica a nasconderla. Scommetto che ci sta tutta sul carretto del cenciaiolo.
Fagiolino, che era il figlio del cenciaiolo, scappò subito a casa e tornò di lì a poco col carretto.
– Qua sopra? – domandò Zucchina, preoccupato che la sua casetta potesse andare in pezzi.
– Ci starà benissimo, – sentenziò Cipollino.
– E dove la portiamo?
– Si potrebbe, – propose Mastro Uvetta, – si potrebbe nasconderla nella mia cantina, per intanto. Poi si starà a vedere.[57]
– E se Pomodoro lo viene a sapere?[58]
Tutti guardarono dalla parte del sor Pisello, che passava di lì fingendo di essere in un altro posto. L'avvocato arrossì e si affrettò a giurare e spergiurare:
– Da me Pomodoro non saprà mai nulla. Io non sono una spia, sono un avvocato.
– In cantina sarà umido: la casa potrebbe sciuparsi, – obiettò timidamente il sor Zucchina. Perché non la nascondiamo nel bosco?
– E chi la custodirà? – domandò Cipollino.
– Io conosco un tale, – disse Pero Pera, – che abita nel bosco, il sor Mirtillo. Si potrebbe provare ad afidargli la casa per qualche tempo. Poi si vedrà.
Decisero di provare. In tre minuti la casina fu caricata sul carretto del cenciaiolo: il sor Zucchina la salutò con un ultimo sospiro e andò a riposarsi di tante emozioni[59] a casa della sora Zucca, che era sua nipote.
Cipollino, Fagiolino e il professore si diressero verso il bosco, spingendo il carretto senza nemmeno fare troppa fatica: la casetta non pesava più di una gabbia per i passeri.
Il sor Mirtillo abitava in un riccio di castagna dell'anno prima: un bel riccio grosso e spinoso, dove il sor Mirtillo ci stava comodissimo, lui e le sue ricchezze, che consistevano in una mezza forbice, una lametta per la barba, un ago con una gugliata di cotone e una crosta di formaggio.
Appena ebbe sentito la proposta si spaventò moltissimo: l'idea di abitare in una casa così grande gli dava i brividi[60].
– Non accetterò mai, non è possibile. Che cosa me ne faccio di un palazzo come quello? Io sto bene nel mio riccio. Sapete come dice il proverbio? Sto nel mio riccio e non me ne impiccio.
Però quando ebbe sentito che si trattava di fare un piacere[61] al sor Zucchina, accettò di buon cuore:
– Ho sempre avuto simpatia per quell'ometto. Una volta l'ho avvisato che un bruco gli camminava sulla schiena: capirete, gli ho quasi salvato la vita.
La casina fu sistemata accanto al tronco di una quercia: Cipollino, Fagiolino e Pero Pera aiutarono il sor Mirtillo a trasportarvi tutte le sue ricchezze, poi se ne andarono, promettendogli di tornare presto con buone notizie.
Appena rimasto solo, il sor Mirtillo cominciò ad aver paura dei ladri. – Adesso che ho una grande casa, – si diceva, – verranno certamente a derubarmi. Chissà, forse mi ammazzeranno nel sonno, sospettando che io nasconda chissà quali tesori.
Pensa e pensa, decise di mettere un campanello sulla porta e sotto il campanello un cartellino sul quale scrisse, in stampatello[62], queste parole:
I SIGNORI LADRI SONO PREGATI DI SUONARE QUESTO CAMPANELLO. SARANNO FATTI ACCOMODARE E VEDRANNO CON I LORO OCCHI
CHE QUI NON C'È NIENTE DA RUBARE.
Una volta scritto il cartello, si sentì più tranquillo e, essendo già tramontato il sole[63], andò a dormire.
Verso la mezzanotte fu svegliato da una scampanellata.
– Chi va là? – domandò, affacciandosi al finestrino.
– Siamo i ladri, – rispose un vocione.
– Vengo subito, abbiano pazienza che mi infilo la vestaglia, – fece il sor Mirtillo, premuroso.
Si infilò la vestaglia, andò ad aprire la porta e li invitò a guardare in tutta la casa. I ladri erano due giganti grandi e grossi, con certe barbacce scure che facevano paura[64]. Cacciarono la testa in casa – uno per volta, per non darsi le zuccate – e si convinsero presto che non c'era niente da portar via.
– Avete visto, signori? Avete visto? – gongolava il sor Mirtillo, fregandosi le mani.
– Già… già… – grugnirono i due ladri, piuttosto scontenti.
– Dispiace anche a me, mi credano, – continuò Mirtillo. – Intanto, se posso favorirli in qualche cosa…[65] Vogliono farsi la barba? Ho una lametta, qui. Un po' vecchia, si capisce: è un'eredità del mio bisnonno. Ma credo che tagli ancora.
I due ladri accettarono. Si tagliarono alla meglio[66] la barba con la lametta arrugginita e se ne andarono, con molti ringraziamenti. In fondo erano due brave persone: chissà perché facevano il ladro di mestiere!
Il sor Mirtillo tornò a letto e si riaddormentò.
Verso le due di notte fu svegliato una seconda volta da una scampanellata. C'erano altri due ladri, e lui li fece entrare: a turno, si capisce, per non sfondare la casa. Questi non avevano la barba, però uno di loro aveva perso tutti i bottoni della giacca: il sor Mirtillo gli regalò l'ago e il filo e gli raccomandò di guardare sempre per terra quando andava in giro.
– Sapete, a guardare in terra si trovano tanti bottoni, – spiegò.
E anche quei ladri se ne andarono per i fatti loro.
Così ogni notte il sor Mirtillo era svegliato dai ladri, che suonavano il campanello, gli facevano una visita e se ne andavano senza bottino, ma contenti di aver conosciuto[67] una persona tanto gentile.
Rispondete alle domande:
1. Rientrato al villaggio Cipollino trovò molta gente radunata attorno alla casa del sor Zucchina a discutere – intorno a quale evento?
2. Da chi fu prestato il carretto per trasportare la casetta di Zucchina?
3. Perché chiamarono il cenciaiolo Fagiolino con il suo carretto?
4. Perché si rinunciò a nascondere la casetta Zucchina in cantina?
5. Chi propose di nasconderla nel bosco?
6. Quanto era leggera la casetta del sor Zucchina?
7. Dove abitava il sor Mirtillo?
8. Che ricchezze possedeva?
9. Come il sor Mirtillo salvò la vita al sor Zucchina?
10. Avendo paura dei ladri, che cosa inventò il sor Mirtillo per sentirsi fuori pericolo?
11. Quali parole recava il cartellino scritto in stampatello dal sor Mirtillo?
12. Cosa rispose il sor Mirtillo ai primi due ladri?
13. Di che cosa se ne resero conto i ladri?
14. Che cosa regalò il sor Mirtillo ad altri due ladri?
15. Perchè lui raccomandò loro di guardare sempre per terra quando andavano in giro?
Capitolo VI
Il barone Melarancia, con Fagiolone porta-pancia
E’ tempo ormai[68] che diamo un'occhiata al Castello delle Contesse del Ciliegio, le quali, come avrete già capito, erano le padrone di tutto il villaggio, delle case, della terra, della chiesa e del campanile.
Il giorno che Cipollino fece trasportare nel bosco la casa del sor Zucchina, al castello c'era una gran confusione,[69] perché erano arrivati i parenti.
Ne erano arrivati esattamente due: il barone Melarancia e il duchino Mandarino. Il barone Melarancia era cugino del povero marito di Donna Prima. Il duchino Mandarino, invece, era cugino del povero marito di Donna Seconda. Il barone Melarancia aveva una pancia fuori del comune: cosa logica, del resto,[70] perché non faceva altro che mangiare dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, frenando le mascelle solo qualche oretta per fare un pisolino.[71]
Quando era giovane, il barone Melarancia dormiva tutta la notte, per digerire quello che aveva mangiato di giorno, ma poi si era detto:
– Dormire è tutto tempo perso:[72] mentre dormo, infatti, non posso mangiare.
E così aveva deciso di mangiare anche di notte e di ridurre a un'ora il tempo destinato alla digestione. Da tutti i suoi possedimenti, che erano molti e sparsi in tutta la provincia, partivano continuamente carovane cariche di cibarie di ogni genere[73] per saziare la sua fame. I poveri contadini non sapevano più cosa mandargli: uova, polli e tacchini, ovini, bovini e suini, frutta, latte e latticini, il barone mangiava tutto quanto in un momento. Aveva due servitori incaricati di ficcargli in bocca quel che arrivava, e altri due che davano il cambio[74] ai primi quando erano stanchi.
Alla fine i contadini gli mandarono a dire che non c'era più niente da mangiare.
– Mandatemi gli alberi! – ordinò il barone.
I contadini gli mandarono gli alberi, e lui mangiò anche quelli, con le foglie e le radici, intingendoli crudi nell'olio e nel sale.
Quando ebbe finito gli alberi, cominciò a vendere le sue terre e con il ricavato comprava altra roba mangereccia. Quando ebbe venduto le terre e fu diventato povero in canna,[75] scrisse una lettera alla Contessa Donna Prima e si fece invitare al Castello.
Donna Seconda, a dire la verità non era tanto contenta:
– Il barone darà fondo[76] alle nostre ricchezze: si mangerà il nostro castello fino ai comignoli.
Donna Prima cominciò a piangere:
– Tu non vuoi ricevere i miei parenti. Povero baroncino, tu non gli vuoi bene.
– D'accordo, – disse allora Donna Seconda – invita pure il barone. Io inviterò il duchino Mandarino, cugino del mio povero marito.
– Invitalo pure, – rispose sprezzante Donna Prima, – quello non mangia nemmeno quanto un pulcino. Il tuo povero marito, pace al suo nocciolo, aveva parenti piccoli e magri, che quasi non si vedono a occhio nudo. Il mio povero marito invece, pace al suo nocciolone, aveva parenti grandi e grossi, visibili a grande distanza.[77]
Il barone Melarancia era davvero visibile a grande distanza: a distanza di un chilometro si poteva scambiarlo per una collina.
Si dovette subito provvedere per un aiutante[78] che lo aiutasse a portare la pancia, perché da solo non ce la faceva più.[79] Pomodoro mandò a chiamare il cenciaiolo del paese, ossia Fagiolone, perché portasse il suo carretto. Fagiolone non trovò il carretto, perché lo aveva preso suo figlio Fagiolino, come sapete, e così si portò dietro una carriola a mano, di quelle che adoperano i muratori per portare la calcina.