Pomodoro diede una mano al barone a sistemare la sua pancia dentro la carriola, poi gridò:
– Arri, là!
Fagiolone afferrò le stanghe della carriola e tirò con tutte le sue forze, ma non la spostò di un centimetro.
Furono chiamati altri due servitori e tutti insieme riuscirono a far fare al barone[80] una passeggiata nei viali del Castello. Da principio non stavano attenti ai sassi:[81] la ruota della carriola andava a cercare i sassi più grossi e puntuti del viale, come se lo facesse apposta,[82] e il povero barone riceveva nella pancia certi colpi che lo facevano sudare.
– State attenti ai sassi! – si raccomandava giungendo le mani.
Fagiolone e i due servitori stavano attenti ai sassi e la carriola andava a finire nelle buche.
– State attenti alle buche, per l'amor del cielo! – supplicava il barone.
Mentre lo portavano a spasso[83], però, non dimenticava la sua occupazione preferita e sgranocchiava un tacchino arrosto che Donna Prima gli aveva fatto preparare come antipasto.
Anche il Duchino Mandarino diede un bel da fare[84] al Castello.
La povera Fragoletta – cameriera personale di Donna Seconda – non finiva mai di stirargli le camicie. Quando gliele riportava, il Duchino torceva il naso, si metteva a piangere e balzava in cima all'armadio, gridando:
– Aiuto! Aiuto!
Accorreva Donna Seconda con le mani nei capelli:
– Mandarino, che cosa ti fanno?
– Non mi stirano bene le camicie, e io voglio morire!
Per convincerlo a restare in vita[85] Donna Seconda gli regalò tutte le camicie di seta del suo povero marito.
Il duchino Mandarino saltò giù dall'armadio e cominciò a provarsi le camicie.[86]
Dopo un poco lo si udì nuovamente gridare:
– Aiuto! Aiuto!
Donna Seconda accorse con il batticuore:
– Cugino Mandarino, che cosa ti fanno?
– Ho perso il bottone del colletto e non voglio più stare al mondo!
Questa volta si era arrampicato in cima allo specchio e minacciava di buttarsi a capofitto[87] sul pavimento.
Per farlo chetare Donna Seconda gli regalò tutti i bottoni del suo povero marito, che erano d'oro, d'argento e di pietre preziose.
Prima di sera, Donna Seconda non aveva più gioielli, il Duchino Mandarino aveva ammassato parecchi bauli di roba e si fregava le mani soddisfatto.
Le Contesse cominciavano ad essere molto preoccupate per quei loro parenti così voraci, e sfogavano l'irritazione[88] sul povero Ciliegino, il loro nipotino, orfano di padre e di madre.
– Mangiapane a tradimento![89] – lo sgridava Donna Prima, – vai subito a fare i compiti.
– Li ho già fatti.
– Fanne degli altri! – ordinava severamente Donna Seconda.
Ciliegino, ubbidiente, andava a fare degli altri compiti: ogni giorno ne faceva dei quaderni intieri, in una settimana ne faceva una montagna di quaderni.
Quel giorno, le Contesse non finivano mai di fargli fare dei nuovi compiti.
– Che cosa fai in giro[90], bighellone?
– Vorrei fare una passeggiata nel parco.
– Nel parco ci passeggia il barone Melarancia, non c'è posto per i fannulloni come te. Va' subito a studiare la lezione.
– L'ho già studiata.
– Studiane un'altra.
Ciliegino, ubbidiente, andò a studiare un'altra lezione: ogni giorno ne studiava centinaia e centinaia. Aveva già letto tutti i libri della biblioteca del Castello.
Ma se le Contesse lo vedevano con in mano un libro subito prendevano a sgridarlo:
– Posa quei libri, incosciente. Non vedi che li consumi?
– Ma come posso studiare le lezioni senza toccare i libri?
– Studiale a memoria.[91]
Ciliegino si chiudeva in camera sua e studiava, studiava, studiava. Sempre senza libri, si capisce. Aveva tutto nel cervello e continuava a pensare nuove cose. A pensare gli veniva il mal di testa e le Contesse lo sgridavano:
– Sei sempre ammalato perché pensi troppo. Non pensare e ci farai risparmiare i soldi delle medicine.
Insomma, tutto quello che faceva Ciliegino per le Contesse era malfatto.
Ciliegino non sapeva da che parte voltarsi[92] per non prendersi dei rabbufi e si sentiva veramente infelice.
In tutto il Castello aveva un solo amico, ed era Fragoletta, la servetta di Donna Seconda. Fragoletta aveva compassione di quel povero piccolo ragazzo con gli occhiali, a cui nessuno voleva bene: era gentile con lui e di sera, quando andava a letto, gli portava qualche pezzo di dolce.
Ma quella sera, a tavola, il dolce se lo mangiò il barone Melarancia.
Il duchino Mandarino ne voleva un pezzo anche lui. Per farselo dare saltò in cima alla credenza e cominciò a strillare:
– Aiuto! Aiuto! Tenetemi, se no mi butto!
Ma ebbe un bello strillare[93]: il barone mandò giù il dolce intero senza dargli retta.
Donna Seconda, in ginocchio davanti alla credenza, pregava il suo cuginetto di non ammazzarsi. Per convincerlo a scendere a terra gli doveva promettere qualcosa, ma non aveva più niente.
Del resto, quando comprese che non c'era più niente da arraffare, il duchino Mandarino calò a terra da solo, sbuffando.
Proprio in quel momento Pomodoro fu avvertito che la casa del sor Zucchina era scomparsa. Il Cavaliere non ci pensò su due volte:[94] mandò un messaggio al Governatore e gli chiese in prestito una ventina di poliziotti, ossia di Limoncini.
* * *I Limoncini arrivarono il giorno dopo e fecero piazza pulita.[95] Questo vuoi dire che fecero il giro del paese e arrestarono tutti quelli che trovarono.
Arrestarono Mastro Uvetta, naturalmente. Il ciabattino prese la lesina per grattarsi la testa e li seguì brontolando. I Limoncini gli sequestrarono la lesina.
– Non potete portare armi con voi, – dissero severamente a Mastro Uvetta.
– E io con che cosa mi gratto?
– Quando vi volete grattare, avvisate il comandante e ci penserà lui.
Così Mastro Uvetta, quando aveva bisogno di grattarsi la testa per riflettere, avvisava il comandante dei Limoncini e subito un Limoncino gli grattava la testa con la sciabola.
Anche il professor Pero Pera fu arrestato: gli lasciarono prendere solo il violino e una candela.
– Che cosa ne volete fare della candela?
– Mia moglie me l'ha messa in tasca, perché dice che le prigioni del Castello sono molto scure.
Insomma, furono arrestati tutti gli abitanti del villaggio, eccetto il sor Pisello, perché era un avvocato, e Pirro Porro, perché non lo trovarono.
Pirro Porro non si era mica nascosto, anzi: se ne stava tranquillo sul balcone, con i bafi tirati dalle due parti, e sui bafi il bucato steso ad asciugare. Le guardie lo scambiarono per[96] un palo e non gli badarono.
Zucchina seguì i Limoncini sospirando secondo il suo solito.[97]
– Perché sospirate tanto? – gli domandò severamente il comandante.
– Perché ho tanti sospiri. Ho lavorato tutta la vita e ogni giorno ne mettevo da parte una dozzina: adesso ne ho migliaia e migliaia e bisogna pure che li adoperi.
Fra le donne, fu arrestata solamente la sora Zucca: e siccome si rifiutava di camminare, le guardie la rovesciarono e la fecero rotolare[98] fin sulla porta della prigione. Era così rotonda.
Siccome erano molto furbi, i Limoncini non arrestarono nemmeno Cipollino, che se ne stava tranquillo seduto sul muricciolo a vederli passare, in compagnia di una bambina qualunque, che si chiamava Ravanella.
I Limoncini domandarono proprio a loro se avessero visto da quelle parti un pericoloso malandrino di nome Cipollino.
Essi risposero che l'avevano visto nascondersi sotto il berretto del comandante e scapparono sghignazzando.
Quel giorno stesso, però, andarono a fare un giro d'ispezione al Castello, per sapere che ne era stato dei prigionieri.[99]
Rispondete alle domande:
1. Chi era arrivato al Castello delle Contesse del Ciliegio nel giorno che Cipollino fece trasportare nel bosco la casetta del sor Zucchina?
2. Cosa faceva il barone Melarancia dalla mattina alla sera a dalla sera alla mattina?
3. Perché si svegliò?
4. Di che cosa erano cariche le carovane che partivano continuamente dai suoi possedimenti?
5. Di che si occupavano i suoi quattro servitori?
6. Perché il barone Melarancia diventò povero in canna?
7. Che tattica adoperava il Duchino Mandarino quando voleva ottenere cose che desiderava?
8. Com’era Ciliegino?
9. Che tipo di ordini gli impartivano quel giorno le Contesse del Ciliegio?
10. Chi era Fragoletta?
11. Perché Fragoletta aveva compassione di Ciliegino?
12. Chi erano i Limoncini e perché furono chiamati dal Cavalier Pomodoro?
13. Chi arrestarono i Limoncini?
14. Perché non fu arrestato Pirro Porro?
15. In che modo i Limoncini portarono la sora Zucca fin sulla porta della prigione?
CAPITOLO VII Ciliegino, per una volta, a don Prezzemolo si rivolta
Il Castello era un po’ in cima alla collina ed era circondato da un gran parco. C’era un cartello che da una parte diceva: «Vietato l'ingresso» – e dall'altra parte diceva invece: «Vietata l'uscita ».
Una parte era destinata ai ragazzi del villaggio, perché non gli venisse la tentazione di scavalcare l'inferriata per andare a giocare sotto gli alberi del parco; l'altra era per Ciliegino, perché non gli venisse la tentazione di scappare nel villaggio a imbrancarsi con i figli dei poveri.
Ciliegino passeggiava solo soletto, stando bene attento a non[100] calpestare le aiuole e a non rovinare i fiori. Difatti il suo precettore, don Prezzemolo, aveva fatto mettere dappertutto dei cartelli, su cui c'era scritto quello che Ciliegino poteva fare e quello che non poteva fare.
Per esempio, vicino alla vasca dei pesci rossi c'era questo cartello:
«E' vietato a Ciliegino mettere le mani nella vasca».
E c'era anche quest'altro:
«E' vietato ai pesci rivolgere la parola[101] a Ciliegino».
In mezzo alle aiuole fiorite c'erano cartelli come questo:
«Ciliegino non deve toccare i fiori, altrimenti resterà senza frutta».
Oppure, come questo:
«Guai a Ciliegino se calpesta l'erba dovrà scrivere duemila volte: io sono un ragazzo bene educato».
Questi cartelli erano un'idea di don Prezzemolo, che non era un prete, ma il precettore di Ciliegino.
Il nostro Visconte aveva chiesto alle nobili zie il permesso di andare alla scuola del villaggio, insieme a tutti i ragazzi che vedeva andare e tornare dalla scuola, agitando gloriosamente le cartelle come bandiere. Ma Donna Prima era inorridita:
– Un Conte del Ciliegio nello stesso banco di un contadino? Giammai!
Donna Seconda aveva ribadito:
– I pantaloni di un Conte del Ciliegio sul legno di un volgare banco di scuola? Non sarà mai!
Così era stato afittato un maestro privato, per l'appunto don Prezzemolo, chiamato a quel modo perché saltava sempre fuori da tutte le parti.
Se Ciliegino, nel fare il compito, osservava una mosca che era entrata in una macchia d'inchiostro e voleva imparare a scrivere, saltava fuori da chissà dove[102] don Prezzemolo, si sofiava il naso in un fazzolettone a quadri rossi e azzurri e cominciava:
– Guai a quei ragazzi che guardano le mosche! Si comincia sempre così. Poi una mosca tira l'altra, si comincia a guardare anche il ragno, poi il gatto, poi tutti gli altri animali e ci si dimentica di studiare la lezione. Chi non studia la lezione non può diventare un bravo bambino. Chi non diventa un bravo bambino non diventa un brav'uomo. E chi non è un brav'uomo va in prigione. Ciliegino, se non vuoi finire in prigione,[103] smettila di guardare quella mosca.
Se Ciliegino apriva il suo albo per disegnare qualche bella figura, saltava fuori chissà da dove don Prezzemolo, si sofiava il naso e cominciava:
– Guai a quei ragazzi che perdono il tempo a disegnare le belle figure. Che cosa potranno diventare da grandi? Al più al più degli imbianchini, cioè persone sudice e malvestite che girano giorno e notte a insudiciare i muri e perciò finiscono in prigione come si meritano. Ciliegino, vuoi tu finire in prigione?
Per paura della prigione, Ciliegino non sapeva a che santo votarsi.[104]
Per fortuna qualche volta don Prezzemolo non poteva saltar fuori da nessuna parte, perché era andato a fare un pisolino o perché indugiava a tavola a discorrere con la bottiglia.[105] In quei pochi istanti Ciliegino era finalmente libero. Don Prezzemolo se ne rese conto, e fece mettere tutti quei cartelli di cui ho parlato: con questo sistema, poteva dormire un'oretta di più, sicuro che intanto il suo pupillo non perdeva tempo e, passeggiando per il parco, imparava utili lezioni.
Ma Ciliegino, quando passava vicino ai cartelli, si toglieva gli occhiali, così non vedeva quel che c'era scritto e poteva continuare tranquillamente a pensare ai casi suoi.
Mentre dunque Ciliegino passeggiava nel parco, si sentì chiamare da due voci squillanti come campanelli.
– Signor Visconte! Signor Visconte!
Si mise gli occhiali e vide un ragazzo della sua età, piuttosto malvestito ma dal viso chiaro e simpatico, e una ragazzina di forse dieci anni, coi capelli raccolti in un codino che le stava sempre in piedi sulla testa.[106]
Ciliegino si inchinò cerimoniosamente e disse:
– Buongiorno, signori. Io non ho l'onore di conoscerli, ma farei volentieri la loro conoscenza.[107]
– Allora perché non vieni più vicino?
– Non posso. Don Prezzemolo non vuole che io parli con i ragazzi del villaggio.
– Ma ormai abbiamo già parlato.
– Quand'è così, vengo subito.
Ciliegino era timido e bene educato, ma nei momenti decisivi sapeva prendere decisioni eroiche. Entrò decisamente nell'erba, calpestandola con tutta la forza delle sue gambette e si avvicinò all'inferriata.
– Io mi chiamo Ravanella, – si presentò la bambina. – E questo è Cipollino.
– Molto piacere, signorina. Molto piacere, signor Cipollino. Ho già sentito parlare di lei dal Cavalier Pomodoro.
– Ecco uno che mi mangerebbe senza neanche condirmi.[108]
– Proprio così. Appunto per questo mi sono figurato che lei doveva essere una simpaticissima persona. E vedo che non mi sono sbagliato.
Cipollino sorrise:
– Benissimo. Allora perché stai facendo tanti salamelecchi e mi dai del lei come se fossi un vecchio cortigiano in parrucca? Diamoci del tu.[109] Ciliegino si ricordò improvvisamente di un cartello che stava sulla porta del pollaio, e dove don Prezzemolo aveva fatto scrivere «Non si deve dar del tu a nessuno», perché aveva sorpreso una volta Ciliegino a conversare confidenzialmente con le galline. Tuttavia decise di passar sopra anche a quel cartello, com'era passato sopra l'erba e rispose:
– D'accordo. Diamoci del tu. Chissà come gli fischieranno le orecchie, a don Prezzemolo.
Risero tutti e tre allegramente. Sulle prime Ciliegino rideva appena appena con un angolo della bocca, ricordandosi di un cartello di don Prezzemolo che diceva – «E' vietato ridere il lunedì, il martedì, il mercoledì, il giovedì, il venerdì, il sabato e la domenica ». Ma poi, vedendo Cipollino e Ravanella che ridevano senza ritegno, si lasciò andare e rise a pieni polmoni.
Una risata così lunga e così allegra, al Castello del Ciliegio non si era mai sentita. Le nobili Contesse, in quel momento, sedevano nella veranda a bere il té.
Donna Prima udì la risata ed osservò:
– Sento uno strano rumore.
Donna Seconda accennò col capo:
– Lo sento anch'io. Dev'essere la pioggia.
– Ti faccio notare che non piove affatto – disse Donna Prima, con aria sentenziosa.
– Se non piove, pioverà, – ribattè Donna Seconda con decisione, alzando il capo per trovare conferma nel cielo. Il cielo però era limpido come se fosse stato scopato e lavato dalla nettezza urbana cinque minuti prima: non si vedeva una nuvola per scommessa.
– Io dico che è la fontana, – ricominciò Donna Prima.
– La fontana non può essere: è rotta e non dà acqua.
– Si vede che il giardiniere l'ha riparata.
Ma il giardiniere non si era nemmeno accorto[110] che la fontana era rotta.
Anche Pomodoro aveva udito quello strano rumore, e non era per niente tranquillo.
– Nelle prigioni del castello, – pensava, – ci sono molti prigionieri. Bisogna vigilare, se non vogliamo avere sorprese.
Decise di fare un giretto d'ispezione[111] nel parco e dietro il Castello, dove passava la strada del villaggio, scoprì i tre ragazzi in allegra conversazione.
Se il cielo si fosse aperto, e gli angeli fossero rotolati giù l'uno sull'altro, la sorpresa di Pomodoro non sarebbe stata maggiore. Ciliegino che calpestava l'erba! Ciliegino che parlava con due straccioni!
In uno di quei due straccioni, poi, Pomodoro ravvisò addirittura il monello che lo aveva fatto piangere abbondantemente. Montò in furore[112] e diventò così rosso che se fossero passati di lì i pompieri avrebbero dato mano alle pompe per spegnerlo.
– Signor Visconte! – chiamò con voce terribile. Ciliegino si volse, impallidì, si strinse all'inferriata.[113]
– Amici, – bisbigliò, – scappate, prima che Pomodoro possa farvi del male.
Cipollino e Ravanella scapparono, senza smettere di ridere.
– Per questa volta,[114] – osservò Ravanella, – la nostra spedizione non è riuscita.
Ma Cipollino non la pensava così:[115]
– E chi te l'ha detto? Abbiamo conquistato un amico, e questo non è poco.
Il loro nuovo amico, intanto, si preparava a subire le lavate di capo di Pomodoro, di don Prezzemolo, di Donna Prima, di Donna Seconda e di tutto il parentado. Il povero ragazzo si sentiva infelice come non mai.
Per la prima volta egli aveva trovato due amici, per la prima volta in vita sua aveva riso di cuore, ed ecco che doveva perdere tutto di nuovo: Cipollino e Ravanella erano scappati giù per la collina e forse non li avrebbe più rivisti. Quanto avrebbe dato[116] per essere con loro, là fuori, dove non c'erano cartelli, dove si potevano calpestare i prati e cogliere i fiori!
Per la prima volta nel cuore di Ciliegino c'era quella cosa strana e terribile che si chiama dolore. Era una cosa troppo grande per lui, e Ciliegino sentì che non l'avrebbe potuta sopportare. Si gettò a terra e cominciò a singhiozzare disperatamente.
Pomodoro lo raccolse, se lo mise sotto il braccio come un fagottello[117], e si avviò su per il viale.
Capitolo VII
Ciliegino, per una volta, a don Prezzemolo si rivolta
Il Castello era un po’ in cima alla collina ed era circondato da un gran parco. C’era un cartello che da una parte diceva: «Vietato l'ingresso» – e dall'altra parte diceva invece: «Vietata l'uscita ».
Una parte era destinata ai ragazzi del villaggio, perché non gli venisse la tentazione di scavalcare l'inferriata per andare a giocare sotto gli alberi del parco; l'altra era per Ciliegino, perché non gli venisse la tentazione di scappare nel villaggio a imbrancarsi con i figli dei poveri.
Ciliegino passeggiava solo soletto, stando bene attento a non[100] calpestare le aiuole e a non rovinare i fiori. Difatti il suo precettore, don Prezzemolo, aveva fatto mettere dappertutto dei cartelli, su cui c'era scritto quello che Ciliegino poteva fare e quello che non poteva fare.
Per esempio, vicino alla vasca dei pesci rossi c'era questo cartello:
«E' vietato a Ciliegino mettere le mani nella vasca».
E c'era anche quest'altro:
«E' vietato ai pesci rivolgere la parola[101] a Ciliegino».
In mezzo alle aiuole fiorite c'erano cartelli come questo:
«Ciliegino non deve toccare i fiori, altrimenti resterà senza frutta».
Oppure, come questo:
«Guai a Ciliegino se calpesta l'erba dovrà scrivere duemila volte: io sono un ragazzo bene educato».
Questi cartelli erano un'idea di don Prezzemolo, che non era un prete, ma il precettore di Ciliegino.
Il nostro Visconte aveva chiesto alle nobili zie il permesso di andare alla scuola del villaggio, insieme a tutti i ragazzi che vedeva andare e tornare dalla scuola, agitando gloriosamente le cartelle come bandiere. Ma Donna Prima era inorridita:
– Un Conte del Ciliegio nello stesso banco di un contadino? Giammai!
Donna Seconda aveva ribadito:
– I pantaloni di un Conte del Ciliegio sul legno di un volgare banco di scuola? Non sarà mai!
Così era stato afittato un maestro privato, per l'appunto don Prezzemolo, chiamato a quel modo perché saltava sempre fuori da tutte le parti.
Se Ciliegino, nel fare il compito, osservava una mosca che era entrata in una macchia d'inchiostro e voleva imparare a scrivere, saltava fuori da chissà dove[102] don Prezzemolo, si sofiava il naso in un fazzolettone a quadri rossi e azzurri e cominciava:
– Guai a quei ragazzi che guardano le mosche! Si comincia sempre così. Poi una mosca tira l'altra, si comincia a guardare anche il ragno, poi il gatto, poi tutti gli altri animali e ci si dimentica di studiare la lezione. Chi non studia la lezione non può diventare un bravo bambino. Chi non diventa un bravo bambino non diventa un brav'uomo. E chi non è un brav'uomo va in prigione. Ciliegino, se non vuoi finire in prigione,[103] smettila di guardare quella mosca.
Se Ciliegino apriva il suo albo per disegnare qualche bella figura, saltava fuori chissà da dove don Prezzemolo, si sofiava il naso e cominciava:
– Guai a quei ragazzi che perdono il tempo a disegnare le belle figure. Che cosa potranno diventare da grandi? Al più al più degli imbianchini, cioè persone sudice e malvestite che girano giorno e notte a insudiciare i muri e perciò finiscono in prigione come si meritano. Ciliegino, vuoi tu finire in prigione?
Per paura della prigione, Ciliegino non sapeva a che santo votarsi.[104]
Per fortuna qualche volta don Prezzemolo non poteva saltar fuori da nessuna parte, perché era andato a fare un pisolino o perché indugiava a tavola a discorrere con la bottiglia.[105] In quei pochi istanti Ciliegino era finalmente libero. Don Prezzemolo se ne rese conto, e fece mettere tutti quei cartelli di cui ho parlato: con questo sistema, poteva dormire un'oretta di più, sicuro che intanto il suo pupillo non perdeva tempo e, passeggiando per il parco, imparava utili lezioni.
Ma Ciliegino, quando passava vicino ai cartelli, si toglieva gli occhiali, così non vedeva quel che c'era scritto e poteva continuare tranquillamente a pensare ai casi suoi.
Mentre dunque Ciliegino passeggiava nel parco, si sentì chiamare da due voci squillanti come campanelli.
– Signor Visconte! Signor Visconte!
Si mise gli occhiali e vide un ragazzo della sua età, piuttosto malvestito ma dal viso chiaro e simpatico, e una ragazzina di forse dieci anni, coi capelli raccolti in un codino che le stava sempre in piedi sulla testa.[106]
Ciliegino si inchinò cerimoniosamente e disse:
– Buongiorno, signori. Io non ho l'onore di conoscerli, ma farei volentieri la loro conoscenza.[107]
– Allora perché non vieni più vicino?
– Non posso. Don Prezzemolo non vuole che io parli con i ragazzi del villaggio.
– Ma ormai abbiamo già parlato.
– Quand'è così, vengo subito.
Ciliegino era timido e bene educato, ma nei momenti decisivi sapeva prendere decisioni eroiche. Entrò decisamente nell'erba, calpestandola con tutta la forza delle sue gambette e si avvicinò all'inferriata.
– Io mi chiamo Ravanella, – si presentò la bambina. – E questo è Cipollino.
– Molto piacere, signorina. Molto piacere, signor Cipollino. Ho già sentito parlare di lei dal Cavalier Pomodoro.
– Ecco uno che mi mangerebbe senza neanche condirmi.[108]
– Proprio così. Appunto per questo mi sono figurato che lei doveva essere una simpaticissima persona. E vedo che non mi sono sbagliato.
Cipollino sorrise:
– Benissimo. Allora perché stai facendo tanti salamelecchi e mi dai del lei come se fossi un vecchio cortigiano in parrucca? Diamoci del tu.[109] Ciliegino si ricordò improvvisamente di un cartello che stava sulla porta del pollaio, e dove don Prezzemolo aveva fatto scrivere «Non si deve dar del tu a nessuno», perché aveva sorpreso una volta Ciliegino a conversare confidenzialmente con le galline. Tuttavia decise di passar sopra anche a quel cartello, com'era passato sopra l'erba e rispose: