Книга Jessica Ek - читать онлайн бесплатно, автор Giovanni Haas. Cтраница 2
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Jessica Ek
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Jessica Ek

Il pensiero di Matteo è stato così forte da confondersi con le sue parole. Jessica sente chiaramente la sensazione di orrore che il giovane ha provato Ora è davvero spaventata.

«Va bene, vado. Ti chiamerò nei prossimi giorni, abbiamo entrambi bisogno di riflettere.»

«Ok, ok. Ma ora, per favore, lasciami solo.»

«Ti lascio il mio biglietto, chiamami appena ti sentirai pronto.»

Jessica gli lascia un biglietto con il numero corretto a penna e va alla porta, mette la mano sulla maniglia e si rigira verso Matteo.

«Hai mai avuto la visione di questo nostro incontro?»

«No.»

Lei vorrebbe aggiungere qualcosa, tipo "è stato un piacere" o "ci vediamo presto", ma non trova nulla di adatto.

«Ciao, Matteo.»

Lui accenna una risposta al suo saluto con un gesto del capo, ma non dice nulla.

Nell'uscire sotto il porticato, Jessica s’imbatte in un uomo sulla quarantina, con barba non curata, capelli troppo cresciuti e in disordine e un generale aspetto trasandato. Emana un puzzo di fumo misto a whisky o a qualche altro superalcolico, ma non pare ubriaco; probabilmente, è il suo vecchio cappotto alla tenente Colombo che si porta appresso i ricordi della notte precedente. È molto più alto di lei, e pur stando un gradino più in basso la potrebbe guardare dritta negli occhi, ma in realtà la sta esaminando dalla testa ai piedi.

Ma che bella topolina. «Buongiorno, signorina, si è persa?»

«Buongiorno. Cosa glielo fa credere?»

«Solo il fatto che non avevo mai visto una ragazza così graziosa da queste parti.»

«Forse non è mai stato qui nel momento giusto.»

E bravo, Matteo. I pensieri dell’uomo sono nettissimi.

Lui la saluta di nuovo ed entra senza bussare. Jessica gli risponde con un sorriso: essere definita “graziosa” l'ha divertita almeno quanto essere considerata una topolina. Incuriosita, si ferma a origliare, ma riesce unicamente a percepire alcuni pensieri: il nuovo arrivato è contento di essere lì, ma le cose cambiano dopo il primo scambio verbale che lei non può sentire, e i sentimenti dei due sono unicamente di contrasto; adesso entrambi paiono seccati di trovarsi insieme nella stessa stanza.

Quando non le arriva più nulla, scende i gradini del portico. Di fianco alla sua auto c'è una vecchia Mazda verde che, a giudicare dalla stato della carrozzeria, non pare passarsela bene; c'è anche Obelix sdraiato al sole che l'aspetta per ricevere una grattatina sulla pancia, e Jessica nonostante tutto sorride. Mentre si avvicina al cane dà un'occhiata nell'auto verde e, sui sedili posteriori, vede una scatola di cartone piena di libri, saranno almeno una ventina.

Incuriosita, prova a leggere qualche titolo; ci riesce solo con uno di quelli appoggiati più in alto che mostra la copertina. Und dann gabs keines mehr.

«Ma guarda, abbiamo gli stessi gusti in fatto di gialli.» dice piano, poi si accovaccia per accarezzare Obelix che uggiola di contentezza. E mentre è china sull’animale sente ancora quella sensazione strisciante di quando è arrivata: qualcuno la sta osservando dal bosco.

Si alza e osserva il paesaggio, poi, seguendo un istinto che conosce bene, chiude gli occhi. Un manto gelido l'avvolge, vede una ragazza intenta a proteggersi dal freddo con una coperta grigia, prova un brivido intenso di paura e solitudine e poi più nulla.

***

Nico appoggia la giacca sulla poltrona in pelle e osserva Matteo seduto al tavolo che si massaggia le tempie; è sorpreso di non vederlo come sempre in perfetta forma.

«E tu che ci fai qui?» gli chiede Matteo, che sembra accorgersi di lui solo in quel momento.

«Guarda che sei tu che mi hai fatto venire, visto che mettere piede nel mio ufficio sembra ti faccia venire l'orticaria.»

«Solo tu puoi chiamare ufficio uno sgabuzzino in un magazzino abbandonato.»

«Almeno io un ufficio ce l’ho.»

«Anch’io, ci sei dentro.»

«Ok, ok, lasciamo perdere. Piuttosto, dimmi, chi è la topolina che è appena uscita?»

Dalla finestra osserva Jessica fare le coccole a Obelix.

«Nulla che potrà mai avere a che fare con te.»

Nico continua a guardare la ragazza; lei si alza di scatto e si guarda intorno, fa qualche passo verso la staccionata e si ferma a osservare il bosco come stesse cercando qualcosa. Torna indietro, sale in macchina e lascia la proprietà. Lui si volta verso Matteo.

«Che ti è successo? Sei malato? Hai un aspetto che fa paura.»

«E tu hai usato il cognac invece del dopobarba?»

Matteo muove la mano davanti al naso, come per cambiare aria, e l'altro si annusa con fare indifferente il collo della pesante camicia da boscaiolo lasciata cadere sopra i jeans.

«Nico, dobbiamo parlare del caso Motta.»

«Cosa cosa? Vuoi parlare con me di Francesca Motta? Ma non mi avevi detto di starne alla larga, che avrei messo la polizia su false piste, in agitazione il rapitore, se non addirittura in pericolo la vita della ragazza?»

«E la penso ancora così; tu sei un problema e lo abbiamo già visto in passato con il caso Elia. Se esiste anche una sola possibilità di salvare questa ragazza, non voglio che la bruci.

Questo è un colpo basso; risveglia il rancore che accompagna i due, da quando i genitori di Elia avevano ingaggiato Nico per ritrovare il ragazzo. Lavoro che lo aveva portato a uno scontro frontale con Matteo, incaricato ufficialmente dalla polizia quale consulente.

«Allora, se è così che la pensi, credo che non abbiamo nulla da dirci. Ti saluto.»

«Aspetta, non sono io che ti voglio tra i piedi. Vuoi ascoltarmi?»

Nico lo osserva. «Vai avanti.»

«Edo e Silvia vogliono tentarle tutte per ritrovare la figlia; sono disposti a buttare via un po' del loro denaro per provare anche con te.»

«Ah, ora la situazione è più chiara. Temi che ti rubi il palcoscenico, vero?»

«Non ti montare la testa. Se accetterai il caso, sarò io a gestire tutte le informazioni: quelle che andranno alla polizia, quelle che saranno da comunicare ai genitori di Francesca e quelle da buttare. E solo la polizia potrà passare notizie alla stampa.»

«Ridicolo. E come farai a impedirmi di parlare con la polizia o con i genitori di Francesca? Scordatelo. Io non sono il tuo sottoposto» Gli occhi neri di Nico brillano di orgoglio ferito. Si passa una mano tra i capelli, anch’essi scuri, e aggiunge: «perché è sempre così maledettamente difficile avere a che fare con te, eh?»

«Queste sono le condizioni. Sono tutte in questo accordo tra te e i Motta.» Matteo gli mostra un foglio che ha appena preso dalla sua elegante cartella di pelle e lo appoggia sul tavolo, invitandolo a leggerlo, cosa che però Nico non fa.

«Se non ti sta bene, rinuncia al caso. Se invece accetti le condizioni e firmi, dovrai rispettare alla lettera quanto c’è scritto o non riceverai un soldo; inoltre, potresti beccarti una denuncia per intralcio alla giustizia se quello che dirai risulterà una tua invenzione. Decidi tu, io non sto certo a pregarti.»

Nico riprende il giaccone senza indossarlo. «Ci penserò. Buona giornata.» Apre la porta.

«Ehi, devi decidere adesso, altrimenti questo contratto non sarà più valido.»

«Allora usalo per qualcosa di utile, vedo che il fuoco si sta spegnendo.»

Matteo accartoccia il foglio di carta e lo getta nel il caminetto.

Nico esce, ma prima di chiudere la porta rivolge nuovamente lo sguardo all'interno. «Tu sai come sono andate le cose, è davvero squallido da parte tua tirar fuori la storia di Elia.»


Capitolo 2

Jessica suona il campanello. L’appartamento si trova al primo piano di una palazzina fuori città, una zona non certo di lusso, ma apparentemente tranquilla e pulita, dotata di piccoli giardini tra un complesso residenziale e l’altro e di larghe strade ben curate.

«Buongiorno, come posso aiutarla?»

La signora Balestra ha un tono di voce pacato e uno sguardo che lascia trasparire una certa diffidenza, anche se gentile. Il suo aspetto è curato: dalla pettinatura con un'accesa tinta ramata, senza segni di ricrescita, al trucco vivace, ma non eccessivo; dimostra circa sessant’anni. Indossa un vestito variopinto e allegro, accompagnato da una bella collana di pietre colorate che si abbinano perfettamente agli orecchini. Sicuramente una donna che non ama passare inosservata; caratteristica che evidentemente Matteo ha assimilato da lei.

«Mi chiamo Jessica e… devo parlarle. Mi concederebbe qualche minuto del suo tempo?»

«So chi è lei.» Il tono della donna diventa contrariato come un vento che muti repentinamente direzione. «Matteo mi ha chiamata, la sua visita di questa mattina lo ha sconvolto, sa? Come si è permessa di piombare in questo modo nella sua vita? Per trent'anni ha potuto vivere sereno ritenendo che fossimo noi i suoi veri genitori, e ora arriva lei e gli sbatte in faccia che sua madre lo ha abbandonato quando era ancora in fasce. Dovrei denunciarla per quello che gli ha fatto. Se ne vada.»

Jessica arretra, avvilita: «La prego di credermi… Credevo che lui lo sapesse, e nostra madre non lo ha abbandonato, è stata costretta a… »

«Se ne vada, io non ho niente da dirle!»

La donna spinge la porta, ma Jessica la ferma con una mano.

«La prego, mi lasci almeno spiegare… è una storia importante ed è giusto che ne siate al corrente!»

Questo gesto irrita la donna che alza la voce. «Le ho detto di andarsene!»

«No, non me ne vado! Sono sua sorella, e per trent'anni neppure io ho saputo della sua esistenza.»

«Già. E per tutto questo tempo siamo stati tutti bene, non ho motivo di parlare con lei.» Chiude la porta con vigore, facendola sussultare.

«Anche il fratello gemello di Matteo ha il diritto di conoscerci!» grida Jessica allo spioncino. «E senza il suo aiuto, forse non lo troverò mai.»

La donna riapre la porta quanto basta per mostrare il volto; la bocca aperta, gli occhi spalancati.

«Gemello? Ma…come? Io non ne ho mai saputo nulla.»

«Mi faccia entrare, per favore.» Jessica unisce le mani a mo' di preghiera, il viso supplichevole. «Le spiegherò tutto.»

***

«Vieni, ti stavamo aspettando» dice Silvia, stringendo forte la mano di Matteo e facendolo entrare nella grande villa in cemento armato, con vetrate scure che occupano quasi interamente le pareti che danno sul giardino e la piscina, ormai coperta con un telo grigio per la stagione invernale.

La mamma di Francesca ha cinquantacinque anni, ma ha già i capelli grigi; oggi li tiene sciolti, le superano di poco le spalle. È una donna alta e magra, anche se non si può definire una sportiva. Riesce a essere cordiale e calorosa anche in questi giorni così terribili, probabilmente i più difficili che abbia mai vissuto. La stanchezza e il dolore trapelano dal suo sguardo e dai suoi movimenti nervosi.

Si dirigono verso il soggiorno e, come forse fanno tutti quelli che passano da lì, lui non può fare a meno di guardare la grande foto di Francesca, ancora bambina, appesa alla parete. È ritratta in pantaloncini e maglietta, seduta sul ramo di un grosso albero mentre ride di gusto. Lì porta ancora i capelli lunghi e sono molto più chiari di come li ha oggi, almeno quindici anni dopo. La somiglianza con Silvia è lampante: l'aria sbarazzina e la fossetta sul mento fanno intuire all'istante che si tratta di madre e figlia.

«Sai, Nico è una persona adorabile» dice Silvia.

Matteo è sorpreso da quella affermazione, si ferma a metà del lungo corridoio.

«Nico?»

«Sì. È di là con Edo, stiamo bevendo un tè.»

Dovevo immaginarlo.

Matteo controvoglia la segue; riconosce la voce di Nico che parla con il papà di Francesca e ha un moto di fastidio acuto.

«Ah, eccoti» dice Edo. «Stavamo proprio parlando di te. Il tuo collega è davvero una persona speciale; come lo sei tu, d'altronde.»

I due sono seduti attorno a uno splendido tavolo in legno intarsiato, su delle sedie imbottite e foderate in pelle; Edo gli fa cenno di accomodarsi e sorride beffardo.

«Già, l'ho sentito dire» risponde Matteo, che sta osservando Nico: indossa vestiti puliti e ben stirati; non si è tagliato la barba, ma perlomeno si è pettinato.

«Matteo.» Nico accenna un saluto.

«Mi pareva di aver capito che avresti rifiutato l’accordo.»

«Infatti, è così.»

Silvia si siede vicino al marito. «Nico ci ha fatto capire quanto fosse sbagliato lasciare tutto il peso di certe decisioni solo a te.»

«Come?»

«Certo» continua Edo, «tu devi concentrarti sulle tue percezioni, non devi farti confondere da quelle di Nico. Ci ha spiegato come siano diversi i vostri poteri: tu puoi vedere nel futuro, mentre Nico nel passato. Siamo noi le persone più adatte a interpretare le vostre visioni. Sappiamo che sarà doloroso, ma siamo disposti a tutto per la nostra Francesca.»

Matteo fa un lungo sospiro. «Edo, Silvia, vi rendete conto che…»

«Ormai è deciso.» La voce di Edo si fa decisa. «Avrete accesso entrambi allo stesso materiale. Domani contatterò il commissario Martini e lo pregherò di includere anche Nico nel team d'indagine, come ha fatto con te. Naturalmente, potrete lavorare come meglio credete, assieme o in modo indipendente, ma esigo che collaboriate e, visto che vi pago io, tutto quello che scoprirete mi appartiene, quindi non sarà più Martini a decidere cosa mi può essere detto oppure no. È ovvio che informerete di tutto anche lui.»

Edo ha sessant'anni e da un decennio dirige da una delle più grosse fiduciarie della zona con molti dipendenti; è membro di svariati consigli di amministrazione ed è abituato a trattare con pezzi grossi della finanza. Quando decide una cosa sa come farsi capire e come imporre il suo volere.

Nico guarda Matteo e accenna un sorriso. Lui, invece, rivolge il suo sguardo al padrone di casa.

«Edo, non credo che Martini sia disposto ad accettare queste condizioni. Rischiamo che butti fuori anche me dal suo gruppo.»

«Non farà nulla del genere, altrimenti parlerò con il sindaco, il questore e la stampa. Il corpo di polizia non ha certo bisogno di altri problemi.»

«Un tè, Matteo?» Silvia appoggia sul tavolino una tazza fumante.

«Volentieri.» La ringrazia e, mentre si allunga a prendere la bevanda, manda uno sguardo furente a Nico, che gli risponde con un altro sorriso.

***

«Lei vive sola?»

Jessica osserva la donna che ha fatto da madre a suo fratello; è elegante nei movimenti e parla in modo cordiale ed educato. Sono sedute nel piccolo soggiorno arioso, arredato con mobili che probabilmente erano già lì quando arrivò in casa Matteo, ma ancora in ottimo stato. Le tendine a fiori che decorano le grandi finestre accostate ondeggiano leggermente alla brezza. C’è serenità nell’aria e adesso Jessica sa che Mateo ha avuto un’infanzia felice.

«Sì, mio marito Marco è morto due anni fa; la domenica di solito mi viene a trovare Matteo, ma ora è preso da un caso molto importante e domenica scorsa non è potuto venire. Sinceramente, dopo la telefonata di questa mattina, non sono sicura che passerà neppure la prossima: era sconvolto dalla notizia che lei gli ha dato. Il suo intervento ha messo me in una situazione difficile, Jessica.»

«Sono davvero dispiaciuta di averle procurato questi problemi, non era certo mia intenzione sciupare l’armonia della vostra famiglia e, a dire il vero, mi sono resa conto da sola di non possedere la fermezza d’animo necessaria a comunicare qualcosa di così delicato a Matteo. Mi sono sentita come il classico elefante nella cristalleria, stamattina, mi scuserò con Matteo ma … come si fa a essere preparati a una cosa simile? Lui è mio fratello e non lo vedo da decenni, si metta nei miei panni: davvero pensa che avrei fatto meglio a sparire e a rinunciare per sempre a lui?»

Le due restano in silenzio; sono sedute sul divano e sulla poltrona di pelle scura, gli unici pezzi dell'arredo che mostrano il segno degli anni, mentre il resto del mobilio è in legno lavorato in stile classico. L'unica cosa moderna è il televisore a schermo piatto, appoggiato su una credenza con accanto due fotografie con la cornice d'argento: una di Matteo e l'altra probabilmente del marito.

«No» dice infine la donna, «ma io sono stata sua madre e continuo a volerlo proteggere come quando era piccolo, anche se ora è un uomo e… ha tutto il diritto di conoscere la storia della sua famiglia di origine, qualsiasi essa sia.

Confortata da quelle parole, Jessica alza lo sguardo e si accorge che la signora Balestra la sta esaminando.

«Gli assomigli molto» le dice l'anziana, quasi a scusarsi.

«A Matteo?»

«Sì, hai i suoi lineamenti, quelli che noi non potevamo avere. Eppure, c’è sempre stato chi diceva: “ha gli occhi di suo padre” o “ride proprio come te, Elisa”.»

Jessica sorride con dolcezza.

«Io… Ho scoperto solo una settimana fa di avere dei fratelli, ed è stato uno shock dal quale devo ancora riprendermi. Quando sono riuscita a trovare Matteo, ho voluto conoscerlo subito, senza pensare alle conseguenze.» Jessica sospira e scuote la testa. «Speravo che sarebbe stato felice di conoscermi, invece mi ha praticamente buttato fuori di casa, e forse non mi vorrà più vedere.»

«Oh, questo non me lo ha detto. E perché mai?»

«Sono stata troppo brusca, ma non ho davvero saputo fare di meglio, mi creda. Credo che non mi abbia creduto. Che abbia pensato che io fossi una ciarlatana, una sorta di truffatrice, non so.» Jessica preferisce non raccontare della premonizione di Matteo.

«Lo posso capire, è tutto così incredibile. Poche ore fa ho scoperto che Matteo ha una sorella e ora che ha anche un fratello, per giunta gemello. E tu come l'hai saputo?»

Jessica normalmente non racconta di essere in grado di leggere il pensiero, per evitare di spaventare la gente o di essere presa per una squilibrata; Elisa, però, si è già confrontata con le capacità sensitive di Matteo, e Jessica si sente libera di raccontarle di cosa è capace, in modo che possa capire meglio la sua storia.

«Quando sono andata a parlare con mia madre, non voleva raccontarmi dei miei fratelli, si vergognava. Ma il suo pensiero è stato così forte che non poteva sfuggirmi, e ho rivisto la sua sofferenza nel doversi staccare da loro e gli sforzi che ha fatto negli anni per tornare sulle loro tracce.»

Elisa le prende una mano. «Jessica, mi devi perdonare. Sono stata un’egoista poco fa. La mia reazione è stata quella della madre protettiva e spaventata e… »

«E perché mai?»

«Quando hai suonato il campanello e ho aperto la porta, ti ho vista come qualcuno che voleva portarsi via il mio Matteo, non avevo capito quanto fosse importante per te ritrovare quella parte di famiglia che non hai mai conosciuto.»

«Non voglio portarle via suo figlio.»

«Certo, l’ho capito e ho intenzione di aiutarvi a trovare vostro fratello. Dimmi, cosa posso fare?»

«Vede, Elisa…»

«Ti prego, dammi del tu.»

«Ti ringrazio. Purtroppo, non so neanch'io come fare a trovare Ronaldo.»

«Ronaldo?» Elisa spalanca gli occhi.

«Sì, Ronaldo. Ti dice qualcosa?»

La donna sembra terribilmente confusa.

«Elisa?»

«Non ci avevano detto che fosse suo fratello.»

«Chi non ve lo aveva detto?» Jessica sbarra gli occhi.

«Quando, dopo tanti mesi di attesa, dall'orfanotrofio ci confermarono che la nostra candidatura come genitori adottivi era stata accettata e che c'era un bambino che corrispondeva a quanto da noi desiderato – richieste che si limitavano al sesso e all'età – ci dissero anche che si chiamava Ronaldo.»

«Quindi è come speravo io, erano nello stesso istituto! È per questo che sono venuta qui, ho bisogno del nome di quell'orfanotrofio.»

«Istituto Santa Margherita, vicino a Frosinone, ma temo che purtroppo non ti servirà a nulla.»

Jessica perde il sorriso.

«Cosa vuoi dire?»

«Ci vollero circa due mesi prima di ricevere il via libera per andare a conoscerlo. Avremmo dovuto passare alcuni fine settimana con lui per avere il definitivo benestare all’adozione. Noi naturalmente avevamo già preparato la sua cameretta e sulla porta c'era il suo nome, che mia madre aveva ricamato con delle letterine nei colori dell'arcobaleno. Tutto era pronto, i nostri più cari amici e parenti erano preparati a dare il benvenuto a Ronaldo, ma...»

«Cosa accadde poi?»

«Beh, arrivati all'orfanotrofio per la prima visita, la direttrice ci accolse sul portone d'entrata. Io mi aspettavo che avesse Ronaldo accanto a sé e che fosse circondata da altri bambini, invece era sola. Si capiva che non era serena e aveva un'aria molto stanca. Quando ci diede la mano per salutarci, notai che indossava dei guanti di cotone bianco, come quelli di un autista di limousine. Un'altra cosa che mi colpì fu come teneva sempre una certa distanza da noi, più di quanto facciano normalmente le persone che stanno parlando. Non mi era sembrato un atteggiamento adatto a chi si doveva occupare di bambini. Ci invitò ad accomodarci nel suo ufficio, e lì il suo viso si fece ancora più serio di quanto lo era stato sino a quel momento. Marco le chiese di Ronaldo…»

Jessica può sentire chiaramente le forti sensazioni che stanno riemergendo in Elisa, il volto della direttrice è ormai sfocato, ma è in grado di vivere quei momenti come se quei ricordi fossero suoi.

«Signori Balestra, purtroppo devo darvi una brutta notizia.»

«Quale notizia, dov'è Ronaldo?» domandò Marco.

«Due giorni fa si è sentito male, ha avuto la febbre molto alta, noi pensavamo che fosse influenza.» La direttrice fece un bel respiro, turbata. «Ieri sera, invece, è peggiorato e lo abbiamo portato in ospedale.»

«Ma… ma…» A Elisa non uscirono le parole.

«I medici dicono che è meningite.»

«Meningite?» ripeté Marco.

Elisa collegò i guanti e la distanza che aveva tenuto fino a quel momento la donna.

«Ieri sono venuti dei medici e hanno messo in osservazione tutta la nostra struttura. Qui abbiamo diciassette bambini, la cuoca e due educatori, siamo in troppi per essere ospitati in ospedale. Ora sono tutti nelle loro stanze e ci sono due infermiere che ci tengono sotto controllo.»

«Ronaldo come sta?» volle sapere Marco.

«Sono stata con lui tutta la notte, è per questo che non sono riuscita ad avvisarvi. È da ieri che…»

«Ronaldo come sta?» Elisa ripose la domanda in modo più duro.

«Questa mattina è entrato in coma, i medici dicono che non ce la farà.»

«Ma come fanno a dirlo? Magari Ronaldo è un bambino più forte di quel che credono.»

«Purtroppo la meningite è un'infezione che, se non viene diagnosticata immediatamente, non lascia alcuna possibilità, soprattutto in bambini così piccoli.»

Elisa si alzò e andò alla finestra, dove scoppiò a piangere. Marco la raggiunse e l'abbracciò.

«Signori Balestra, so di avervi dato una notizia terribile, ma io avrei una richiesta da farvi.»

I due non si voltarono.

«C'è un bambino della stessa età di Ronaldo che…»

«Ma con che coraggio, in un momento come questo…»

Elisa quasi gridò. Si girò verso la direttrice e vide il suo volto pieno di lacrime. Stava soffrendo quanto lei. «Mi scusi, mi scusi tanto.»

Lasciò le braccia del marito e andò verso la donna per abbracciarla, ma questa, capite le sue intenzioni, fece un passo indietro e alzò la mano per non farla avvicinare.

«Ronaldo è qui con me da due anni, e per me…» La direttrice non riuscì a finire la frase per i singhiozzi causati dal pianto che ormai non riusciva a trattenere ed Elisa uscì dalla stanza.

«Eli?» provò a chiamarla Marco, poi si scusò con la direttrice e la seguì.

«È una storia terribile» dice Jessica con un nodo in gola e gli occhi lucidi.

«Sì, è stato terribile e mi dispiace che tu abbia dovuto sapere così che…» dice Elisa mentre si asciuga gli occhi con un fazzoletto; prende un bel respiro e s'impone un sorriso. «Ma questa disgrazia ha fatto sì che Matteo entrasse nella nostra vita e la riempisse di gioia.»