Donovan iniziò a farfugliare frasi incoerenti. Sostenne di non essere una persona cattiva. Giurò di amare Lily. Tentò persino di giustificarsi dicendo di non guadagnare abbastanza per vivere da solo e di avere bisogno della somma stipulata nel contratto con le Industrie Bach per poter far fronte alla rottura con Lily.
Secondo il contratto, non ci sarebbe dovuta essere nessuna rottura. Se ne sarebbe dovuto andare e basta, lasciare l’area e tornare a casa. Gli era stato assicurato che Lily sarebbe stata al sicuro, che faceva tutto parte di un esperimento sociale… un reality show di sopravvivenza. E Donovan non aveva fatto domande, prima di firmare lungo la linea tratteggiata. Aveva persino sorriso, facendolo. Stronzo.
«Firmando, hai rinunciato al diritto di preoccuparti per Lily. Ti abbiamo tenuto d’occhio per assicurarci che mantenessi la parola data, quindi sappiamo che hai iniziato subito a cercare una ragazza per rimpiazzarla e prendersi cura di te, dopo. Sapevi che la relazione con Lily non sarebbe sopravvissuta, se fosse riuscita a ritornare a casa.»
«Che significa se? Cosa accadrà a Lily? Pensavo avessi detto che sarebbe stata al sicuro.»
«Oh, ti preoccupi per la ragazza adesso? Non ricordo avessi mai posto questa domanda prima. Perché?»
Donovan spostò il peso da un piede all’altro, a disagio. Il suo sguardo si concentrò nuovamente sugli zoccoli e rabbrividì. «Ho dato per scontato che volessi portarla a letto. Voglio dire, è davvero stupenda. Una ragazza abbandonata nei boschi… Sembra la trama di una pessima storia d’amore o di un porno. Ma con tutti i reality show che ci sono oggi in TV, credevo fosse qualche strano colpo di scena. Per di più, la settimana scorsa ho visto la pubblicità di un programma di sopravvivenza e ho fatto due più due. Considerato il tuo, ehm, costume…» Donovan guardò i piedi di Adone. «E come ci stessi spiando, chiaramente, dal momento che sapevi della rottura.»
«Dici di amarla, eppure sei pronto ad accettare del denaro perché uno sconosciuto possa scoparsi la tua fidanzata durante un reality show?» La testa di Adone minacciava di scoppiare. Era certo che questo ragazzo avesse ripetuto a Lily di amarla per tutto il tempo che erano stati insieme, che le avesse detto più volte quanto fosse perfetta per lui e che non avrebbe mai potuto desiderare di meglio. Adone ci avrebbe giocato la testa. La rabbia iniziò a ribollire in lui. Niente lo faceva incazzare più dei bugiardi che usavano le persone, le portavano a letto, le facevano innamorare e poi le abbandonavano, confuse e afflitte per ragioni fuori dal loro controllo.
E avevano il coraggio di chiamarlo amore!
«Ho davvero bisogno di quei soldi.»
La ricchezza finiva, ma l’amore sarebbe dovuto durare in eterno. Donovan aveva liquidato ciò che avrebbe dovuto custodire, per quel falso senso di sicurezza che gli avrebbe procurato il denaro. Gli umani davano così tante cose per scontate.
«Sparisci dalla mia vista. Subito.» Adone si premette le nocche contro le tempie, cercando di alleviare il dolore pulsante. Avrebbe tanto voluto poter frugare nella borsa dove aveva nascosto i suoi averi e scolarsi l’ultimo degli otri antiquati che Dioniso gli aveva donato come regalo d’addio, ma prima doveva liberarsi dell’umano. Aveva solo due opzioni per far fronte ai casini causati da Donovan: uccidere l’imbecille o bere. Bere sembrava il minore dei due mali.
«Ma… Penso di essermi perso. Da che parte devo—»
«Sei tu quello con la mappa. Scoprilo da solo, idiota.» Adone diede una spinta a Donovan e lo guardò con gioia, mentre inciampava nel fango e quasi si schiantava contro un albero.
Voltandosi dall’altra parte, ordinò al suo tirso di tramutarsi in un cellulare. L’anello al suo dito si scaldò e assunse per un attimo l’aspetto di uno scettro medievale fatto di legno massiccio, sovrastato da una pigna e avvolto in una spirale di edera. A quel punto, si trasformò in un telefonino. Sebbene un cellulare-tirso non funzionasse come un apparecchio normale, tutti i satiri della Beozia potevano usarne la magia per chiamare Dioniso. Non si poteva né effettuare né ricevere altre chiamate, purtroppo. Ahimè, la magia non era infallibile.
«Dion Bach», rispose un uomo dall’altro capo del telefono. Era il nome che Dioniso aveva assunto in questa era, ma Adone odiava chiamarlo così. Non gli piaceva quando gli dèi si nascondevano dietro false identità. Dannazione, Adone già si odiava per essersi offerto di prendere parte a questo disastro. Era terribilmente ingiusto che Lily Anders venisse usata come una pedina, ma eccolo lì. Pronto a farlo lo stesso e solo per vendicarsi per la miseria che suo fratello gli aveva causato.
«Sono Adone», disse con calma nel dispositivo. «La donna è da sola, come previsto. Ariston è in zona, ma continua a ignorare la sua presenza. La spingerò verso di lui quando il sole sarà sorto. Si è scatenato un temporale imprevisto, prima, ritardando la partenza del maschio dall’accampamento e la ninfa si è sistemata per la notte a causa degli elementi atmosferici.»
«Non ci si può mai fidare degli umani e della loro capacità di predire il tempo, nonostante la loro cosiddetta tecnologia avanzata. E il maschio umano? Costituirà un problema?»
Adone si gettò un’occhiata alle spalle e gemette, vedendo Donovan agitarsi nel punto in cui lo aveva lasciato. «Aspetta un secondo», disse a Dioniso, poi sbottò contro Donovan: «Perché sei ancora qui?»
«Volevo assicurarmi che avrei ricevuto i miei soldi.»
«Se non te ne sarai andato entro cinque minuti, non vedrai nulla, nemmeno il domani. Capito?»
«Sì, signore. Ehm, grazie?» Donovan si voltò e se ne andò in fretta, gettando un’occhiata piena di panico verso Adone. Forse avrebbe dovuto infilzarlo, almeno un poco. Così che un puma lo fiutasse e iniziasse a dargli la caccia. Okay, si sarebbe sentito in colpa se lo avesse fatto. Prima o poi.
Adone fece un paio di respiri profondi, poi riportò il telefono all’orecchio. «Se ne è andato, ma potrebbe costituire un problema. Mi ha visto nella mia vera forma. Dovresti mandare qualcuno a intercettarlo. Ha iniziato ad avere dei ripensamenti, dopo aver visto cosa sono.»
«“I satiri hanno la mia ragazza” suona come un’ottima scusa.» Dioniso allontanò il cellulare dalla faccia per parlare con qualcuno in lontananza, prima di riprendere la conversazione con Adone. «Sto inviando Melancton a contenere i danni» Chiese la posizione dell’auto di Donovan e Adone gliela diede. «Resta vicino alla ninfa, ma non farti vedere. Riferiscimi qualsiasi notizia sulla siringa.» Riattaccò senza attendere una risposta. Non aveva chiesto a Adone come si sentisse e cosa ne pensasse di quella storia. A Dioniso importava solo di mettere le mani sulla siringa – una determinazione ostinata, che aveva avuto inizio parecchi mesi prima, dopo aver localizzato Pan e che da allora aveva guadagnato slancio. Le reali intenzioni del dio restavano un mistero, sebbene avesse affermato di voler usare lo strumento solo per liberare i beoti dalla maledizione. Certo… Pan ci aveva provato in passato, senza risultati, e nessuno sapeva cosa Dioniso avesse in mente di fare.
Adone riportò il tirso alla sua forma originale, facendolo roteare tra le dita come un bastone, mentre ragionava sulla situazione in cui si era cacciato e sul fatto che avrebbe dovuto sopportare Melancton e il suo silenzio del cavolo. Sospirando rumorosamente, lasciò che il tirso si trasformasse nuovamente in un anello d’acciaio. Doveva sempre ritornare alla forma originale per poter cambiare di nuovo. Adone se lo mise al dito.
Non era sua intenzione traumatizzare Lily più di quanto avesse già fatto Donovan… per colpa sua. Ad ogni modo, il suo gemello aveva un unico desiderio: essere di nuovo umano. Per costringerlo a mostrare la siringa, sempre che l’avesse lui, avrebbe dovuto far sì che necessitasse di uno strumento tanto potente. Il pensiero di dover fare qualcosa di così orribile che Ariston avrebbe avuto bisogno di usarla – ecco cosa temeva più di ogni altra cosa Adone. Ne sarei capace?
L’idea di abbandonare l’intera missione e lasciare che Ariston tenesse Lily per sé evaporò non appena Adone bevve un sorso del fantastico vino di Dioniso. Tiepido e pungente sulla lingua, avvolgeva le papille gustative con il suo sentore di uva e bacche. Chiuse gli occhi e ne assaporò il gusto. Era dolce, come un’assoluta estasi.
Non dubitava che Dioniso li avrebbe fregati tutti, una volta che si fosse impossessato della siringa. Era quello che facevano gli dèi. La distruzione li seguiva ovunque andassero. Il ricordo del giorno in cui aveva implorato Afrodite affinché lo aiutasse a sconfiggere la maledizione ritornò a galla; la ferita si riaprì. L’orrore nei lineamenti della dea alla vista di ciò che era diventato…
Adone serrò gli occhi, desiderando che sparisse. Odiava quel ricordo. Provava ancora vergogna, ripensandoci. L’aveva pregata di andare da lui, divorato dal desiderio. Afrodite aveva risposto alla sua chiamata, credendo che Adone avesse convinto Ariston a condividere il letto con lei. Reso quasi cieco dalla maledizione, Adone si era scagliato sulla dea. La pelle nuda e febbricitante, il pene dolorosamente eretto. Riusciva a malapena a pensare, guidato com’era da quel bisogno primordiale. Pronto a prenderla con la forza pur di soddisfare quella dolorosa eccitazione.
Vedendo lo stato in cui si trovava, le labbra della dea si erano arricciate in una smorfia sprezzante e Adone ricordava di aver esitato. Ma quando Afrodite aveva aperto la bocca per deriderlo, era stato invaso dal bisogno di prendere ciò di cui aveva bisogno, e in quel momento aveva bisogno di sesso. Lo necessitava quanto l’aria. La dea aveva urlato, mentre Adone si era messo ad armeggiare con la sua veste, in cerca di quel conforto e quella passione che più volte gli aveva donato in passato. Afrodite lo aveva accolto con una ginocchiata all’inguine, prima di spingerlo via e poi si era sistemata il vestito, a testa alta, nonostante la taglia minuta. La corona d’alloro dorata che portava sul capo storta. Lo sguardo micidiale.
«Sei un mostro!» aveva esclamato. «Pensavi davvero che ti avrei accolto nel mio letto con quest’aspetto più bestiale che umano? Volevi costringermi? A me!» Afrodite aveva riso, come se l’idea di essere toccata da uno come lui fosse la cosa più ridicola al mondo. Il suo tono gelido aveva spento quel fuoco che la maledizione gli aveva acceso nel sangue. «Sarebbe stato meglio se fossi morto, Adone. Vederti così insudicia il ricordo del tempo che abbiamo passato insieme. Non cercarmi mai più, orribile creatura.» Era rimasta più sconvolta dal suo aspetto che dal fatto che avesse quasi abusato di lei – quello lo aveva trovato più incredibile che disgustoso. Adone dovette ricordare a se stesso che le dee erano più antiche degli umani, una razza superiore. La loro morale si basava su una concezione assai diversa di ciò che era giusto e di ciò che era sbagliato. Adone non era stato altro che un passatempo per lei, mentre lui l’aveva amata.
Per accrescere la sua vergogna, Afrodite aveva pianto la sua scomparsa come se fosse davvero morto. Sulla sua sofferenza erano state scritte storie e canzoni, eppure non aveva mostrato neanche un pizzico di quella compassione, quando lo aveva bandito dal suo letto. E tutto perché Ariston non aveva assecondato i desideri della dea.
Un altro sorso di vino. La sua agitazione crebbe.
Adone voleva vedere Ariston soffrire, come aveva sofferto lui quando la donna che aveva reso la sua vita degna di essere vissuta gli era stata portata via e la ninfa sarebbe stata la chiave. Con la Luna del Satiro alta nel cielo, Ariston avrebbe conosciuto lo stesso dolore provato da Adone sul monte Citerone, dopo che Afrodite lo aveva abbandonato al suo destino.
Il sole mattutino fornì a Lily un’idea dei punti cardinali. Finché avesse prestato attenzione alla posizione del sole – e non fossero apparse nuvole cariche di pioggia – tutto sarebbe andato bene. Dato che non sarebbero dovuti tornare fino al giorno seguente, domenica, c’era la possibilità che la macchina fosse ancora dove l’avevano lasciata. Questo se Donovan non l’aveva abbandonata sul serio, il che avrebbe significato che si era perso nei boschi. In tal caso, si sarebbe rivelato meno idiota di quanto Lily avesse creduto, ma solo di poco.
Con un po’ di fortuna, si sarebbe imbattuta prima in una stazione della guardia forestale. Non vedeva l’ora di tornare a casa e dedicarsi a una maratona di musical con un Double Fudge Brownie Ben and Jerry’s come unico complice. L’aumento di peso dovuto al gelato le avrebbe dato qualcosa su cui concentrarsi più tardi, nel tentativo di perderlo.
Lily si sfregò il retro del collo e si guardò intorno. La sensazione di essere osservata si era presentata a più riprese durante la notte, ma da quando aveva smontato la tenda e aveva iniziato a camminare era diventata densa e soffocante. Non era una sensazione fisica, ma un’inquietudine che la seguiva mentre avanzava lungo il cammino. La scacciò via come paranoia e ansia, effetti residui della consapevolezza che Donovan l’aveva lasciata lì da sola di proposito. Era davvero una persona così orribile da essere abbandonata? Eh. Così chiede l’orfana.
Gli uccellini cinguettavano allegramente le loro liete canzoni dalla cima degli alberi e il suono spezzava il silenzio della solitudine. Normalmente, Lily avrebbe trovato l’atmosfera tranquilla e rilassante, ma quella mattina le sembrava più spaventosa dopo ogni passo. Un fruscio proveniente dai cespugli alla sua destra le fece venir voglia di piangere. Tagliò per gli alberi a sinistra, in modo da evitare qualsiasi animale selvatico volesse divorarla per colazione. Non era la prima volta che deviava dal percorso stabilito dopo aver sentito un rumore spaventoso. Lily si domandò se non lo avesse immaginato, ma di sicuro si stava perdendo sempre di più nella foresta. Non riusciva a capire come il sole fosse finito dalla parte opposta rispetto a quella in cui avrebbe dovuto essere.
Il terreno era ancora bagnato dal temporale della sera prima e il suolo e il muschio emanavano un odore pungente, ma non del tutto sgradevole, che andava ad aggiungersi all’atmosfera cupa in un modo che in altre circostanze avrebbe apprezzato. Il bosco era tanto triste quanto i suoi pensieri. Non è un bene quando accogli i pensieri tetri per scacciare quelli paranoici. Qualcosa o qualcuno la stava osservando di nuovo. Sbatté rapidamente le palpebre per fermare le lacrime e contemporaneamente allungò il collo per intravedere chi o che cosa la stesse pedinando. Non era una che piangeva spesso e si rifiutava di iniziare a farlo.
Guardandosi intorno con la coda dell’occhio, in cerca di pericoli, Lily non vide nessuno aggirarsi fra gli alberi. Guardò verso l’alto, ma non riuscì a scorgere nulla, a parte un piccolo opossum intento a esplorare tra le foglie. Quando voltò la testina grigia e pelosa nella sua direzione e la guardò con occhi grandi e lucidi, Lily non sentì nulla di ciò che aveva provato prima. Che ancora provava.
«Donovan?» chiamò, fermandosi per voltarsi di nuovo. Aveva piovuto da matti per tutta la notte. Donovan poteva essersi rifugiato da qualche parte in attesa che smettesse. Un tuono risuonò in lontananza, ricordando a Lily che doveva continuare a muoversi. Attraverso i pini e le querce che la circondavano riuscì a scorgere nuvole cariche di pioggia che incombevano minacciose.
Se non lo avesse ritenuto impossibile, avrebbe giurato che fossero state evocate dal ricordo del temporale. Si erano scurite da sole? Come si formavano le nuvole cariche di pioggia, in ogni caso? Non riusciva a ricordarlo dai giorni del liceo, non le era mai sembrata un’informazione utile da conoscere fuori da un’aula di scuola.
Guardò l’orologio. Era già passato mezzogiorno; aveva perso delle ore andando nella direzione sbagliata. Non mi farò prendere dal panico…
Una melodia si diffuse intorno a lei. Debole all’inizio, così debole che quasi non se ne rese conto. Quando il suo cervello collegò il suono alle sue implicazioni – un qualche tipo di civilizzazione doveva trovarsi nei paraggi – le sue spalle, prima tese, si rilassarono.
Lo strumento doveva essere un qualche tipo di flauto. Mentre Lily cercava di capirne di più sulla strana melodia, qualcosa di alquanto strano accadde. Le note iniziarono a filtrare nei pori della sua pelle, come un sensuale balsamo e a lambire come acqua calda le delicate aree della sua femminilità. Una parte della sua mente le lanciò un avvertimento, ma era il suo corpo a detenere il controllo ormai e non aveva intenzione di farsi distrarre dal buon senso. Come il Bianconiglio di Alice, quella melodia avrebbe potuto condurla dritta nella tana del coniglio e non le sarebbe importato, a patto che il Paese delle Meraviglie fosse stato pieno di quelle stesse sensazioni fantastiche che la musica le procurava.
Il buon senso, tuttavia, non si lasciò zittire completamente e Lily lottò per ascoltarlo, sebbene il suo corpo si stesse muovendo verso la fonte della musica. Una melodia sexy le stava mettendo in subbuglio gli ormoni nel bel mezzo del nulla. Tre ragioni sembravano le più credibili. La prima: era disidratata o febbricitante e stava avendo delle allucinazioni. La seconda: qualcuno stava tentando di rievocare Un tranquillo weekend di paura – grazie al cielo non stavano suonando il banjo. Al pensiero, iniziò a urlare a se stessa di correre nella direzione opposta, ma i suoi piedi non le prestarono attenzione. La terza: era morta, finita in Paradiso e qualche ragazzo davvero figo stava per suonarla nello stesso modo seducente riservato a quella specie di flauto, facendola venire più e più volte per tutta l’eternità.
A pensarci bene, la terza opzione sembrava piuttosto allettante. Peccato che cose del genere non accadessero nella vita reale e, in ogni caso, Lily non era emotivamente pronta. Non pensava di potersi fidare di nuovo abbastanza da entrare in una relazione e non era interessata ad avventure di una notte.
In qualche modo, doveva scegliere fra seguire la musica o tornare indietro. L’idea continuava a comparire nella sua mente, come un’insegna al neon con scritto: Decidi, decidi, decidi. Quando Lily credette di aver riassunto il controllo di sé necessario a rompere il sortilegio, i suoi occhi si posarono su di lui.
Beh, non lo vide davvero. Sebbene sembrasse totalmente reale, Lily era ancora abbastanza cosciente da distinguere un sogno a occhi aperti dalla realtà. Riusciva a vedere dove stesse andando, riusciva a prestare abbastanza attenzione ai detriti da non inciampare, eppure lo vide fare un cenno nella sua direzione. Era appoggiato contro un albero e la sua mano si stava muovendo in un gesto che sembrava dirle “vieni qui”. I suoi capelli erano come una cascata d’oro, impreziosita da ciocche ambrate, che gli cadeva oltre le spalle e ondeggiava nella brezza, accarezzandogli i pettorali. Assomigliava a un guerriero vichingo, abbastanza forte da sconfiggere intere legioni prima di fare ritorno a casa e condurre la sua innamorata nel Valhalla del piacere. Allo stesso tempo, però, non sembrava affatto nordico, ma esotico, con un’abbronzatura mediterranea a colorargli la pelle. E quegli addominali. Avrebbe potuto lavarci i vestiti sopra.
L’uomo delle sue fantasie fece l’occhiolino e sollevò un flauto, formato da diverse canne tenute insieme dalla più lunga alla più corta con strisce di cuoio. Lo portò alla bocca e ci soffiò sopra, senza mai toccare lo strumento con le labbra, e le note colpirono Lily come un’onda anomala che si infrange contro una costa rocciosa. Parole che non erano parole danzarono nella melodia. Lo farai? Non lo farai? Non vuoi sapere com’è?
Sì, pensò Lily. Aveva un disperato bisogno di saperlo.
No, urlò il suo buon senso. Non arrenderti così facilmente. La tua volontà non è così debole. Non entrare nella sua rete.
Al diavolo il buon senso. Le aveva fatto credere che Donovan fosse affidabile. Che sarebbe stato onesto e non l’avrebbe mai tradita in alcun modo, perché era un bravo ragazzo. Eppure, l’aveva ingannata comunque, le aveva spezzato il cuore e l’aveva lasciata lì a morire come un randagio al lato della strada.
Lily si asciugò una lacrima, maledicendo le emozioni che minavano la sua risolutezza. Mentre l’uomo delle sue fantasie continuava a suonare il suo flauto arcaico, una foglia gli si posò sull’addome, trasportata dal vento. Lily lanciò un’occhiata più in basso, ma l’erba alta lo copriva dalla vita in giù. Era probabile che fosse magnificamente formato anche lì come sopra. Era una sua fantasia, quindi doveva esserlo. Se solo avesse potuto dare una sbirciatina per saperlo…
Non vorresti saperlo? La musica sembrò leggerle nel pensiero. Potresti andartene ora, ma a quel punto resteresti con il dubbio per il resto dei tuoi giorni. Vieni da me, te lo mostrerò.
I suoi talloni si conficcarono nel fango. Lily non sapeva bene come ci fosse riuscita, ma aveva riacquistato il controllo. Poteva ancora tornare indietro; aveva sentito il bisogno di fermarsi e lo aveva fatto. Aveva preso in considerazione l’idea, prima, ma non aveva mai davvero voluto farlo. Lo voleva? Lily si morse il labbro. Voleva davvero che l’uomo delle sue fantasie glielo mostrasse…
Lo farai? Non lo farai? Non vuoi sapere com’è?
Voleva davvero saperlo. Se in quel momento l’avesse ignorata, avrebbe poi desiderato conoscere l’origine di quella musica per sempre. Proveniva davvero da un uomo attraente in mezzo ai boschi? Improbabile. Benché apprezzasse l’immagine mentale fornitale dal suo cervello. Non si sarebbe avvicinata ai musicisti, a meno che non fossero sembrati affidabili, ma doveva sapere chi stesse suonando il flauto. Magari avrebbero potuto aiutarla.
Fece per avanzare di un passo.
Allora si ricordò di come Donovan fosse sembrato “affidabile”. Non poteva fidarsi del proprio giudizio.
Vacillò.
Lily si guardò alle spalle, nella direzione da cui era arrivata e quasi gemette. Si era concentrata talmente tanto sulla canzone da non prestare attenzione a ciò che la circondava. La sensazione di essere osservata era tornata, ma non riusciva a scorgere nessuno. Cosa diavolo sta succedendo!
La melodia sensuale andava in un erotico crescendo, scivolando sul suo corpo come seta, rivendicando la sua totale attenzione. Si aggrappò a un ramo, il suo respiro usciva in modo irregolare tra i denti stretti. Ben presto Lily si ritrovò a camminare verso la musica. Posso farti sentire in quel modo ancora e ancora, risuonarono le note, promettendole una ricompensa per la sua scelta. Riusciva quasi a crederci. Lily voleva sentirsi ancora in quel modo. Perdersi in quella sensazione.
Lo farai? Non lo farai? Non vuoi sapere com’è?
In quel miraggio allucinogeno che aveva davanti, l’uomo biondo smise di suonare per studiarla. Improvvisamente, Lily si rese conto di non volerlo solo incontrare, ma di voler anche conoscere la sua storia. Era la seduzione in persona, eppure la sua espressione conteneva un accenno di tristezza. Cosa potrebbe rendere infelice un uomo tanto bello? Suona la sua musica perché si sente solo?
L’uomo ritornò a suonare e le sue palpebre ondeggiarono fino a chiudersi, mentre riversava la propria anima nelle note.
Abbandona i tuoi pensieri. Senti! Trovami! Trooovamiiii!
La decisione ormai presa, Lily decise che lo avrebbe cercato davvero. Man mano che si avvicinava, il ritmo della melodia aumentava, travolgendola e facendola inciampare dalla premura. Avanzando con determinazione, Lily vide un campo di fiori selvatici con l’erba alta, molto simile a quello in cui si era trovato l’uomo delle sue fantasie. La canzone era diventata frenetica, il volume aveva raggiunto il culmine, come se si trovasse proprio accanto alla fonte. Il musicista doveva essere in quel campo.
Lily rallentò il passo, esitante, ma poi si avvicinò in punta di piedi, non volendo rendere nota la sua presenza, sebbene la musica la spingesse a manifestarsi. Nella boscaglia oziava un uomo dalla chioma dorata. Lily si nascose velocemente dietro un albero ed ebbe un sussulto, la mano poggiata sul petto, dove poteva sentire il suo cuore battere rapidamente sotto la superficie. L’uomo che aveva immaginato era reale, ma come? Come è possibile tutto questo? L’aveva davvero chiamata a sé con una canzone e una promessa di seduzione?